venerdì 12 Dicembre, 2025
HomeNumero 32Storia di Rosa, bimba di Refrancore sopravvissuta alla spagnola
1911-2000

Storia di Rosa, bimba di Refrancore sopravvissuta alla spagnola

Un quaderno racconta la guerra e l’epidemia
Astigiani pubblica ampi stralci di un quaderno scritto a mano con calligrafia nitida e precisa da Rosa Borgo, quando era già anziana. In quelle pagine, raccolte dalla nipote Fiammetta, è racchiusa la memoria vivissima di Rosa bambina, nata nel 1911, che racconta degli anni della grande guerra alla frazione Calcini di Refrancore e dell’epidemia spagnola che fece ancora più lutti. Il testo racchiude le vicende di famiglia, parla di guerra, vendemmie, lutti e gioie. Tra le pagine emerge il dramma dell’epidemia di spagnola che colpì duramente anche l’astigiano. Rosa racconta l’angoscia per la morte della sorellina Maria di tre anni. Il racconto è un grande affresco della vita contadina in quegli anni dominato dalle ansie e dal dolore della guerra e dell’epidemia.

Mia nonna, Rosa Borgo, è nata l’8 agosto 1911 in frazione Calcini di Refrancore da Irene Roberto e Giuseppe Borgo, detto Pinu. Una famiglia contadina come tante.

Rosa era nata da un parto gemellare. Maria, la sua gemella, è morta nei primi mesi del 1912, a 9 mesi, di polmonite. L’altra sorella, anche lei chiamata Maria, a soli 3 anni, nel 1918, è rimasta vittima dell’influenza spagnola. Nel 1922 nasce Pierina l’ultima sorella di
Rosa, morta nel 2015 a 92 anni.

Rosa invece ha lasciato questo mondo il 20 febbraio 2000 nell’anno in cui avrebbe compiuto 89 anni. Ha avuto una vita intensa: sposa a 21 anni con Galileo Longo di Fubine, si trasferiscono a Torino dove aprono una bottiglieria con ristoro, hanno tre figli: Vilma nata nel 1933, Ugo nel 1938 e Ida nel 1946, mia mamma. Nonna Rosa era una cuoca sopraffina e i suoi piatti sono rimasti nel ricordo della famiglia e dei clienti che serviva a Torino. La specialità: agnolotti monferrini.

“Un triste ricordo di quando ero bambina che mi è rimasto impresso nella mente e impossibile a dimenticare”

la prima pagina del quaderno a righe dove Rosa ha scritto questo racconto di vita tra il 1914 e il 1922
la prima pagina del quaderno a righe dove Rosa ha scritto questo racconto di vita tra il 1914 e il 1922

 

È tornata a vivere a Refrancore nel 1969. La sua ricetta di buona vita: un bicchiere di
Grignolino al giorno. Tra le sue cose abbiamo trovato un quaderno a righe dove ha scritto con calligrafia chiara e ordinata, lei che aveva frequentato la scuola solo fino alla seconda elementare, le sue memorie di bambina. Un testo che racchiude le vicende di famiglia, parla di guerra, vendemmie, lutti e gioie.

Tra le pagine emerge il dramma dell’epidemia di Spagnola che colpì duramente anche l’Astigiano. Rosa racconta l’angoscia per la morte della sorellina Maria di tre anni. Il quaderno è stato scritto da Rosa quando aveva 87 anni e mantiene intatta la freschezza dei suoi ricordi.

La prima pagina ha un titolo riassunto e riporta i versi di una canzone che lei cantava sempre anche a noi nipoti

«Cara piccina no! Così non va
Diamo un addio all’amore, perché
Nell’amore c’è l’infelicità»

Ecco il suo racconto.

«Era l’anno del 1914 e 1915 che scoppiò la grande guerra mondiale. Io, la sottoscritta Borgo Rosa, avevo appena 4 anni e la mia sorella Maria solo 4 mesi. Qui nelle famiglie regnava molta preoccupazione.

Passarono solo pochi giorni e poi le chiamate erano frequenti. E quando arrivava quella maledetta cartolina, nelle case non c’era più pace: bisognava eseguire l’ordine. Quanta
disperazione!

Un padre di famiglia doveva lasciare moglie e bambini per raggiungere il fronte. C’era solo la speranza di ritornare a casa sani e salvi.

