Il primo Gian d’la duja in carne e ossa
Asti celebra a settembre la Douja d’or, il concorso nazionale dei vini. Nome non facile da pronunciare e comprendere per i non piemontesi. Lo avvallò a suo tempo il presidente della Camera di commercio Giovanni Borello per ricordare il boccale, la douja, che era usato dai cantinieri . Anche la maschera piemontese di Gianduja (senza la o) trae origine nel nome da quel boccale: Gian d’la duja. La maschera nell’iconografia classica è ritratta con il boccale di vino in mano. Lo scorso giugno a Torino, nei giorni della festa di San Giovanni, si è riaccesa la polemica sulla “titolarità” di Gianduja: ci sono associazioni e studiosi che ne discutono origini, genesi storica, eredità culturale. Mentre i torinesi discutono su chi ha il diritto di impersonare il rubicondo contadino monferrino, va ribadito che il luogo di nascita di Gianduja è Callianetto, frazione di Castell’Alfero.
E allora ripercorriamo la sua storia, la sua evoluzione da burattino a maschera del Piemonte risorgimentale, intrecciata con quella della famiglia Brignolo, che abitò nel poi famoso ciabot di Callianetto, e del suo capostipite, Giovanni d’la duja, che ai primi dell’Ottocento ispirò ai burattinai Sales e Bellone, i tratti salienti del personaggio. «Il bisnonno di mio nonno si chiamava Giovanni e abitava a Callianetto, in località Monte del fico. Era contadino e anche cartunè (trasportatore); di frequente portava il vino da vendere a Torino: partiva da Callianetto con le botti sul dorso dei muli e, raggiunta piazza Carlina, vendeva il vino sfuso, che per l’occorrenza veniva fatto assaggiare al cliente per mezzo della duja (boccale) che portava alla cintola. Se il cliente lo gradiva e lo acquistava, vi erano sulla piazza i brindur, facchini che lo trasportavano a destinazione con la brenta ’d bòsch munita dei relativi bolli, la cosiddetta bròcla, che garantiva la misura di acquisto. Successe un giorno, però, che non riuscì a vendere tutta la merce, quindi avrebbe dovuto ritornare a casa con le botti a metà. Allora che fare? L’arguto Giovanni non si perse d’animo, decise di offrire da bere a tutti gratuitamente sulla piazza, scatenando una festa improvvisata con brindisi in suo onore. La gente si domandava chi fosse chiel lì, che al regala al vin? E la risposta fu: “A l’è Giòan ’dla duja ’d Carianet”. Fu così che si fece pubblicità sulla piazza, e la notorietà non si fece attendere. Passarono gli anni e il figlio Francesco rilevò l’attività del padre. Continuarono a individuarlo con il soprannome attribuito al padre, cioè Gioan d’la duja. E così rimase. E siamo ormai a inizio Ottocento». Questa storia fu narrata a Umberto Re, all’epoca assessore alla Cultura di Castell’Alfero, da Germano Brignolo, classe 1925, un giorno di inizio primavera del 2003.
Era stata Wilma Morra, portalettere a Callianetto, a rivelargli che l’ultimo vivente, nato nel Ciabot ad Gianduja e discendente diretto di Gianduja, era un suo parente residente ad Asti, desideroso di raccontare le origini di quel soprannome. Secondo questa tradizione di famiglia, quindi, il primo Gianduja fu Gioanni Antonio Brignolo, figlio di Antonino, nato attorno al 1745 a Callianetto, in regione Monte del Fico, località Lovisoni, la cui esistenza è attestata dal pagamento di “taglie” (imposte). Il soprannome passò poi al figlio Giovanni Francesco e la famiglia quindi fu conosciuta sulla piazza di Torino per due generazioni come Gianduja. A Callianetto invece i Brignolo erano soprannominati Fuin (faina), per la loro astuzia e arguzia.
Da burattino irriverente verso il potere a maschera del Piemonte risorgimentale
Gianduja, però, non nasce come maschera ma come burattino e qui la storia della famiglia Brignolo si intreccia con quella di due burattinai a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento: Gianbattista Sales di Torino e Gioacchino Bellone di Racconigi, che per questo motivo rivendica un ruolo nella nascita di Gianduja. I due burattiani portarono a Genova il burattino “Gironi” (Gerolamo), il precursore di Gianduja, messo in scena a Torino, in piazza Castello, da Gioanin d’ij osei, marionettista affermato e che secondo alcune fonti avrebbe anch’egli origini a Callianetto. Il “Gironi” da loro presentato ebbe un successo e una fortuna insperati, il pubblico rideva divertito non appena Gerolamo appariva in scena. In quel periodo Genova era governata, in nome di Napoleone, dall’ultimo Doge, il marchese Gerolamo Durazzo e a causa dell’omonimia il pubblico attribuiva alle frasi dell’innocente burattino significati e sottintesi.
La cosa non piacque alla censura poliziesca e ai due burattinai fu notificato un decreto di espulsione dal territorio di Genova, per cui, come si dice “caricati baracca e burattini”, ritornarono a Torino, dove si sistemarono con la loro “baracca”, battezzata “castello”, nel cortile dell’Albergo del Pastore in via Doira Grossa (oggi via Garibaldi). Misero in scena la commedia “Artabano I, ossia il Tiranno del Mondo con Gerolamo suo confidente e re per combinazione”. Alcuni bonapartisti intravidero una irriguardosa allusione caricaturale al fratello minore dell’Imperatore Napoleone, re Gerolamo di Westfalia.
