Trincere o, nell’abituale vulgata astigiana, “le Trincere”, è la piccola borgata d’Oltretanaro famosa un tempo per le lavandaie, il Circolo Rinascimento, sede di una storica osteria, depositaria di alcune tra le ricette più “vere” della cucina astigiana, e i tanti sportivi di vaglia (giocatori di bocce, pugili, ciclisti) a cui ha dato i natali. Qui è nato nel 1885 Giovanni Gerbi, l’indimenticabile “Diavolo rosso” dei tempi eroici del cicismo, qui è nato nel 1902 Amulio Viarengo (professionista dal 1928 al 1933, ha partecipato a tre Giri di Francia, arrivando terzo in una tappa del 1928, e ha ottenuto il terzo posto al Giro del Piemonte del 1928 e il terzo alla Parigi – Tours del 1932) e qui è venuto al mondo nel 1918 Sebastiano Torchio, detto Tunin, che avrebbe potuto essere il vero emulo di Piciot Gerbi se non fosse intervenuta la guerra a spezzarne sogno e carriera.
Il bel Tunin si esibiva senza mani in corso Savona
“Bello come il sole” si diceva fosse da giovanissimo e le sue foto di gioventù ne sono una testimonianza. Agile, atletico, dotato di buone doti di resistenza, andava in bicicletta con rara eleganza e con un’altrettanto rara capacità di dominare il mezzo meccanico. Mitiche erano le sue apparizioni “senza mani” lungo il non ancora asfaltato corso Savona, che percorreva da cima a fondo, non senza un tocco di vanità, tra due ali di gente che applaudiva e si dava la voce «ij pasa Tunin, ij pasa Tunin». Gli Anni ’30 si erano rivelati particolarmente fecondi per il ciclismo astigiano che – Gerbi ancora molto attivo, sia pure come “veterano” – poteva contare su personaggi di assoluto valore come i fratelli Marco e Battista Giuntelli, Natalino Arata e su quel Luigi Marchisio, nato a Castelnuovo Don Bosco, che aveva vinto il Giro d’Italia nel 1930, vestendo anche la maglia rosa (istituita proprio quell’anno) per altre tre tappe nel 1931.
1938: un pedale spezzato gli impedì l’impresa in Olanda
Non fu dunque difficile a Sebastiano, in una città che aveva particolare sensibilità e passione per lo sport delle due ruote e in una famiglia che sapeva di sport (il padre Luigi era un tenace maratoneta), farsi notare e cominciare a correre non più per divertimento, ma per vincere o almeno provarci.
Al quarto anno da dilettante, con numerose vittorie all’attivo (tra cui la Coppa del Re che all’epoca era la prova unica del campionato italiano) ebbe la sua grande occasione nel 1938 sul pianeggiante circuito olandese di Valkenburg, dove si disputavano i campionati mondiali di categoria. Viarengo era tra i favoriti. Passista di notevoli doti, con uno spunto bruciante in volata, Tunin sembrava l’atleta adatto per la grande impresa iridata, ma la sorte decise diversamente.
La corsa lo vide subito in fuga con un giro di vantaggio sugli immediati inseguitori, insieme agli svizzeri Josef Wagner e Hans Knecht, che avrebbe poi vinto la gara. Viarengo era in gran forma, ma fu frenato da un grave incidente meccanico. Forse fu per la foga o forse per semplice fatalità, ma a un certo punto si ritrovò con un pedale staccato dalla pedivella.
Allora non c’erano le ammiraglie al seguito, pronte a intervenire all’istante: Sebastiano fu costretto a fermarsi e a cambiare il mezzo meccanico, accumulando, nonostante la rimonta, un ritardo che alla fine fu di 7 minuti. Arrivò al traguardo dodicesimo, primo comunque degli italiani.
L’eco in città per la sua convocazione ai Mondiali era stata vasta al punto che il giorno della corsa, il 3 settembre, il parroco di Tanaro aveva sistemato un apparecchio radio sulla finestra che affacciava sul cortile dell’oratorio affinché tutti i borghigiani – e furono tantissimi – potessero seguire la cronaca della corsa. Si possono immaginare il loro tifo e la loro delusione.
L’anno successivo, il 1939, poco più che ventenne, passò tra i professionisti, prima come indipendente alla Legnano, dove c’era l’astro nascente di Fausto Coppi, e nel 1940 alla Gerbi, con cui vinse la Coppa Boero, fu terzo al Giro di Toscana, decimo alla Milano-Sanremo e ancora terzo in una tappa del giro d’Italia dove finì trentunesimo in classifica generale. La sua popolarità era in quei due anni tanto cresciuta da farne comparire l’immagine in una delle più fortunate raccolte di figurine sportive dell’epoca. La sua carriera stava però per concludersi anzitempo.
La seconda guerra mondiale e la chiamata alle armi spezzarono la voglia e la possibilità di correre. Alla fine del conflitto erano ben altre le priorità: il lavoro prima di tutto e la famiglia. Continuò comunque per un po’ di tempo a occuparsi di ciclismo come dirigente del Pedale Astigiano (ai tempi in cui brillavano le stelle, fra gli altri, di Lazzarato e Sbroggiò) e coltivò le amicizie di gioventù con i grandi corridori italiani del tempo come Coppi, Magni e Bartali, conosciuti in gara. Stimato non solo per le imprese sportive ma anche per una personalità ricca di disponibilità, cordialità, gentilezza e modestia, fu fino alla fine il testimone privilegiato della storia ciclistica astigiana nei suoi tempi d’oro.
La Scheda