Questa è la storia degli astigiani deferiti al tribunale speciale, l’organo istituito dal fascismo per giudicare i reati contro lo Stato e il regime. Grazie allo studio inedito del fondo sovversivi e antifascisti e di una recente ricerca dell’Israt è stato possibile rintracciare i nomi e le storie degli astigiani antifascisti schedati dalla questura sotto il fascismo. Il confronto dei dati ha portato alla stesura di un elenco di antifascisti denunciati e condannati fra il 1926 e il 1943. Dei 74 nominativi emersi dalla ricerca sono state estrapolate tre biografie personali per raccontare tre esperienze diverse fra loro unite dall’opposizione organizzata o spontanea contro il fascismo.
Dal controllo poliziesco sui sovversivi alla repressione giudiziaria
Felice Platone era un giovane giornalista e stretto collaboratore di Antonio Gramsci negli anni torinesi dell’Ordine nuovo e anche dopo con la nascita del partito comunista a Livorno nel 1921. Era nato ad Azzano il 12 febbraio 1899 e aveva la residenza ad Asti. Cugino e omonimo del primo sindaco di Asti dopo la Liberazione, era un dirigente del partito comunista clandestino e fu il primo astigiano condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato, istituito dal fascismo nel 1926. Fu condannato in contumacia il 7 maggio 1927 a scontare 12 anni. Il processo coinvolse altri otto imputati, quasi tutti giornalisti, condannati per aver svolto “Propaganda sovversiva tendente all’insurrezione e incitamento all’odio di classe”.
Platone fuggì a Parigi dove lavorò accanto a Palmiro Togliatti e ad altri dirigenti comunisti costretti ad espatriare. Nel 1936 partì come volontario per la Spagna travolta dalla guerra civile dove viene nominato capo di stato maggiore delle Brigate internazionali. Con la sconfitta del Governo repubblicano fu costretto a tornare in Francia dove venne arrestato e internato in un campo di prigionia nel 1940. Riesce a fuggire per unirsi ai partigiani francesi (i Maquis) e dopo l’8 settembre è nelle fila della Resistenza in Italia.
Dopo la guerra Platone è tornato a occuparsi del lavoro ideologico curando la pubblicazione dei Classici del Marxismo e in seguito della prima edizione dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci. Nel 1950 prese il seggio di Massimo Bontempelli al Senato. Muore a Roma il 25 febbraio 1955. La storia di Platone si intreccia con quelle degli altri 73 astigiani che furono giudicata dal Tribunale speciale. Dal 1926 al 1943 ad Asti furono infatti denunciate al Tribunale speciale 74 persone (6 le donne). Il 90% erano schedati come comunisti, seguivano gli anarchici e i socialisti; tutti giudicati pericolosi socialmente e politicamente. La ricerca sui nomi di questi imputati risulta ostacolata dalla difficoltà di trovare tutti i documenti. Molti fascicoli risultano incompleti. È difficile in numerosi casi stabilirne la professione a causa dei dati parziali che a volte risultano contraddittori; molti di loro si spostavano per ragioni di lavoro e nel periodo bellico entrano in scena anche gli sfollati, provenienti dai grandi centri più colpiti dai bombardamenti. La consultazione dei fascicoli personali permette comunque uno sguardo inedito sulle vite delle persone vigilate.
La sorveglianza poliziesca entrava nella vita privata: la corrispondenza, le abitudini, gli affetti e gli spostamenti erano solo alcuni dei dati riportati nelle cartelle biografiche personali corredate da una descrizione antropo-biologica del soggetto.
Una annotazione a margine: la cartella biografica già in uso dalla seconda metà dell’800 era stata modificata e arricchita nel 1902 dall’astigiano Salvatore Ottolenghi, il padre della moderna polizia scientifica italiana, professore di medicina e allievo di Lombroso che dedicò la maggior parte della vita agli studi di criminologia. Ottolenghi fu il fondatore della prima scuola di polizia scientifica al mondo, quella di Roma, nel 1903.
