I bauli non fanno più i bauli. Nelle case moderne capita di trovarli, magari utilizzati come tavolini. I più sono finiti in soffitta. Si trovano nei mercatini e nei siti di modernariato e possono costare qualche centinaio di euro, venduti come oggetti di arredamento vintage. Nati come bagaglio (quando ancora si viaggiava via mare e via terra e in aereo le compagnie di aereo low cost non avevano ancora introdotto stringenti limiti di peso e di dimensioni) erano soprattutto usati per custodirci tessuti di valore, lenzuola, vestaglie e tovaglie ricamate che costituivano il corredo di tante spose.
Solitamente in legno o in metallo, chiuso a chiave con due o tre serrature, il baule fu antesignano delle valigie e bagaglio per eccellenza al tempo di chi aveva i soldi per salire sulle carrozze a cavallo, e poi sui treni e sulle navi passeggeri nelle prime classi. Il numero e la qualità dei bauli erano lo specchio delle capacità economiche dei loro proprietari. Il termine bagaglio deriva dal francese bagage e stava a indicare il convoglio carico di equipaggiamenti al seguito degli eserciti. L’etimologia della parola baule è invece incerta, in molti la fanno derivare dal latino bajulare (portare).
Nel ’700 le famiglie aristocratiche intraprendevano viaggi con le carrozze stracariche di bauli e cappelliere. Dei bauli si servirono già Greci e Romani durante i loro spostamenti in mare e in terra. C’erano anche forzieri in ferro o bronzo destinati a custodire monete e preziosi e solitamente dotati di lucchetti e serrature il più possibile complicate. Tra il 1700 e il 1800, con l’inizio delle traversate oceaniche, servivano bauli capienti e resistenti, la navigazione durava mesi e le scorte non si limitavano ad abiti e indumenti ma anche ad alimenti e attrezzature da cucina.
Esistevano diversi modelli: il baule farmacia che poteva contenere garze, chinino, erbe officinali, il baule-biblioteca con libri e manuali, il baule-letto e il baule-cassaforte, per denaro e preziosi, protagonista dei racconti di avventura. Esistevano anche bauloni capienti che ne contenevano altri più piccoli muniti di cassettiere e porta abiti e scarpe. I migranti più poveri non hanno mai avuto i bauli, ma sacche in juta e durante le grandi migrazioni degli ultimi decenni del XX secolo è comparsa come simbolo di povertà e speranza la valigia di cartone, tenuta insieme con qualche corda.
Il declino dei bauli arriva con gli aerei. Carlinghe aereodinamiche e spazi ridotti rendevano necessario limitare i bagagli. Ma il baule, come oggetto e come parola, non si perde d’animo e trova nuove strade: lo stilista Luis Vuitton nel 1896 presentò il primo baule griffato e nel 1924 la prima borsa da viaggio. Di pelle e molto costosa, divenne subito accessorio chic.
Con l’arrivo dell’automobile si riscopre anche la parola baule: il termine viene scelto per indicare l’apposito vano dedicato al carico dei bagagli. Ma se il baule è sopravvissuto (quasi) indenne alla comparsa della valigia rigida in polipropilene (più economica e resistente di quella in pelle), nel mondo dei bagagli cambia tutto grazie a Roberth Plath, pilota di linea della Northwest Airlines, che nel 1987 ebbe un’idea rivoluzionaria: applicare le ruote a una valigia.
Nasceva così il trolley (dall’inglese “carrello”), la valigia con le ruote. All’inizio Plath si limitava a venderlo a suoi colleghi piloti, ma poi abbandonò la cloche e si dedicò alla produzione del trolley su scala industriale, copiato da tutte le industrie di borse e valigie. E un italiano è stato il primo ad applicare a un grosso trolley un piccolo motore in modo da farlo viaggiare da solo lungo gli spazi degli aeroporti. Non è più tempo di facchini, altro mestiere legato all’epopea scomparsa dei bauli.