All’inizio della guerra a Quarto erano di base 13 bimotori
C’è stato un tempo in cui, sia pure per un periodo limitato e solo a scopi militari, anche Asti ha avuto un suo piccolo aeroporto, del quale tuttavia oggi non esiste più alcuna traccia. Era nella piana di Quarto. Una pista in terra battuta, la manica a vento e pochi altri elementi. Gli ultimi fabbricati ancora esistenti, palazzina comando e corpo di guardia, ormai in pessime condizioni, sono stati demoliti nel 2007. La lastra affissa sull’edificio comando che riportava la dicitura – Campo d’Aviazione Enrico Cammarota – è stata sottratta da ignoti, poco prima della demolizione. La vicenda di questa superficie aviatoria realizzata nella vasta piana di Quarto comincia a inizio 1933, allorché il Ministero dell’Aeronautica decide di istituire il Campo di fortuna di Quarto d’Asti, denominazione che dopo cinque anni verrà modificata in Campo di fortuna di Asti. In una foto scattata al momento dell’inaugurazione del campo di volo di Quarto si intravedono alcuni velivoli allineati, probabilmente Caproni Ca.100. L’aeroporto è intitolato alla memoria del pioniere del volo Enrico Cammarota, deceduto per incidente aereo sul campo di Centocelle nel 1910. In memoria del pilota, è visibile una lapide affissa sulla casa di famiglia di Rocca d’Arazzo (si veda Astigiani 5 pagina 106). La figura di Cammarota e la sua tragica caduta furono anche ricordate dalla rivista L’Aviatore Italiano (n. 30 del 5-12-1910), dal periodico Lega Aerea Nazionale (n. 3 del dicembre 1912), dalla Domenica del Corriere con tavola di Beltrame e dalla rivista AER (n. 1 dell’aprile 1914). Tornando all’aeroporto va detto che con l’inizio del secondo conflitto mondiale il Campo di volo viene organizzato con personale e mezzi provenienti dall’Aeroporto di Divaccia, oggi località della Slovenia. Il contingente di stanza a Quarto risulta composto dalla 36a e la 87a Squadriglia O.A. (Osservazione Aerea), con la dotazione di 13 velivoli bimotori Ca.311 ed è al comando del capitano Giovanni Alfieri. Nonostante le difficoltà organizzative riscontrate, tra il 17 e il 20 giugno del 1940 vengono attivati i servizi essenziali e sistemato il personale mediante la requisizione della scuola elementare e dell’asilo infantile di Quarto d’Asti, della cascina Margheria, della cascina Taglierina, della cascina Colombaia e di villa Borgo. Le munizioni sono ricoverate parte in una “riservetta” creata nell’area del campo e parte all’aperto, riparate, occultate e controllate dalle sentinelle 24 ore su 24. Anche i carburanti e lubrificanti per gli aerei sono conservati in fusti metallici e occultati con frasche. A pochi chilometri di distanza, a Castello d’Annone, c’è un deposito molto più importante, occultato tra i boschi. (Vedi la testimonianza dell’autore pubblicata nelle pagine successive ndr ).
La cucina truppa per la preparazione del rancio, per via dello scarso materiale in dotazione, è costituita dai fusti di benzina vuoti, tagliati a metà e trasformati in stufe dove sistemare le marmitte di cottura della pasta. Una soluzione molto all’italiana. Il piccolo aeroporto di Quarto era di fatto indifeso in caso di eventuali attacchi di apparecchi nemici. Secondo i documenti ufficiali la dotazione non superava i 15 moschetti e le 3 pistole Beretta del corpo di guardia. Vengono richieste anche maschere antigas, ma non arriveranno mai. Il compito di controllo esterno e di difesa antiparacadutisti nemici è affidato a 96 soldati di fanteria al comando di un sottotenente e di un sergente inviati dal comando di presidio di Asti. L’attività bellica del campo di volo dura pochi mesi: dal giugno all’agosto del 1940, senza subire alcun attacco aereo nemico. L’Italia è entrata in guerra a fianco della Germania e sta attaccando la Francia sul fronte occidentale. Dal campo volo di Asti partono i ricognitori verso le Alpi. Nel rapporto inoltrato dal comandante si apprende che il giorno 24 giugno ci fu un incendio nell’alloggio sottufficiali alla cascina Colombaia, risolto con l’intervento dei pompieri di Asti. Il giorno 29 un incidente interessa l’apparecchio Ca. 311, matr. 1472 della 36a Squadriglia O.A., pilotato dal sergente pilota Antonio Tucci L’incidente è dovuto a errata manovra, ma fortunatamente il pilota ne esce incolume.
