mercoledì 9 Ottobre, 2024
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È astigiano il primo alpinista della storia

Bonifacio Rotario scalò il Rocciamelone nel 1358

Nell’articolo sui 95 anni del CAI di Asti, apparso sul numero 18 di Astigiani del dicembre 2016, si fa cenno a un certo Bonifacio Rotario, appartenente alla illustre famiglia astigiana dei Rotari o Roero, che nel 1358 salì sulla vetta del Rocciamelone, una montagna della Valle di Susa ritenuta allora la più alta delle Alpi (la cima è a 3580 metri di quota). 

 

Il rifugio a quota 2.854 metri, che porta ancora oggi il nome di Ca’ d’Asti.

Salì in vetta a 3580 metri per deporvi un ex voto dedicato alla Madonna

 

Il nobile astigiano fece quella scalata in vetta per deporvi un ex voto, come ringraziamento alla Vergine per averlo salvato dalle mani dei Turchi presso i quali era caduto prigioniero in Terrasanta. La sua ascesa sul Rocciamelone, portata a termine il 1° settembre di quell’anno, viene spesso indicata come la prima arrampicata su un monte delle Alpi, e quindi come la simbolica data di nascita dell’alpinismo, anche se non si tratta certo della prima scalata in assoluto: ad esempio fin dal 1336 il poeta Francesco Petrarca era salito in Francia in cima al Mont Ventoux, che comunque è ben più basso del Rocciamelone, arrivando a “soli” 1932 di altezza e che è diventato, secoli dopo, una delle tappe di montagna più leggendarie e tragiche del Tour de France. Ma chi era veramente Bonifacio Rotario? Di lui non conosciamo né la data di nascita né quella di morte; sappiamo soltanto che era ancora vivo nel 1378, perché il 5 agosto di quell’anno redasse il suo testamento. È probabile che abitasse in quella che oggi è appunto chiamata via Roero, dove sorgevano le case (e ne rimane ancora la torre) dei Roero di Monteu. La tradizione lo indica come un crociato, ma in quel periodo – siamo, come detto, alla metà del Trecento -, la stagione delle crociate vere e proprie era ormai finita. È possibile invece che abbia preso parte, non sappiamo con che ruolo, a una spedizione, impropriamente detta crociata, promossa da papa Clemente VI (Pierre Roger, pontefice dal 1342 al 1352, quarto dei sette papi avignonesi) per combattere la pirateria turca nel Mediterraneo.

 

Una veduta del Rocciamelone, m. 3538.

Era stato catturato dai turchi e liberato dopo 10 anni pagando un riscatto

I risultati di quella missione, che potremmo definire una versione del Mare Nostrum, furono scarsi, anche perché la flotta cristiana era composta da appena venti navi fornite dal papa, dai veneziani e dai genovesi (e su una di queste ultime doveva trovarsi Bonifacio). La flotta cristiana riuscì ad attaccare Smirne, il principale porto dei turchi, il 28 ottobre 1344. Scrive lo storico astigiano Vassallo che Bonifacio Rotario fu fatto prigioniero e la sua prigionia si protrasse per oltre dieci anni, nonostante i fiorini versati dai parenti per la sua liberazione. Il riscatto dei nobili presi prigionieri era una consuetudine di quei secoli. I marinai semplici e le truppe catturate finivano invece ai remi nelle galere della flotta ottomana o venduti al mercato degli schiavi. Fu in quel lungo periodo di lontananza forzata che nacque in lui l’idea di un voto alla Madonna che Bonifacio, tornato a casa sano e salvo, esaudì nel 1358. Perché Rotario volle scalare proprio il Rocciamelone? Qualcuno dice che la scelta cadde su questo monte perché, come detto, allora lo si riteneva la vetta più alta delle Alpi, altri sostengono che Bonifacio aveva promesso di collocare il suo ex voto sulla prima cima che avesse visto dopo il ritorno a casa. Certamente il Rocciamelone è una montagna di tutto rispetto, dalla caratteristica forma piramidale, che si innalza per oltre 3000 metri su Susa e sulla via francigena che percorre il fondovalle, e lungo la quale passavano pellegrini e mercanti per recarsi in Francia attraverso il Moncenisio. A quei tempi il monte era ritenuto quasi impossibile da scalare e per la sua imponenza era già stato considerato sacro dai Celti che lo avevano chiamato Roc Maor, un termine che si può tradurre con vetta, sommità. Prima di quello di Bonifacio erano già stati compiuti diversi tentativi, senza esito, di salire sulla vetta del Rocciamelone, tra cui uno da parte dei monaci dell’abbazia valsusina di Novalesa che – si legge in un documento conservato nell’Abbazia – dovettero desistere a causa del vento e della grandine abbattutasi sulla loro spedizione estiva. La difficoltà di affrontare una simile vetta fece nascere, come sempre accade, numerose leggende. Alcune di queste narravano di un demone pronto a scatenare le forze della natura contro chiunque avesse tentato di violarne la cima, altre parlavano di un non meglio precisato Re Romulo (il Rocciamelone era detto anche Mons Romuleus) che avrebbe nascosto un tesoro in qualche grotta della montagna, tesoro spesso cercato e ovviamente mai trovato. Anche per Bonifacio adempiere al voto fatto non fu semplice. Nel corso di un primo tentativo si fermò a quota 2854 metri, dove fissò una sorta di campo base attrezzato per il ristoro e la preghiera, in vista di successivi tentativi di scalata: quella costruzione sarebbe stata in seguito considerata il primo rifugio alpino della storia (oggi il rifugio a quella quota si chiama Cà d’Asti proprio in memoria di Rotario). 

