Il Canzoniere sociale illustrato fu pubblicato a Mantova nel 1908 a cura dell’editore e propagandista socialista mantovano Arturo Frizzi (1864-1940). È un libriccino dalla copertina rossa, di 48 pagine stampate all’epoca in cui i lavoratori si organizzavano in leghe, partiti, sindacati, cooperative. Quel canzoniere costava 30 centesimi di lire, con una tiratura iniziale di 20 mila copie. Il sottotitolo specifica: «Raccolta di Canti popolari e Cenni biografici dei più noti organizzatori e propagandisti». A ogni pagina ciascun canto di lotta, volta a volta di tipo anticapitalista o antiborghese, antimilitarista o anticlericale, è dedicato a una personalità attiva nel movimento socialista e anarchico del tempo. Il libretto contiene un repertorio noto (dall’Inno dei lavoratori ad Addio Lugano bella, dall’Internazionale a Stornelli d’esilio) e meno noto (dall’Inno dei lavoratori, Regina Coeli e Il Crak delle banche a La beghina a I 365 Primi maggi dei preti). Per ogni canto una dedica a personaggi allora celebri di dirigenti del campo socialista, intellettuali, giornalisti e parlamentari come Oddino Morgari, Camillo Prampolini, Andrea Costa, Filippo Turati e Anna Kuliscioff, Enrico Ferri e Angiolo Cabrini. Ma ci sono anche dediche destinate a figure meno note di “organizzatori” (piemontesi, lombardi, emiliani). Ed è tra loro che, a pagina 37, spunta una traccia astigiana significativa. La Marsigliese del Lavoro (altrimenti conosciuta come Inno dei pezzenti), composta nel 1881 da Carlo Monticelli (1857-1913), è dedicata a Francesco Barberis, identificato da Frizzi nei seguenti elogiativi termini: «Carrettiere, nato a Tonco di Monferrato (Alessandria). Consigliere provinciale di Torino. Instancabile propagandista, organizzatore e oratore popolare. Difensore coraggioso degli interessi proletari».
Teneva comizi anche in dialetto
Chi era Francesco Barberis? Monferrino di nascita, venne al mondo il 27 febbraio 1864 quando Tonco era ancora in provincia di Alessandria (il comune sarà inserito nel territorio della nuova provincia di Asti nel 1935). “Cichìn”, come era chiamato, fin da ragazzo manifestò un carattere impulsivo e ribelle che mal sopportava la miseria e le ingiustizie che il suo mestiere di carrettiere (cartuné) gli metteva ogni giorno sotto gli occhi nelle campagne piemontesi. Giovanissimo aderì al movimento socialista approdando poi a Torino dove, nel 1890, fu tra i fondatori della Camera del Lavoro e colonna portante dell’Alleanza Cooperativa dei Lavoratori torinesi. Qui lavorò anni come capo cantiniere, memore delle sue origini monferrine, dopo aver fatto l’operaio all’Arsenale militare. Fu delegato a tutti i Congressi socialisti nazionali a partire da quello di Imola del 1901 e in quello di Ancona del 1914 fu eletto nella direzione centrale del Psi. Conobbe anche Gramsci. Fin dall’inizio della sua militanza nel partito, appartenne all’ala massimalista e “intransigente”, distinguendosi per le sue posizioni radicali che ne fecero «il più focoso e pittoresco dei leaders torinesi» a detta dello storico Paolo Spriano. Pittoresco, ma oltremodo efficace nella sua oratoria, capace di infiammare le masse popolari in ogni manifestazione e comizio. Per farsi capire usava disinvoltamente anche il dialetto e modi di dire in piemontese. Non a caso fu da subito sottoposto all’occhiuta vigilanza della polizia politica. Ecco come lo dipinge nel 1915 una nota della Prefettura: «Ha molta influenza fra i compagni anche nel Regno, ma specialmente a Torino dove, spalleggiato da molti tra i più intransigenti, esercita un vero ascendente sulle masse che lo ascoltano e seguono. È attivissimo, instancabile e pericoloso propagandista e tiene innumerevoli conferenze d’ogni genere: quantunque incolto, è parlatore efficace e violento che sa sempre trovare la nota giusta…».
Negli anni cruciali e bellicisti del primo Novecento, Barberis manifestò il suo antimilitarismo in tutte le possibili occasioni, nelle riunioni di partito e anche come Consigliere comunale e provinciale di Torino. Già fortemente avverso alla guerra di Libia del 1911 con il suo sodale Mussolini allora socialista, fu ancor più schierato contro qualunque coinvolgimento dei socialisti italiani nella Prima Guerra Mondiale, scoppiata nel 1914. In quei mesi entrò in rotta di collisione con Mussolini che, direttore dell’Avanti prima e in seguito con il Popolo d’Italia, fomentava l’intervento dell’Italia nel conflitto, come poi avvenne dal 24 maggio del 1915. In piena guerra, nella primavera del 1917, alla testa della frazione dei “rigidi” (come veniva chiamata), pur non essendo più in maggioranza nella sezione socialista torinese, intensificò ulteriormente la propaganda contro la guerra e le sue conseguenze. Così che quando, nell’agosto di quell’anno, scoppiarono moti pacifisti di protesta nei quartieri popolari torinesi, fu arrestato e condannato a sei anni di carcere. Liberato a guerra finita, nel 1919, per intercorsa amnistia, riprese l’attività politica sempre su posizioni molto critiche verso l’opera di “pompieraggio” moderato esercitata a suo avviso dalla direzione del partito.
Eletto deputato a Torino nel 1919
Quanto fosse ancora invece popolare lo dimostra il fatto che Barberis ebbe uno straordinario successo alle elezioni politiche del 1919: fu eletto infatti alla Camera (XXV Legislatura, 1919-1921) con 105.000 voti di preferenza nel collegio torinese. Da deputato si distinse per i suoi interventi contro le ambiguità di Giolitti, ma soprattutto battendosi risolutamente sul problema del carovita postbellico. Nel 1924 invece, presentatosi ancora nelle liste socialiste, mancò la rielezione. Rimase ancora nel Consiglio provinciale di Torino, dove era ritornato nel 1920, ma decadde a seguito del consolidamento del regime fascista. La verve di Barberis parve spegnersi con l’impegno politico pubblico. Ritiratosi a una stentata vita privata, nel 1931 spedì due lettere a Mussolini, “amico” dei comuni tempi protosocialisti: «Sono certo che non avrai dimenticato il buon Cichino…». Gli chiedeva che si allentasse la sorveglianza poliziesca sulla sua persona ormai allontanatasi dall’azione politica e, insieme, di non vietargli una eventuale riassunzione presso l’Alleanza Cooperativa che per trent’anni era stata il suo mondo. Le risposte non sono note.
Quel che si sa è che l’ultima notizia da carte di polizia su Cichin lo segnala come sfollato, agli inizi del 1943, nella sua Tonco. Morirà a Torino il 12 marzo 1945 a 81 anni. La sua salma fu cremata il 15 aprile. Dieci giorno dopo l’altra terribile guerra sarebbe finita.