La Regia Aeronautica schiera 7 ufficiali, 9 sottufficiali e 150 avieri
Durante questi mesi l’aeroporto è presidiato da 7 ufficiali, 9 sottufficiali e 150 avieri. L’aeroporto, che risulta “armato”, cioè operativo, dal 10 giugno 1940, viene declassato a “disarmato” dal 31 agosto di quello stesso anno, quando la guerra con la Francia è finita e il fronte si sposta ad altre latitudini, dai Balcani alla Grecia all’Africa. Dal 14 settembre del 1940 il campo è affidato a un custode civile e di fatto abbandonato. La relazione finale sugli eventi di maggior rilievo verificatisi presso l’Aeroporto di Quarto d’Asti tra il 5 luglio e 14 settembre 1940 è sottoscritta dal comandante del Regio Aeroporto “Eugenio Mossi” di Novi Ligure, ten. col. Giovanni Rocco. Il documento mette la parola fine all’attività del campo volo. La sua collocazione in una vasta area aperta, circondata da formazioni partigiane, non lo rese utilizzabile dall’aviazione della Repubblica sociale e neppure da quella tedesca durante il periodo 1943-45. Anche i partigiani, che avevano invece allestito la pista di atterraggio a Vesime per favorire i lanci e i rifornimenti degli alleati, non utilizzarono l’aviosuperfice che, anni dopo lo smantellamento, a guerra finita, tornò a essere coltivata a grano e mais.
Il deposito di Annone: un microcosmo a custodia di un arsenale
Maurizio Lanza
Vita e storia della “polveriera” sede del centounesimo deposito
Estate 1970. Tenente dell’Aeronautica, con la divisa azzurra, i gradi che luccicano. Sotto gli occhi ho la mia nuova assegnazione: il 111° Deposito di Castello d’Annone, un punto sulla mappa lungo la statale 10 tra Asti e Alessandria. Ho frequentato l’Accademia e poi a Pozzuoli, a Guidonia, a Novi Ligure e vengo da un mondo che corre, che scatta. Vivo di passione aeronautica, qui troverò un luogo apparentemente senza tempo, che respira con un ritmo proprio. Il reparto ha una sua storia fatta di documenti e album fotografici. Scopro che il 111°, sorto pochi anni prima della seconda guerra mondiale per la custodia e la conservazione di materiale esplosivo, ovvero bombe e carburanti, aveva assunto un ruolo di rilievo durante il 1940 quale supporto per la Regia Aeronautica, impegnata sul fronte occidentale contro la Francia. Il Deposito, che ho subito saputo essere comunemente conosciuto dagli astigiani come “La polveriera”, è in una valle stretta, una piccola macchia di cemento che si nasconde sotto colline ricche di boschi attraversate da una stradina sterrata che conduce all’eliporto, raggiungibile solo con una robusta “campagnola”. È una vasta area militare circoscritta e vietata ai civili. È al comando il colonnello Ameglio Novello, già comandante nel primo dopoguerra e attivo con il soprannome di Marini durante la lotta di Liberazione, quando il Deposito fu occupato dalle truppe tedesche presentatesi all’ingresso nell’autunno del 1943 con uno sferragliante carro armato. Le vicende di quegli anni le ha raccontate in un libro suggestivo: Il vento cancella le orme. Gli anni che trascorrerò sotto il suo comando saranno pochi: nel 1973, nella sua amata Monfallito, scomparirà prematuramente, lasciando all’improvviso sulle mie spalle la grande responsabilità del comando. Il lavoro è molto e non si resta inattivi. Il deposito militare dell’Aeronautica, da queste parti, è ambito da molti giovani astigiani e alessandrini che, in tempi di leva obbligatoria e con la ricercata “raccomandazione”, cercano di passare qui il periodo della naia, non lontani da casa e in un ambiente tutto sommato comodo. Che cosa e come si custodisca, è stato per decenni un segreto militare. Forse è meglio dire “era”, perché poi, a partire dal 2014, chiunque può scrutare attraverso le dettagliate mappe di Google Earth l’intero perimetro del campo, venti ettari, prima opportunamente oscurato. Non vedrà però gli hangar né altre cose che avevamo il dovere di tenere occultate. Un grande e pericoloso tesoro da proteggere. Dal 1970 al 1988, diventando via via capitano, maggiore e tenente colonnello, ho condiviso il servizio con circa 160 avieri, 25 sottufficiali e un paio di ufficiali (la cosiddetta “forza” in gergo), con i quali ho avuto il compito di sorvegliare e accudire autentiche montagne di munizionamento d’ogni calibro.
