Oltre mezzo secolo fa, nella terza edizione del Premio “Alfieri” (Palazzo della Provincia, 14 ottobre -15 novembre, Asti 1962), la giuria composta da Vittorio Viale, Marziano Bernardi e Luigi Carluccio assegnò il premio per la scultura a Sandro Cherchi, esponente della milanese “Corrente”, che negli anni Trenta aveva riunito le innovative ricerche di Fontana, Sassu, Birolli, Cassinari, Manzù, Migneco e Treccani.
La vita di Cherchi si racchiude nel triangolo Genova, Milano, Torino. Dopo gli studi classici frequentò l’Accademia Ligustica di Belle Arti, quindi, ottenuta nel 1932 una borsa di studio per il ritratto, si trasferì a Milano. La partecipazione alle iniziative di “Corrente” e lo studio delle avanguardie europee, consolidarono nella sperimentazione di Cherchi l’impeto gestuale nella destrutturazione della materia. Nel 1942, un bombardamento distrusse lo studio milanese dell’artista, costringendolo a ritornare a Genova, ove nel 1946, a guerra finita, ottenne la docenza di discipline plastiche alla Ligustica. Il rigore e la schiettezza segnarono il suo cammino umano e artistico.
Presente alle Biennali internazionali di Venezia, San Paolo del Brasile, Alessandria d’Egitto, alle Quadriennali di Roma, in sedi museali ad Anversa, Berlino, Parigi, Cherchi rimase sempre coerente e autentico, rapido e arguto nella battuta, acuto osservatore e ricercatore instancabile nel disegno, nell’acquarello, nell’incisione. Il bronzo Figura, conservato presso le Collezioni Civiche di Asti, rivela la concezione plastica di Cherchi: l’intuizione della figura umana modellata con lucidità, a fasi frammentate, quasi ad abbozzo, astenendosi dal “levare” e dal “porre” secondo la tecnica tradizionale, per mantenere la freschezza della materia nel gesto non finito.
Pur nell’autonomia del linguaggio, Cherchi sintetizza con vigore l’inclinazione Informel, che dalle esperienze surrealiste all’Art Brut percorreva gli Anni Sessanta. Grandi blocchi di materia assemblavano figure antropomorfe, mitiche e primordiali, come “Centauri”, “Figure alate”. “Io cerco una struttura essenziale in cui tutto sia detto esaurientemente, ma senza virtuosismi, in forza di una carica emozionale che si placa nel fare”, ripeteva Cherchi al tavolo di lavoro.
Approdò nel 1963 all’Accademia Albertina (vi rimase docente fino al 1980). Il suo grande studio torinese divenne una fucina di idee e di materie, oggetti e impasti di creta, ferri e calchi. Le ore scorrevano tra ricordi e lezioni, lunghi discorsi con i critici Marco Rosci, Piergiorgio Dragone, Pier Giovanni Castagnoli, appunti e minuziose schedature di opere. Nel febbraio 1992 donò un nucleo di sculture, dipinti, disegni e incisioni dagli anni Trenta ai Novanta al Museo d’Arte Contemporanea di Genova, Villa Croce.
Tra i miei ricordi indelebili, restano gli inviti a Rapallo, durante i soggiorni estivi dello scultore e della signora Anna, consorte paziente e vigile. Ogni volta, si scoprivano le ultime opere ceramiche che Cherchi forgiava con mirabile maestria ad Albissola, poi, all’ora del desinare, ci si ritrovava, tra aneddoti e arditi progetti, dinanzi alle predilette, fumanti e saporite trenette con il pesto.