 

La cappella e il rifugio Santa Maria, sulla vetta del Rocciamelone; alle spalle, la statua della Madonna

Il trittico portato dal Rotario rimase in vetta per tre secoli 

 

Il successivo 1° settembre, con l’aiuto di alcuni portatori, Bonifacio Rotario ritentò l’impresa, e questa volta riuscì a raggiungere la vetta e a depositare in una piccola cavità della roccia il prezioso ex voto che aveva commissionato ad artigiani di Bruges. L’ex voto posto da Bonifacio è detto il Trittico del Rocciamelone: si tratta di una lastra in bronzo incisa a bulino, in tre parti terminanti a cuspide, unite da quattro cerniere: alla parte centrale, più grande, sono collegate due più piccole di forma trapezioidale, che fungono da sportelli; il tutto si può chiudere, in maniera da renderne più comodo il trasporto. Sulla tavola centrale è rappresentata la Madonna seduta su un trono a cassapanca con in braccio il bambino Gesù; questi a sua volta con una mano regge una sfera, simbolo del mondo, e con l’altra accarezza il mento della madre. Entrambi hanno il capo circondato da un’aureola. Sull’anta di sinistra è rappresentato San Giorgio a cavallo nell’atto di trafiggere un drago con la lancia, mentre su quella di sinistra c’è un santo con la barba, forse San Giovanni Battista (è il patrono dei Cavalieri di Malta, e questo ci può far intuire qualcosa di più su Bonifacio Rotario), con le mani posate sulle spalle di un guerriero inginocchiato che rappresenta il committente del trittico, vale a dire lo stesso Bonifacio. Tutte le figure sono sovrastate da eleganti arcate gotiche e sono racchiuse entro motivi ornamentali che occupano l’intero sfondo. Nella fascia inferiore del trittico è invece incisa una scritta latina in caratteri gotici che si può così tradurre: «Qui mi ha portato Bonifacio Rotario, cittadino di Asti, in onore del Signore Nostro Gesù Cristo e della Beata Maria Vergine, nell’anno del Signore 1358, il giorno 1° di settembre». Il trittico rimase sulla vetta del Rocciamelone per quasi tre secoli. Il 5 agosto 1673 però un certo Giacomo Gagnor, detto “il matto di Novaretto”, fece un pellegrinaggio sul Rocciamelone e portò via il trittico, recapitandolo poco tempo dopo al Duca di Savoia Carlo Emanuele II che si trovava nel castello di Rivoli, affinché questi potesse ammirarlo con la sua corte senza doversi sobbarcare la faticosa ascesa. Da allora in poi l’opera, portata via dalla sua sede originaria (sul monte è stata sostituita da una copia) è stata custodita prima all’interno della cattedrale di San Giusto a Susa, poi nella sede del locale Museo Diocesano situato nella chiesa della Madonna del Ponte, dove è stata trasferita nel 2000.   

 

La statua della Vergine, sulla vetta del Rocciamelone. La statua venne portata sulla vetta dagli alpini del IV Reggimento, il 28 agosto 1899

La consacrazione della cappella rifugio nel 1923 e l’esposizione ad Asti del ’58 

 

Ma i legami tra Asti, Susa e il Rocciamelone non si interrompono qui. Un altro monferrino intervenne, secoli dopo, nella vicenda. È il monsignor Umberto Rossi (1879-1952), originario di Casorzo (paese compreso nella diocesi di Casale, ma in provincia di Asti), nominato vescovo di Susa da papa Benedetto XV il 13 giugno 1921 e consacrato il 14 agosto di quell’anno. L’estate di due anni dopo, il 12 agosto 1923, consacrò una nuova cappella-rifugio sulla vetta del Rocciamelone, a 3535 metri d’altezza. È lo stesso mons. Rossi che fu poi vescovo di Asti per vent’anni, dal 3 luglio 1932 al 6 agosto 1952. Il trittico originale ebbe modo nuovamente di tornare, sia pure per poco tempo, ad Asti. Fu all’inizio del settembre 1958, quando la Diocesi di Asti tenne il suo settimo Congresso Eucaristico, indetto dal vescovo Giacomo Cannonero. Era proprio il sesto centenario della scalata di Rotario al Rocciamelone, e su concessione dell’allora vescovo di Susa, mons. Giuseppe Garneri, l’opera sacra, dopo una breve sosta a Villanova, giunse ad Asti e fu esposta nel santuario della Madonna del Portone, per tornare poi definitivamente a Susa al termine delle celebrazioni. Ad Asti è rimasto l’onore di aver dato i natali a colui che viene considerato il primo alpinista della storia.

 

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