Tra i militari c’erano i “nonni” e i “missili”
Alla vista di quelle immense cataste e di quanto conservato nelle occulte e misteriose “riservette”, chiunque sarebbe rimasto allibito per il pericolo che avrebbero potuto rappresentare. Una scintilla occasionale e il “botto” si sarebbe fatto sentire per chilometri, ben oltre Asti. Girava voce che ci fossero anche le “atomiche”, ma non è mai stato vero. Ho percorso infinite volte l’area detta “Riservette”, spazio caratterizzato da una serie di bunker in cemento armato per la conservazione del munizionamento, interrati e pressoché invisibili dall’alto. Osservati sempre con grande attenzione e verificati sovente anche all’interno i bunker con le loro bombe bene allineate e i missili. C’erano come sibilanti custodi anche colonie di biscie che vivevano in quegli umidi bunker. Nei cosiddetti “anni di piombo” il pericolo di attentati o attacchi terroristici rese la vita al deposito meno tranquilla. È di quegli anni un episodio da brivido: con i nervi tesi e in permanente allarme, in una notte particolarmente cupa, la sentinella dell’ingresso notò alcune figure protette dall’oscurità avvicinarsi furtivamente e forse minacciosamente al Deposito. Non si fermarono all’intimazione di farsi riconoscere e la sentinella esplose una raffica di mitra che mise in fuga gli sconosciuti. Balzai rapido dal letto in quella notte, armato del mitra che tenevo, dati i tempi, a portata di mano. Fu una notte speciale, carica di tensione e fortunatamente senza conseguenze, ma creò non poca tensione e attenzione nei giorni successivi. Il fatto non venne pubblicizzato. Un altro episodio si verificò quando un certo giorno l’elicottero degli ufficiali ispettori arrivò in anticipo sull’orario previsto e, poiché il picchetto armato stava ancora risalendo a piedi la ripida strada collinare che porta all’eliporto, continuò il sorvolo, osservando il veloce, ma faticoso arrampicarsi degli avieri in alta uniforme. Questi, finalmente giunti alla meta e presa posizione sul campo, attesero l’atterraggio e resero gli onori militari ai visitatori con perfetto stile. Il generale ispettore si complimentò per il veloce intervento e definì simpaticamente i componenti del picchetto: “avieri-alpini”. Avevamo nel campo anche una chiesetta in legno, a suo tempo artigianalmente edificata davanti al comando e meta di tanti incontri con l’indimenticato don Guido Montanaro, per tutti “l’aeroprete”, che ogni domenica officiava la messa, anche durante il rigido inverno. Una intensa nevicata degli Anni ’80 abbattè la struttura, costringendone la definitiva demolizione.
Molti astigiani si facevano raccomandare per far la leva ad Annone
La vita del deposito seguiva i suoi ritmi. Il corpo operativo si basava sugli avieri che pure nelle diverse mansioni avevano una loro gerarchia fatta di anziani e reclute, rispettivamente chiamati nonni e missili. Questi ultimi erano i ragazzi appena arrivati dai centri addestramento e quindi poco più di reclute e i loro “tutori” erano invece i nonni, con molti mesi di servizio sulle spalle e quindi orgogliosamente “potenti” e ormai vicini alla sognata “alba”, cioè al sospirato congedo. Ho cercato di fare del mio meglio per limitare e attutire il fenomeno del “nonnismo”, per renderlo accettabile e di stile bonariamente goliardico.
