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A Costigliole il gusto di stampare artisti e poeti

Piero Nebiolo protagonista dell’epopea del Lanzello

Più di vent’anni fa chiudeva definitivamente l’attività della Stamperia del Lanzello di Costigliole d’Asti. Piero Nebiolo (per l’anagrafe Pier Battista, ma come diceva lui neppure sua madre l’aveva mai chiamato così) ne era stato il fondatore, la mente e il braccio. Raramente aveva usufruito della collaborazione di aiutanti e quei pochi mai disinteressati; mezz’oretta di lavoro manuale/estetico/critico davano diritto a pranzi e cene pantagrueliche. Anticipando ampiamente Slow Food, l’artista costigliolese era sempre alla ricerca di prelibatezze, di cibi strani, di gusti particolari da condividere con gli amici.

Ma chi era Piero Nebiolo?

Piero Nebiolo 1934 – 1993

 

Nacque a Costigliole d’Asti nel settembre del 1934.

Lì trascorse la sua infanzia senza infamia e senza lode. Venne, poi, mandato a completare gli studi all’Istituto dei Padri Scolopi di Savona. Pare che in quel periodo abbia avuto l’onore di difendere la porta dell’Entella, mitica squadra di calcio ligure. Non sono mai state fatte serie ricerche su questa sua affermazione. Onestamente fu un momento del suo passato che non interessava, particolarmente, ad alcuno dei suoi estimatori; ma forse era vero.

Cosa importante: aveva iniziato a muoversi nell’ambito della sua vera passione, dei suoi interessi. Frequentava atelier e studi di scultori e ceramisti. E prese, anche lui, a cimentarsi in questa forma di arte con risultati più che lusinghieri. Fu durante questi giri che conobbe l’artista torinese Clizia (al secolo Mario Giani), scultore ed incisore, e lo convinse a trasferirsi nel castello di Costigliole ad aprire una “Scuola comunale di ceramica”.

Se l’esperienza non ebbe vita lunga, fu però l’inizio di una lunga collaborazione e amicizia. Oltre a queste gite didattiche, sempre in quel periodo, collaborò con riviste quali Le Ore, Tempo, Europeo, Epoca pubblicando brevi e pungenti scritti e vignette satiriche: una via di mezzo tra Fortebraccio e Forattini.

Inizia a lavorare (impiegato in banca, pensate!), si sposa, ma apre anche una galleria d’arte “L’Ortogono”. Breve esperienza espositiva astigiana, dove si tennero le mostre di un giovanissimo Silvio Ciuccetti e dell’amico Clizia.

Il ritorno a Costigliole e la possibilità di recuperare in casa un ampio spazio da dedicare a laboratorio, segnano l’inizio della sua attività di stampatore. La frequentazione degli studi di artisti, di cui già si è parlato, e l’insistenza di Clizia lo avevano portato all’acquisto di un torchio da stampa. Ora aveva lo spazio per ampliarsi, per aggiungere al torchio a stella per le incisioni una grande e antica pressa litografica, tavoli per composizione, vaschette per bagni di acido per le morsure delle lastre e carta, tanti tipi di carta.

Era sempre più coinvolto, sempre più affascinato dallo stampare e, di conseguenza, sempre più esigente sulle carte da usare. Periodicamente visitava le più importanti cartiere italiane selezionando attentamente i fogli a seconda dell’utilizzo cui erano destinati: acquarello, litografia, acquaforte, puntasecca, ecc.

La nuova situazione – lo spazio e l’avere a portata di mano tutti gli attrezzi necessari – lo coinvolse totalmente. Terminato l’orario del lavoro “ufficiale”, tutto il suo tempo era per il laboratorio, che si stava sempre più trasformando in stamperia.