Ma torniamo al Tribunale speciale e ai suoi imputati. Consolidato il potere dopo la marcia su Roma del 1922 e il delitto Matteotti del 1924, Mussolini, in pochi anni ottiene il controllo di tutti gli organi dello Stato e il 25 novembre 1926 fa entrare in vigore una legge per debellare chi ancora si oppone al fascismo in Italia e all’estero. La legge era composta da sette articoli recanti le nuove misure speciali proposte dal Ministro della Giustizia Alfredo Rocco e delineava chiaramente gli obiettivi e l’utilizzo del sistema giuridico del Regno d’Italia da parte del fascismo: la reintroduzione di misure speciali come la pena di morte e pene detentive da uno a trent’anni, mirate all’esclusione dalla vita politica e sociale di tutte le persone contrarie al regime e alla sua propaganda che fossero dannosi per il credito e il prestigio dello Stato. Una graduale ma decisa fascistizzazione dell’apparato giuridico dunque, attuata in parallelo con quella dello Stato.
La repressione del fascismo venne dapprima indirizzata verso tutte quelle persone percepite come elementi di riferimento della protesta sociale, successivamente i provvedimenti restrittivi riguardarono anche quei gesti individuali, quelle espressioni, quei comportamenti legati sia alla tradizione della storia del movimento operaio sia ad un semplice antifascismo quotidiano. Bastava una frase, una barzelletta, un moto di ribellione o una palese astensione alle manifestazioni del partito per ritrovarsi segnalato e denunciato.
Il Tribunale Speciale fu un organo posto al vertice della piramide giudiziaria, una “straordinaria” ed efficiente macchina giuridica fornita di poteri speciali.
Il Tribunale era costituito da tre organi: la presidenza era affidata a un ufficiale scelto fra le Armi del Regno o proveniente dalla Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (le Camicie nere); lo affiancava un collegio composto da cinque giudici, scelto fra i consoli della Milizia; all’ultimo grado c’era un relatore proveniente dalla magistratura militare. Aveva sede a Roma. In casi eccezionali la legge prevede che “Il Tribunale possa funzionare, quando il bisogno lo richieda, con più sezioni, tanto nel luogo ove ha sede il Tribunale quanto in qualunque altro comune del Regno”.
Dal 1928 il ruolo poteva essere assegnato a un magistrato ordinario o a un professore universitario anche se la carica, fino alla fine del regime fascista, venne affidata sempre a un avvocato generale militare.
La giustizia “speciale” del fascismo decretò anche 31 condanne a morte
Chi veniva denunciato al Tribunale Speciale era immediatamente posto in stato d’arresto e non poteva usufruire della libertà provvisoria. Per i casi di lieve entità il pubblico ministero inviava gli atti al giudice istruttore del Tribunale che emetteva la propria decisione con un’ordinanza. I reati più gravi erano assegnati a una Commissione che poteva concludere l’istruttoria con un “non luogo a procedere” o con un rinvio a giudizio davanti al Tribunale stesso o alla magistratura ordinaria. Le sentenze erano inappellabili.
Dal 1926 al 1943 in Italia furono deferiti al Tribunale speciale 15806 cittadini di cui 891 donne; 160000 furono gli “ammoniti” o sottoposti a “vigilanza speciale”; 12330 i destinati al confino nelle piccole isole o in località sperdute del Sud e delle zone montane del Nord.
Ad essere chiamate sul banco degli imputati furono 5.619 persone; 4596 le condanne emesse e 998 le assoluzioni; degli imputati 122 erano donne e 5497 uomini. In diciassette anni di attività il Tribunale speciale emanò 27735 anni di carcere complessivi e 42 condanne a morte di cui 31 eseguite.
Fu soppresso con il d.l. numero 668 del 29 Luglio 1943, quattro giorni dopo la caduta del fascismo e fu tra i primi provvedimenti presi dal governo Badoglio.
La vita privata era continuamente violata per chi veniva sorvegliato. Si poteva ricevere una perquisizione in casa o per strada in qualsiasi ora del giorno e della notte, o venire arrestati preventivamente a ogni visita ufficiale di un regnante o di un’ autorità fascista.