Scoppia la guerra del ‘15. Il padre di Rosa ha già 35 anni ma viene richiamato

 

Mia madre e mia nonna Ieta pensavano che mio padre, avendo già 35 anni, fosse esonerato. Ma ecco la sorpresa! Arriva un signore con un foglio che diceva di recarsi al distretto per la destinazione.

A casa mia non c’era più pace, solo disperazione. Io condividevo i loro affanni e preoccupazioni perché capivo che senza mio padre che era il perno della casa, era veramente un problema. Quei lavori pesanti erano tutti i suoi. Mio zio Cichin aveva 16 anni e non poteva sostituirlo, perché era molto gracile e debole, era in cura dal dottore con ricostituenti.

Finalmente arriva l’ora di partire! Che momento tragico. Mamma e nonna non si davano pace, piangevano loro e anche noi. Mio padre era lui che ci faceva coraggio dicendo: questa guerra durerà poco e presto sarò di nuovo a casa. Questa guerra è poi durata 4 anni.

Nei campi e nelle vigne vanno la madre e la nonna Ieta

Sulla destra, la nonna Ieta che torna più volte nel racconto di Rosa

 

Era l’inizio della primavera 1915 e queste povere donne non sapevano da dove incominciare e ripetevano: ma come faremo adesso? Tutto da fare. Avevano 15 giornate di terra, tra queste 4 giornate di vigneti, che danno molto lavoro, e poi nei campi si doveva seminare per forza, perché in tempo di guerra, se non c’era il pane e la polenta si moriva di fame.

Mia nonna Ieta dice: adesso dobbiamo farci coraggio e organizzarci. Al mattino ci davano la colazione e poi lo zio Cichin ci custodiva e loro due se ne andavano nelle vigne e tornavano a casa a mezzogiorno. Lo zio ci faceva fare tante passeggiate sulla carretta.

Qui in questa borgata, su 30 famiglie quasi tutti avevano un familiare sotto le armi. L’unica cosa era farsi coraggio e proseguire a risolvere i problemi.

Mamma e nonna, queste due donne con tanta forza di volontà, sono riuscite a farcela a finire la campagna del 1915. Erano anche soddisfatte del buon raccolto. Subentra l’inverno e per 3 mesi avevano tempo di rilassarsi. Ma pensavano già all’anno seguente. L’unica cosa che posso dire è che noi bambini non abbiamo sofferto la fame. Avevamo la mucca che dava il latte, le galline le uova, il pane abbastanza buono rispetto alle città (pane nero con la tessera).

La primavera del 1916 è alle porte, e le due donne di ferro progettavano già cos’era necessario fare. Mia madre si alzava di buon’ora. Intanto mia nonna ci dava colazione a noi bambine e poi raggiungeva mia madre che tutte e due facevano dei miracoli.

Era il giorno di San Giuseppe e avevano già legato tutte le viti. Meritavano il primato di tutta la borgata, lo dicevano tutti. Erano veramente orgogliose e ansiose di farlo sapere a mio padre. Anche a casa lo zio era più che efficiente. Io e la Maria stavamo bene in sua compagnia. Proprio quanto andava per il meglio, ecco che il diavolo ci ha messo la coda. Mio zio è stato richiamato anche lui, a soli 17 anni, destinato a Torino per esercitazioni al
Martinetto. Ci ha notificato che erano accampati nel Castello Reale di Moncalieri.

Un giorno la Principessa Clotilde che passava in rivista a questi giovani, chiese a mio zio quanti anni aveva e lui rispose 17 anni.

Ai Calcini di Refrancore i primi lutti causati dalla guerra. “Le notizie arrivano come fulmini”

 

Gli passò la mano sulla testa rasata ed esclamò: povero bambino! Dopo qualche mese
questi ragazzi sono stati trasferiti a Verona. Quante sorprese! Io dicevo: ma quanta
sfortuna in questa casa! Per qualche giorno ci accudiva la nonna, e la mamma era sola a lavorare. È stato un miracolo che una ragazza che abitava qui vicino, che si chiamava Francesca G. aveva 12 anni, si è offerta a prendere il posto di mio zio che ci aveva lasciate.

Non ho parole per descrivere la gioia che ho provato ad avere una buona compagnia.