A conoscenza di questa nuova realtà, gli incisori locali, che in precedenza avevano fatto ricorso a laboratori torinesi o comunque esterni, si affidarono a lui. Così divenne il responsabile dei fogli di artisti quali Amelia Platone, Giuseppe Colli e Giancarlo Ferraris. Sempre più infervorato dai risultati ottenuti, con la collaborazione del cognato, Pier Luigi Sacco Botto, convinse a cimentarsi con l’acquaforte i pittori  dell’inizio ‘900 astigiano: Giuseppe Manzone, Guglielmo Bezzo ed Emanuele Laustino. Maestri che, probabilmente, in precedenza si erano dedicati a questa tecnica solamente nelle aule dell’Accademia frequentata in gioventù. I risultati furono sorprendenti.

Alcuni lavori di Piero Nebiolo: matita e acquarello “Un miracolo di frate Macco”

 

Ormai Piero Nebiolo e la stamperia del Lanzello erano divenuti famosi tra gli esperti d’arte e i collezionisti. E lui, in po’ narcisista, ne era consapevole e di conseguenza sempre più smanioso di cimentarsi in nuove avventure più difficili e importanti. Fondò il Club della grafica dei Venti, così denominato in quanto per ogni lastra incisa venivano stampate 20 copie (altre quattro o cinque erano destinate all’artista, allo stampatore e alla Pinacoteca astigiana, che così si arricchì di un importante patrimonio grafico). Per questa iniziativa prese contatto con i maggiori incisori italiani: Giuliano Vangi, Luciano Minguzzi, Enzo Sciavolino, Mario Calandri, Emilio Greco, Valter Piacesi, Alberto Rocco, Mino Maccari e molti, molti altri. Anche con questi altisonanti personaggi Nebiolo manteneva il suo gigionesco atteggiamento da “ragazzo di campagna”. A volte si presentava agli incontri, soprattutto con gli artisti che più gli stavano simpatici, con due capponi da spennare in una mano e una bottiglia di Grignolino nell’altra, rigorosamente avvolta in un foglio della Gazzetta del popolo, poi quando il giornale torinese chiuse passò a La Stampa.

Con alcuni artisti, Mino Maccari in particolare, instaurò un amichevole e costante rapporto di collaborazione. Due folli, piacevoli personaggi anarchicheggianti che, datisi un tema, si sfidavano nello svilupparlo graficamente e  sovente il risultato aveva affinità sorprendenti. Il grande pittore di “strapaese” spesso amava definire Nebiolo il suo “maestro”. Lui fu tra quelli che più insistette perché l’incisore costigliolese diventasse uno stampatore/editore “vero”. Piero si era già cimentato in questa impresa; aveva stampato libri di poesia di alcuni poeti locali e altri con testi di Pietro Aretino e di Giorgio Baffo illustrati da sue acqueforti e puntesecche. Ma ora era indispensabile un salto di qualità. Fece fondere una vasta serie di caratteri da stampa Garamond in piombo e da quel momento compose in proprio i testi delle sue pubblicazioni.

Acqueforti di Marco Calandri, stampate da Nebiolo

 

Fedele al suo spirito dissacrante e caustico chiamò la sua collana editoriale Boletus Luridus. In essa presero corpo, tra gli altri, volumi quali La puttana errante dell’Aretino illustrata da Mino Maccari, I sonetti di Rustico di Filippo con le acqueforti di Mario Calandri, Ballads et rondeaux du testament Villon sempre di Calandri, Bestiario di Alberto Vigevani, Bertoldo di Giulio Cesare Croce ornato, come amava scrivere Piero in coda ai suoi volumi, da preziose litografie acquerellate di Emanuele Luzzati. Quest’ultimo non fu terminato da lui, ma dalla moglie Franca. Piero Nebiolo nel frattempo era mancato.

Una breve e fatale malattia.

Come scrisse l’amico Bruno Vergano: «Il 26 settembre 1993 ad Asti giunge il Papa e Piero Nebiolo decide di andarsene. Dove non si sa, comunque per sempre».

 

GLI AUTORI DELL'ARTICOLO

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