A riaprire dopo quasi un secolo quei fascicoli si prova una sensazione di disagio, ci si sente degli intrusi.
I fascicoli raccontano la vita politica e privata dei deferiti
Sembra di entrare nella vita, nei loro pensieri, nelle loro relazioni intime; ad ogni pagina non si può non pensare chi fossero e cosa subirono per non essersi allineati ad un progetto autoritario e fascista. Ci si sente in dovere di chiedere scusa per aver “rubato” loro l’intimità a distanza di decenni, di aver interrotto un sonno lungo e polveroso imprigionato all’interno di fredde scaffalature. La ricerca ha permesso di liberare quelle storie cercando di restituire loro la giusta memoria.
La sala studio dell’Archivio di Stato di Asti fa da cornice a decine di faldoni contenenti storie di persone straordinariamente normali che grazie al loro modo di pensare, alla loro forza, all’antifascismo quotidiano hanno continuato a tenere viva l’idea di libertà.
Nelle pagine successive Astigiani pubblica la tabella con l’elenco completo dei 74 deferiti al Tribunale speciale e tre delle loro storie: una parrucchiera, un operaio e un arrotino.
Per saperne di più
– Adriano Dal Pont, Alfonso Leonetti, Pasquale Maiello, Lino Zocchi, Aula IV, ANNPIA, Roma, 1961.
– Atti del convegno storico (Asti 18-19 novembre 1988), Fascismo di provincia: il caso di Asti, Cuneo, Edizioni l’Arciere, 1990.
– A. Del Pont, Simonetta Carolini, Luciana Martucci, Cristina Piana, Lilliana Riccò, Antifascisti nel Casellario politico centrale , Vol. 1-19, Quaderni dell’ANNPIA, Roma, 1988.
– Claudio Longhitano, Il tribunale di Mussolini, Quaderni dell’ANNPIA.
– Emanuele Bruzzone, G. Antonella Gianola, Mario Renosio, Giusti e solidali, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1992.
– M. Renosio, Tra mito sovietico e riformismo, Torino, Edizioni gruppo Abele, 1999.
– Giovanna Tosatti, La repressione del dissenso politico tra l’età liberale e il fascismo. L’organizzazione della polizia, in Studi storici, 1997, pp. 217-255.
– Fondo sovversivi e antifascisti della Provincia di Asti, Fondo Questura, faldoni 1-47, Archivio di Stato di Asti.
Un grazie speciale all’Israt e all’Archivio di Stato di Asti per la disponibilità, la formazione e il sostegno.
Rosa nasce ad Asti il 30 Novembre 1903. Forte di quell’ideale che antepose sempre alla vita privata, condiviso con il suo grande amore Secondo Pessi, si avvicina alla politica nel primo dopoguerra, in particolare dopo il Congresso di Livorno del 1921. La militanza antifascista di Rosa è intrisa di azioni concrete come l’organizzazione e il proselitismo politico. Il suo atteggiamento è orgoglioso e sprezzante delle regole imposte dal fascismo.
Il 20 Novembre 1927 sposa Secondo, che descrive quell’unione come “un matrimonio non solo fra due esseri che si amavano e si comprendevano perfettamente […], ma l’unione di due rivoluzionari di professione”. Una visione del mondo da rivoluzionario di professione, dove il “privato” è un aspetto secondario della vita intesa come impegno politico assoluto.
Scampa inizialmente alle prime ondate di arresti della polizia, volte alla dispersione del primo nucleo del Partito comunista ad Asti, ma la coppia sarà obbligata a dividersi nel 1931 quando Secondo fugge a Parigi, dove Rosa lo raggiunge pochi mesi dopo. Grazie a Secondo conosciamo la storia, raccolta nell’opera “Nella lotta insieme” del 1975: “Rosa non poteva lasciare l’Italia, perché le era stato ritirato il passaporto ed era vigilata. Una mattina andò come al solito ad aprire il negozio (I coniugi erano entrambi parrucchieri) in Corso Alfieri. […] Nella notte […] aveva appuntamento con una guida alpina, la quale per una grossa somma di denaro si era dichiarata disposta a condurre mia moglie oltre confine, fino a Modane […]. Il viaggio durò due giorni e fu sfibrante […]. Ci incontrammo finalmente a Parigi alla Gare de Lyon.”