In casa nessuno sapeva leggere e alle lettere dal fronte ci pensa una vicina che risponde a nome della famiglia

Rosa da ragazza su una moto Guzzi

 

Intanto nasce un altro problema: si era sempre ansiosi di avere notizie di zio e papà, ma quando arrivava la posta in questa casa nessuna di noi sapeva leggerle. Mia madre analfabeta, pure mia nonna. Grazie a una sua amica, le leggeva le lettere poi gli rispondeva. Non ho parole per ringraziare di cuore questa cara persona che per anni si è prodigata a questo compito. Senz’altro ha meritato il Paradiso. Ancora grazie Linda.

Finalmente in questa casa un po’ di respiro, i nostri uomini per il momento stavano bene, e così un po’ di tranquillità. Speriamo che duri! Intanto dopo qualche giorno, un amico che era con mio padre l’hanno spedito a casa molto malato di testa e dopo pochi giorni è deceduto, Ghidella S.

Le notizie arrivavano come fulmini. Anche il papà delle amiche M. e C. Vergano, anche lui malato di cuore, è deceduto. Un altro papà della mia amica G. Ghidella è stato gravemente ferito in zona di guerra, è deceduto. Questi erano tutti dei Calcini.

Ma ancora altri, non posso elencarli tutti. Avevamo speranza che i nostri tornassero a casa vivi. Mia nonna diceva: c’è un detto che dice la speranza è sempre l’ultima a morire. Era il mese ottobre 1916, non erano soddisfatte per il raccolto, perché era venuta la tempesta e ce l’aveva dimezzato. Erano rassegnate, avevano ancora delle scorte.

Era il mese di novembre quando tutte le piante ingiallivano, iniziava l’inverno, ad un tratto vedo il postino che mi chiama e mi consegna una lettera di mio padre. Io curiosa l’ho aperta, ma non sapevo ancora leggere, qui ci voleva sempre l’interprete, che era la cara Linda. Io ero talmente ansiosa di sapere cosa era scritto in quella lettera, in un balzo di secondo mi sono recata da questa cara persona pregandola che venisse a casa mia. Lei ha
intuito il motivo.

È subito venuta, mentre leggeva faceva qualche smorfia e non era chiara. Io capivo che c’era qualche brutta notizia. Diceva che mio padre si trovava in ospedale a Padova, per una distorsione alla caviglia, ma di non preoccuparci, per il momento era quasi una fortuna, perché lontano dal fronte, e poi dormiva in un letto anziché per terra. Passano due giorni,
ecco un’altra lettera, che ci ha dato un po’ di sollievo: diceva che appena poteva camminare, gli concedevano una licenza.

Il padre torna in licenza di convalescenza. Poi è dura per lui ripartire

 

Bella notizia! Anche lo zio Cichin ci dà buone notizie di salute: sta bene, e il suo capitano l’ha assunto nel suo ufficio come aiutante, non si può sperare di meglio. Siamo sempre in
attesa che magari papà tra qualche giorno ci faccia una sorpresa.

Difatti dopo qualche giorno arriva in carrozza con lo zio di Felizzano. Quante feste, specialmente la Maria l’aveva lasciata che era in fasce, ora aveva due anni e ripeteva: ma questa è la mia bambina?

Ci prendeva tutte e due sulle ginocchia e diceva: costi quel che costi, ma io non vi lascio più. La nonna molto prudente gli disse: non hai mica intenzione di disertare? Abbandona quel proposito, perché abbiamo visto Fracchia che ha vagato per un mese nei casotti delle campagne, poi l’hanno preso e messo in prigione.

Andiamo a cena, la mamma aveva preparato una buona minestra di ceci con il coniglio, mio padre ripeteva: come si mangia bene! Una sera memorabile da non dimenticare. Sono venuti i nostri vicini, ci hanno portato vini speciali, così parlando e bevendo l’allegria non mancava.

Torna anche zio Cichin nello zaino ha un libro di fiabe

Sopra la pagella del 1919-1920 di Rosa

 

Intanto i giorni passavano in fretta e si avvicinava la partenza. Bambine, io domani parto, ma spero di tornare presto. Vi raccomando siate buone con nonna e mamma, quando tornerò vi porterò una bella cosa! Io gli dissi: sì, papà, te lo promettiamo.

Alle ore sei del mattino arriva lo zio Carlo col biroccino per accompagnarlo alla stazione. Noi due dormivamo ancora. Quando ci siamo svegliate papà non c’era più, quei pochi giorni felici passarono in fretta. Ora avevamo l’ansia di sapere se aveva fatto buon viaggio. Appena arrivato a Padova ci ha subito fatto un espresso per informarci che era arrivato bene, e siccome era ancora convalescente l’hanno messo di guardia in un magazzino, così era distante dal fronte.