L’aereo T-6 americano
Conosco i tipi di scherzi ricorrenti, talvolta eccessivi e quando scoperti puniti. A chi ha fatto il militare sono ben conosciuti i termini: gavettone, cucù, benzolo, jukebox, il pinciare, stop… ecc. In certe situazioni occorreva una dote che è rara nei giovani, l’equilibrio, e confesso che talvolta mi hanno dato più problemi le intemperanze dei ragazzi di leva che non la custodia delle munizioni. Gli avieri potevano rivestire il grado di avieri semplici, avieri scelti (grado equivalente al caporale dell’esercito) e primo aviere (caporal maggiore). Occorre aggiungere che gli addetti al VAM (Vigilanza Aeronautica Militare) apostrofavano per scherzo gli avieri generici con il termine di “Sciacquini” per distinguersi e far risaltare la propria appartenenza al delicato servizio di vigilanza. Anche gli avieri partecipavano alla ronda in Asti, quando in città c’era la caserma, in collaborazione con militari dell’Esercito, ed era l’occasione di sfoggiare l’uniforme azzurra. Era compito della ronda verificare l’abbigliamento e il comportamento dei militari in libera uscita, “pescando” quelli senza permesso. Nel corso degli anni hanno varcato la soglia del Deposito molti contingenti di avieri, compresi i “raccomandati astigiani”: a parte qualche rara eccezione, bravi ragazzi. Ho visto affrontare loro le guardie notturne a molti gradi sotto zero e con la neve alta, con un abbigliamento non del tutto adeguato. Nessuna stufa alleviava il gelo e non bastavano le dosi di cordiale aeronautico. Tra i nomi degli astigiani che hanno fatto il militare al nostro Deposito ne cito alcuni a memoria: Paolo Conte, Alberto Pasta, Roberto Marmo, Giovanni Barbero. Rivedo un giovanissimo Alberto Pasta, futuro avvocato, che ogni giorno aveva l’incarico di portarmi permessi e licenze da firmare.
Smantellato nel giugno 2013. Ora ospiterà i profughi?
E che dire di Roberto Marmo che era letteralmente sepolto e ossessionato dai sibillini documenti amministrativi, ostici per chiunque. Ricordo Giovanni Barbero, oggi signore del cioccolato, imbracciante il mitra MAB come un temibile guerrigliero. Al Deposito tutti insieme ci inventavamo gare atletiche, tornei di tennis e artigianali spettacoli teatrali. I visitatori venivano accompagnati con la “Campagnola Fiat” lungo la strada collinare immersa nel bosco: un quasi safari alla scoperta di spazi inesplorati, a inseguire con curiosità il veloce rincorrersi dei conigli selvatici e delle lepri. Quel tempo è finito. Dal 30 giugno del 2013 il 111° Deposito Munizioni di Castello d’Annone, storica presenza dell’Arma Azzurra sul territorio astigiano, ha cessato di esistere. Dopo 77 anni di onorato servizio è scomparsa la “Polveriera”. Lo storico aereo arancione, il North American T-6 Texan, posizionato davanti al Comando e vicino al pennone dell’alzabandiera, è stato trasferito in una base a Segrate. Nel raduno del 23 giugno 2013, a una settimana dalla chiusura definitiva, ho vissuto con numerosi ex militari l’ultimo presentat’arm, seguito dall’alzabandiera e dal silenzio fuori ordinanza, da tutti noi ascoltato con profonda commozione. La nostalgia ha preso il sopravvento. Si dice che l’area e le strutture del Deposito, definitivamente dismesse, saranno ora destinate ad accogliere profughi provenienti da Africa e Medio Oriente. Esuli da guerre e conflitti lontani. Una seconda vita per quei luoghi così diversa da quella che abbiamo vissuto noi.