S.: “Era tanto dimagrita che quasi non la riconoscevo quando scese dal treno. Furono i suoi occhi e il suo sorriso a dirmi che era lei. Rosa mi venne incontro, mi disse ciao e mi baciò. Quel giorno il cielo su Parigi era nuvoloso, ma a me da quel momento apparve luminoso come mai”.
Rosa vive a Parigi con Secondo fino al 1933 quando i due coniugi si trasferiscono a Mosca e frequentano l’Università leninista. Dopo l’esperienza formativa rientrano in Italia in missione per il Partito comunista. È il 1935. Sfortunatamente la rete di vigilanza fascista li rintraccia. Il 30 marzo Secondo viene arrestato a Trieste, il 6 aprile a Rosa tocca la stessa sorte a Padova. La fierezza della giovane donna colpì i funzionari di polizia che verbalizzeranno “un atteggiamento spavaldo” tenuto da Rosa. Dopo un anno il Tribunale speciale condanna Rosa a quattro anni di carcere e altrettanti di confino. Nelle carceri di Perugia rifiuta di associarsi alla domanda di grazia presentata da un suo familiare. Nel febbraio 1937 viene amnistiata e scarcerata. Pochi giorni dopo verrà inviata al confino a Ventotene per due anni e per altri due anni a Ponza, dove conosce e frequenta i capi del movimento antifascista, sarà liberata nel 1941.
I coniugi precedentemente alla guerra avevano deciso di non avere figli fino a quando il fascismo fosse stato al governo. Però nel 1942, dopo la scarcerazione, iniziano il reinserimento nella società vivendo una parentesi felice dopo anni di separazione forzata. In questo periodo della loro vita hanno l’intuizione che qualcosa ormai è cambiato in Italia, decidono così di concepire il piccolo Amedeo che nasce il 13 aprile. La storia di Rosa militante, rivoluzionaria e madre ha un ultimo capitolo di lotta contro il fascismo: nel 1943 si trasferisce assieme al marito a Genova, inviato del Pci nel Comitato di liberazione nazionale. Agisce come staffetta nel gruppo delle corriere del CLN in Liguria con il nome di battaglia Bianca. Durante la guerra di Liberazione Rosa è lontana dal figlio, affidato prima alle cure della mamma di Secondo ad Asti poi alla sorella Pierina residente a Genova. Non dorme più di venti giorni nello stesso luogo spostandosi per precauzione fino alla Liberazione. Dopo la guerra Rosa continua la sua attività politica nel Partito e nel sindacato. All’inizio del giugno 1962 arriva l’incubo della malattia. Un cancro la costringe a subire una serie di interventi, lotta contro la malattia tenacemente fino al 1968. Il 23 aprile si arrende lasciando i suoi affetti. Ma grazie a Secondo sappiamo che in quel momento “sul suo viso, come sempre, vi era il sorriso”
La figura di Secondo Saracco evoca la memoria di un astigiano “educato alla politica con pochi testi scritti e da molte azioni di lotta ed esempi di giovani uomini giusti e solidali” come ha scritto Laurana Lajolo.
Secondo rappresenta la figura del rivoluzionario di professione. Per questo motivo subisce la repressione durante il fascismo ed è uno degli astigiani che fra il 1926 e il 1943 viene denunciato e condannato al Tribunale speciale.
Nasce ad Asti il 15 novembre 1902 da una famiglia operaia in borgo San Pietro, il quartiere simbolo della prima industrializzazione della città di inizio ‘900, composto da case operaie costruite intorno alle fabbriche fra Corso Felice Cavallotti e Corso Alessandria.