Mio zio era sempre a Verona e stava bene. Sperava di avere una licenza per Natale. Eravamo ansiosi di vederlo.

La premonizione della piccola Maria “Zio non ti vedrò più”

 

Intanto l’inverno era alle porte, un po’ di riposo a mamma e nonna le faceva bene. E noi bambine nelle lunghe sere d’inverno, la nonna ci raccontava tante storie bellissime.

Era poi la vigilia di Natale, ecco che all’improvviso arriva lo zio. Che sorpresa! È stata una gioia indescrivibile. Dopo tante feste, ci ha chiamate: bambine, venite con me. Apre lo zaino e tira fuori un libro grande.Erano tutte favole. Grazie! Era il regalo più bello che ci poteva fare.

Peccato che io avevo solo 5 anni e non ero ancora andata a scuola, e non sapevo leggere, però la nonna a stento leggeva e raccontava. Abbiamo passato Natale e Capodanno in lieta
compagnia dello zio. Solo che le sue vacanze erano troppo brevi e si avvicinava già l’ora di ripartire. Tanti amici venivano a salutarlo, è stata una scena indescrivibile.

La Maria lo teneva per mano e non riusciva a separarsi. Adesso Maria lasciami devo andare, lei gli correva dietro gridando: zio Cecco torna indietro che io non ti rivedrò più, e ripeteva non rivedrò più… A queste parole mio zio pensava a un presentimento di una bambina, che sarebbe stato lui a non tornare, ma al contrario quando è tornato, era lei che non c’era più.

Era l’anno 1917. Si cominciò a lavorare. Mamma faceva i lavori più pesanti e mia nonna la seguiva per i lavori più leggeri. Ormai si erano abituate a tutto, sempre sperando che la guerra avesse fine. Era il mese di maggio e non c’era più foraggio per le bestie.

Mia nonna chiede a suo cugino Cinet se poteva venire con noi sino alla Regione Camilla. Lui gentile ha accettato. Siamo partiti noi 3 con la bestia, e ci recammo in quel campo a foraggiare. Tagliato e caricato, io e la nonna, sopra quel carretto, ci siamo incamminate a venire a casa. A metà strada in un pendio, il carretto si è rovesciato in mezzo a tutti i rovi.

Io e la nonna avevamo tutto quel foraggio sopra di noi che ci soffocava, lei gemeva, io semisvenuta non capivo più niente. Per fortuna passa un contadino che ha aiutato a tirare su quel carretto e rimesso in strada. Poi a togliere il foraggio che era sopra di noi. Intanto ci
hanno portate su. La nonna diceva che aveva tanto male a una spalla, io ero sfigurata in viso, sembravo una maschera di sangue.

In quell’orribile stato ci siamo avviate verso casa, che c’era ancora 2 km e pian piano nel tragitto, mi chiedeva: hai tanto male? Sì ho tanto male, ma con una faccia così, quando sarò grande, non posso più sposarmi e per questa sciocca frase, i miei cugini mi canzonavano sempre. Quando poi ero più grande, continuavano a burlarsi di me. Confesso che mi davano fastidio.

A casa mia madre pensava male per il ritardo. Appena arrivate, sono entrata prima io, mia madre ha fatto un grido disperato. Adesso cosa facciamo? Pensare che in casa non c’era né disinfettante, né garza né cotone. Allora prese una scodella con aceto e pezzi di tela e cominciò a pulirmi.

A sei anni va a scuola e comincia a scrivere le lettere al fronte

Rosa incinta della prima figlia Vilma che nascerà a gennaio 1933. Oggi Vilma abita ad Asti e ha 87 anni.

 

Intanto la campagna così avanzata richiedeva molto lavoro. Mia nonna invalida, mia madre
doveva fare per due, però aveva una salute di ferro, che è riuscita a superare con tanta
volontà tutto il lavoro di un anno.

Nel mese di settembre fanno i conti del buon raccolto. È stata una vendemmia straordinaria, hanno venduto l’uva a un buon prezzo, non avevano mai visto tanti soldi ed hanno comprato un bel pezzo di terreno che l’abbiamo ancora adesso. Erano molto orgogliose, meritavano una medaglia.

Arriva l’autunno. Io a 6 anni compiuti per me era il primo anno di scuola. L’unico desiderio era d’imparare a leggere e scrivere per quando arrivavano le lettere di papà e zio, di saperle leggere e rispondere. Ma non era tanto facile in poco tempo. La mia maestra, tanto buona, cercava in tutti i modi di aiutarmi, fino a che il 3° mese di scuola ho raggiunto il mio desiderio. Non posso descrivere quanto ero felice.

Le prime lettere che ho risposto a papà e zio, erano veramente stupiti. Mi hanno fatto i complimenti dicendo: adesso abbiamo una maestrina in casa. Sentivo di aver fatto una
conquista, però sempre ancora coadiuvata dalla mia brava maestra. Alla sera mi divertivo a leggere le belle fiabe, poi le raccontavo alla mia sorella Maria.

L’inverno è passato presto. Era già gennaio del 1918. Io andavo molto volentieri a scuola, e non vedevo l’ora di ricevere posta e poi rispondere. Quanto orgoglio!

Si era trapelato in giro delle voci, che c’era una malattia di nome Spagnola e dove arrivava decimava. Qui al momento non c’era ancora nessun caso. Speriamo bene. Passarono qualche mese, e ogni tanto si sentiva qualche caso isolato, e poi più frequenti.

Quando arriva l’autunno, aprono le scuole. Io erano pochi giorni che facevo la seconda classe, era metà ottobre, e non immaginavo che quel virus mi aveva già aggredita con febbre alta e costretta a letto. Era venuto il dottore e mi dà conferma che era Spagnola. Appena pochi giorni dopo si ammala la nonna, e poi la mamma. In sostanza eravamo tutte e tre a letto, tranne la Maria.

Suonano le campane, è finita la guerra ma c’è la Spagnola

 

Lei passava da una stanza all’altra dicendo: ma in questa casa son tutti malati! Mia nonna le diceva: ma tu non sei malata. E lei le disse: ma io non sono capace ad ammalarmi.

Sono stati giorni terribili. Grazie a nostra cugina già anziana che veniva a portarci bevande
calde, e grazie a suo marito che accudiva le bestie.

Dopo quindici giorni mia madre si sentiva meglio e cominciò a lasciare il letto, ma bisognava stare attenti alle ricadute, che c’era pericolo di polmoniti come a tanti era successo e poi deceduti. Anche io e mia nonna ci siamo rimesse in piedi, e con pazienza a rispettare la convalescenza.

Erano i primi giorni di novembre, quando mio zio di Castagnole venne a trovarci dandoci una sensazionale notizia, che noi stentavamo a crederci. Per fortuna la guerra è finita: oggi hanno dichiarato l’armistizio, e noi quasi incredule, e tutto ad un tratto sentimmo tutte le
campane suonare. Un momento di giubilo, ma allora è vero! Non si può descrivere la gioia che si provava che dopo 4 anni quella guerra avesse fine. Quelle campane mi sono state impresse che non le dimenticherò mai!

Maria si ammala e muore dopo pochi giorni

 

Intanto a mia sorella Maria cominciavano i primi sintomi della febbre Spagnola. Ma non ci preoccupiamo più di tanto, perché era una bambina robusta e si pensava, che come ce l’abbiamo fatta noi, senza dubbio avesse superato anche lei.

Al contrario nel settimo giorno, è cominciata ad aggravarsi.

Quei fiori sulla tomba delle due amiche bambine

Rosa Borgo ragazza con l’amica Riccardina con cui portava i fiori al cimitero sulla tomba della piccola Maria, morta a 3 anni a causa dell’influenza Spagnola.

 

Era subentrata bronco polmonite. Ormai non c’era più niente da fare, erano le 4 del mattino ed è spirata. Quel grande giorno di pace per la fine della guerra, si tramutò in un grande dolore. Ci ha lasciato un vuoto tremendo. La chiamavo: Maria! Maria! Ma ormai dormiva per sempre.

La nonna mi consolava dicendomi di non piangere più: la Maria è già in Paradiso. Quando poi si è fatto giorno, le sue amiche di gioco sono venute a farle visita piangendo. Era nella
culla vestita di bianco con una coroncina bianca tra le mani giunte. Pareva proprio un angioletto.

Ogni tanto chiamavo la sua amica Lina che abitava vicino: vieni, andiamo a farle compagnia alla Maria. Sembrava che dormiva. Per tutto il giorno c’era un via vai che volevano darle l’ultimo saluto. Io pensavo con angoscia al domani, giorno della sepoltura, che mi avrebbe lasciata per sempre. Giunse l’ora, e la mia amica F. G. mi prega di andare a casa sua per evitarmi quel grande dolore.