La sua attività politica inizia a 17 anni nelle file del Partito socialista italiano; nello stesso periodo è assunto alla Way-Assauto. In seguito al congresso di Livorno del 1921 con altri componenti della sezione giovanile fuoriesce dal Psi costituendo la prima sezione del Pci ad Asti. Il controllo del regime si stringe attorno a Secondo nel 1926. Le sue memorie ci restituiscono l’episodio: “Avevamo indetto una riunione del comitato cittadino il 7 Novembre per festeggiare la ricorrenza della rivoluzione bolscevica […]. Siamo presenti in casa del compagno Alberto Gallo, il sottoscritto, il compagno Alciati G., Acquaviva M., Comune S., Cavatore M., Torretta Federico. Terminata la riunione, verso mezzanotte, ci alternavamo per precauzione a due a due all’uscita […] un forte acquazzone ci impediva di individuare se vi erano delle voci o dei passi nelle adiacenze. Io ed Alciati usciamo dal lato opposto dei portici, due uomini, che individuo in due squadristi, Flengo e Giorgi, erano in conversazione in attesa che passasse il temporale, limitandosi ad osservare questa nostra uscita come fatto del vivere. Già nel tragitto verso casa feci presente ad Alciati la mia preoccupazione per quell’incontro”.
Il presentimento di Secondo trova conferma il 14 novembre con l’arresto di Alberto Gallo. Successivamente tutti i componenti vengono arrestati dalla milizia e dopo 6 mesi di carcere trascorsi nelle celle di via Testa il Tribunale speciale condanna Secondo a “5 anni, 6 mesi e lire mille di multa” da scontare presso il carcere di Pesaro: Secondo ricorda bene a distanza di anni l’arrivo a Pesaro, perché per la prima volta nella sua vita vede il mare “Al terzo giorno la tradotta ci scarica a Pesaro, attesi dai carabinieri, che con una carrozza pubblica ci fanno percorrere un tratto di strada. Per la prima volta il sottoscritto ha visto il mare”.
La pena termina il 12 Maggio 1931. Rientrato ad Asti viene posto sotto vigilanza speciale per altri 42 mesi, fino al 1935. Secondo in quegli anni si fa più prudente: partecipa a riunioni clandestine e mantiene contatti con altri esponenti della rete antifascista, ma non si fa scoprire: la vigilanza annota sulla cartella biografica soltanto piccoli aggiornamenti che non danno luogo a rilievi. Dal 1943 compie la scelta partigiana e opera come organizzatore di bande in Val Sesia. Nel dopoguerra diventa dirigente sindacale della Camera del lavoro. Muore il 6 giugno 1986. Recentemente la sua figura è stata ricordata il 19 ottobre in occasione dell’iniziativa dedicata a Natalino d’Orsi, erede politico di Secondo Saracco nelle battaglie operaie e sindacali degli Anni ’60 e ’70.
Nasce a Chiusano d’Asti il 24 settembre 1891. È un arrotino ambulante, ed è un anarchico.
La Questura di Asti scrive di lui: “È di cattiva moralità, dedito all’alcool e poco amante del lavoro. Predisposto per naturale temperamento alla vita disordinata seguì le ideologie paterne, e pur non esplicando nessuna particolare attività, ha sempre condotto vita nomade, rivelandosi, oltre che avversario delle Istituzioni nazionali, temibile pregiudicato per reati contro il patrimonio e contro le persone, di carattere violento ed intollerante.”
Primo ha sempre condotto una vita nomade e libera dalle imposizioni delle autorità. Si avvicina all’idea libertaria grazie al padre Giuseppe Forno che risiede per lungo tempo a Marsiglia prima della Grande Guerra e frequenta i circoli anarchici. Durante la Prima guerra mondiale Primo viene arruolato. Non sopportando l’autorità militare e la disciplina diserta dopo pochi mesi: per questo verrà condannato all’ergastolo. Grazie alla legge Nitti del 1919, gode dell’amnistia concessa a fine guerra per celebrare la vittoria.