Eravamo nella stalla, io avevo sempre lo sguardo alla mia casa. Pochi minuti dopo dalla finestra, vedo due cavalli che portavano quel carrozzone, mi è preso un colpo al cuore.
Poi l’ho visto ripartire, che mi portava via la mia Maria per sempre.

Il giorno dopo bisognava dare la triste notizia a mio padre e a mio zio. Mio padre non si poteva rintracciare. Abbiamo scritto allo zio che per fortuna era sempre a Verona. Quando ha avuto la brutta notizia – scrisse – non poteva darsi pace. Pensava a quelle parole che gli diceva quando ripartiva dalla licenza: zio torna indietro che non ti vedo più, e ripeteva torna indietro che non ti vedo più!

Povera Maria era un presentimento che si era avverato.

Dopo otto giorni dalla sepoltura, all’improvviso arriva mio padre, ancora ignaro di quello che era successo. Appena nel cortile chiamava: Rosa! Maria! Io ero sulla soglia. Lascio immaginare la scena disperata a comunicargli che la Maria non c’era più. È scoppiato in lacrime. Non poteva rassegnarsi.

La nonna dice: adesso basta a piangere, non risolve niente a questo triste destino. In questa borgata sono morti 3 bambini per la Spagnola. Questa tremenda malattia ha fatto più morti che la guerra. La Maria, Lucia figlia della cara Linda e Michele, 3 anni, 2 anni
e 4 anni.

Intanto si aspettava che arrivasse lo zio. Finalmente dopo un mese gli hanno concesso il congedo: è arrivato per sempre. Ormai tutti a casa, era il momento di una festa, ma in casa nostra c’era tanta malinconia. Il giorno seguente al suo arrivo ha espresso il desiderio di andare al cimitero a fare visita alla tomba della Maria e mi disse: vieni anche tu.

Erano pochi giorni che era sepolta la piccola sua amica Lucia, erano proprio vicine e c’era ancora la terra smossa con due croci di ferro. Dalla grande commozione lo zio si sfogò
in lacrime. Tornati a casa sono andata a cercare la mia Riccardina se accettava di venire con me all’indomani a portare dei fiori su quelle tombe così disadorne.

La mia amica accettò di farmi compagnia al mattino presto, abbiamo raccolto i fiori nel mio giardino, erano dalie e grisantemi. Con la nostra fantasia abbiamo fatto un capolavoro. Quelle due tombe avevano cambiato aspetto. Dopo una preghiera ci siamo avviate a casa con il proponimento di ritornare ogni settimana. Il tragitto è di 4 km a piedi.

Ormai bisognava mettere il cuore in pace, i nostri uomini erano a casa, le nostre donne
erano più tranquille perché avevano ceduto una gran parte di responsabilità a loro. In casa c’era unione. Ma c’era il grande vuoto che Maria ci aveva lasciato. Mamma e nonna sentivano la mancanza di quel folletto che sbatteva le porte.

Sono trascorsi 3 anni. Tutto procedeva bene, sino a quando mio zio si sposa, restano un po’ in famiglia, ma poi fanno la divisione dei beni, e se ne vanno per conto loro.

Era il 1922 quando arriva una bella sorpresa. Mia madre dà alla luce una bambina. Io ero entusiasta, perché prendeva quel posto vuoto che aveva lasciato la Maria. Però io non ero
d’accordo a rinnovare il suo nome. La nonna diceva: non c’è il due senza il tre, era solo un proverbio però… E così le abbiamo imposto il nome Pierina. Anche lei era bella, bionda e tutta ricciolina, ma un po’ capricciosa».

Il racconto di nonna Rosa si conclude con poche righe di lei già anziana. Una pennellata che chiude il grande affresco della sua vita.

«Dal 1922 in poi non voglio rammentare il passato. Ora sono nella mia casa dove sono nata, ho 87 anni e devo ringraziare questo benedetto progresso che ci dà tante comodità. Hai solo da toccare un bottone e ti dà la luce, il calore, l’acqua calda, l’acqua fredda. E queste comodità per noi vecchi sono essenziali: è per questo che si campa di più. Certo che chi ha solo 650 mila lire al mese come me… come faremo a pagare queste bollette? Rischiamo di stare al buio».

 

 

L'AUTRICE DELL'ARTICOLO

Fiammetta Mussio

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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