L’atteggiamento di Primo e il disprezzo per i capi di governo si manifestano negli anni con ingiurie pronunciate in luoghi pubblici contro il Re e Mussolini. La prima condanna arriva nel 1926 quando si trova a Sarzana: “1 anno e 6 mesi per offese al capo del governo”. Nel 1928 viene denunciato al Tribunale Speciale. La dinamica della denuncia delinea quali fossero le reti di informatori dell’Ovra, la polizia segreta mussoliniana: Primo si trova in carcere. Nello scambio di storie con altri compagni di cella si cimenta in discorsi contro il governo e in un’occasione si vanta di aver fornito il tubo cilindrico riempito di esplosivo utilizzato nel 1927 durante l’attentato a Milano ai danni del Re. Tra il 1927 e il 1932 sia il Duce che il Re furono oggetto di una quindicina di attentati di matrice anarchica e antifascista. Il compagno di cella è però un informatore dell’Ovra che fidandosi della vanteria di Primo lo denuncia ai superiori. Il processo porta a una “mancanza di elementi a procedere” nel giugno del 1928 e Primo viene scarcerato dopo aver ricevuto un’ammonizione.
Nell’ ottobre del 1930 viene arrestato per non aver rispettato le restrizioni della vigilanza speciale e condannato nel 1931 a scontare la pena presso la colonia agricola sull’isola di Gorgona davanti alla costa livornese. La colonia penale agricola è introdotta nel codice penale elaborato nel 1921 dal criminologo Enrico Ferri. All’articolo 39 vengono elencate diverse sanzioni per i delitti comuni commessi dai maggiori di 18 anni. Oltre alla colonia agricola le pene previste dall’articolo erano: la segregazione semplice in casa, l’esilio locale, il confino, la prestazione obbligatoria di lavoro diurno, la segregazione rigorosa in uno stabilimento di reclusione e la segregazione rigorosa perpetua. Il Tribunale speciale del fascismo farà uso di questi strumenti di pena per tutto il ventennio.
Primo viene dimesso dalla colonia agricola il 20 ottobre 1933 e rientra a Chiusano.
La sua permanenza nell’Astigiano è caratterizzata da una serie di arresti per minacce a pubblici ufficiali e ingiurie. La condanna più significativa avviene nel gennaio 1934, confermata in appello dal Tribunale speciale, nel marzo dello stesso anno a 1 anno e 15 mesi per oltraggio e porto d’arma abusivo. Sconta la pena presso le carceri di Acqui fino al gennaio 1935. Torna a Chiusano con foglio di via ma dopo soli due giorni dal suo arrivo riparte e fa perdere le tracce. Le informazione della sua cartella personale si limitano a elencare i tentativi della polizia per rintracciarlo negli anni successivi.
L’ultimo documento del suo fascicolo comunica il cessato controllo sulla sua persona solo nel 1947.
Chiunque commette un fatto diretto contro la vita, l’integrità o la libertà personale del Re o del Reggente è punito con la morte.
Articolo 4
Chiunque ricostituisce, anche sotto forma o nome diverso associazioni, organizzazioni o partiti disciolti per ordine della pubblica autorità, è punito con la reclusione da tre a dieci anni, oltre l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Chi fa parte di tali associazioni, organizzazioni o partiti è punito, pel solo fatto della partecipazione, con la reclusione da due a cinque anni, e con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Alla stessa pena soggiace chi fa, in qualsiasi modo, propaganda della dottrina, dei programmi e dei metodi d’azione di tali associazioni, organizzazioni o partiti.
Articolo 5
Il cittadino che, fuori del territorio dello Stato, diffonde o comunica, sotto qualsiasi forma, voci o notizie false, esagerate o tendenziose sulle condizioni interne dello Stato, (...) è punito con la reclusione da cinque a quindici anni, e con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Articolo 7
La competenza per i delitti preveduti dalla presente legge è devoluta a un tribunale speciale (...). Il Tribunale può funzionare, quando il bisogno lo richieda, con più sezioni, e i dibattimenti possono celebrarsi, tanto nel luogo ove ha sede il Tribunale quanto in qualunque altro comune del Regno. La costituzione di tale Tribunale è ordinata dal Ministro per la guerra, che ne determina la composizione, la sede e il comando presso cui è stabilito.
L'AUTORE DELL'ARTICOLO
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Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.
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