Nuovamente intervenne la polizia e i due finirono nei guai e questa volta assaggiarono la prigione nell’umido “Crottone” dei sotterranei di Palazzo Madama, sfiorando nientemeno che la condanna a morte. Sales e Bellone, mettendo a frutto tutta la loro arte teatrale, ingarbugliarono talmente le cose che il Vicario di polizia, alla fine si limitò a metterli al bando da Torino con la fatidica frase “ch’as gavo dai pè!”. I due cercarono un posto in cui far passare la buriana e farsi dimenticare e giunsero a Callianetto. Secondo alcuni storici frequentarono la famiglia De Rolandis La presenza di Sales a Castell’Alfero è documentata da un’annotazione nel diario di famiglia dei De Rolandis, che riporta la notizia di una visita del burattinaio, venuto per portar loro un’ora d’allegria.
Nel 1794, Giovanni Battista De Rolandis aveva partecipato ai moti di Bologna e ideato con Luigi Zamboni la coccarda tricolore, prima espressione della futura bandiera italiana. Fu imprigionato dai papalini e condannato a morte nel 1796.
L’ispirazione dei due burattinai padri di Gianduja nel 1808
In quell’ambiente stimolato dai fervori unitari, furono verosimilmente definite meglio le caratteristiche satiriche di Gianduja, e Sales e Bellone decideranno di sostituire con la nuova maschera il troppo rischioso personaggio di Gerolamo. Frequentando le piazze e le osterie dei dintorni, è inevitabile che abbiano incontrato o per lo meno siano venuti a conoscenza dell’esistenza di Giovanni Brignolo, detto Gianduja, venditore di vino, che forse avevano visto o di cui almeno avevano sentito parlare in piazza Carlina a Torino. Dalla fusione tra il personaggio reale e il burattino Gironi nacque dunque Gianduja, tant’è vero che gli stessi burattinai dichiararono che Gianduja nacque a Callianetto nel 1808. Come burattino Gianduja esordì a Torino il 25 novembre 1808 con lo spettacolo “Gli anelli magici ossia le 99 disgrazie di Gianduja”. Rispetto a Gironi apparve subito cambiato. Questi era un cittadino beone, pasticcione e tontolone, sempre impacciato e spaurito; Gianduja, invece, è un contadino monferrino sempliciotto e amante del buon vino, ma arguto, battagliero e pieno di buon senso. Evidentemente Giovanni Brignolo era stato preso a modello. Il successo fu strepitoso fin dall’inizio.
Gli spettacoli vedevano sempre il tutto esaurito. Addirittura il teatro San Rocco, in cui il burattino si esibiva, nel 1819 fu rinominato “Teatro Gianduja”. Nel 1843 il burattino animato da tre dita si trasformò in marionetta mossa da fili. Nello stesso periodo, con il diffondersi del teatro dialettale piemontese, apparve in scena anche come maschera e il primo attore a impersonarla fu Giovanni Toselli. L’accoglienza del pubblico fu entusiasta. Durante il Risorgimento la maschera, ormai popolarissima, divenne il simbolo del Piemonte che voleva unificare l’Italia. Si calcola che vennero scritti oltre ottocento copioni di commedie con protagonista Gianduja, che divenne anche personaggio di spicco in molte vignette di giornali satirici dell’Ottocento. Dopo l’unità d’Italia Gianduja a Torino presiedeva i carnevali e le feste con balli in maschera, organizzati dalla “Società Gianduja”, sorta nel 1862 per iniziativa del marchese Emanuele Luserna di Rorà, allora sindaco di Torino. Detta società organizzò anche le famose “Giandujeidi”, spettacoli comici che raccontavano la vita della maschera. Durante la prima, nel 1868, fu messa in scena la nascita di Gianduja: un ortolano di Callianetto spacca un enorme cavolo dal quale esce Gianduja che invece di essere nutrito con latte materno viene allattato a Barbera. In questa occasione Gianduja tenne a battesimo anche il “Giandujotto”, prodotto dalla ditta “Caffarel, Prochet e Gai” di Torino, il primo cioccolatino ottenuto dall’impasto con le nocciole, che prima, nel 1865, era stato chiamato “Givu” (mozzicone di sigaro).
Nasce il cioccolatino Giandujotto e il Ciabot doveva esserne la culla
Abbiamo quindi il personaggio storico, Gioanni Antonio Brignolo, cui fecero riferimento Sales e Bellone per la creazione del loro burattino; abbiamo la data di nascita di Gianduja come burattino, il 25 novembre 1808; vediamo adesso dove si trova la sua abitazione, il famoso Ciabot ad Gianduja. Sulle mappe catastali di Callianetto, in regione Monte del fico, esiste una casa indicata come la Ca’ ’d Gianduja. Nel 1893, in occasione della quinta Giandujeide, manifestazione grandiosa che si svolse a Torino con annessa fiera del vino, quel Ciabot fu fotografato dallo Studio Fotografico Ambrosetti di Torino, fornitore ufficiale della Real Casa, e Germano Brignolo conservava gelosamente una copia di quell’immagine. All’epoca di Gioanni Antonio (il primo Gianduja), alla fine del Settecento, l’edificio non esisteva.
Egli viveva con la famiglia in una “casa grotta” alle spalle della struttura attuale, con annesse altre due grotte, una adibita a stalla e l’altra a cròta (cantina). Secondo Germano il Ciabot ritratto nella foto Ambrosetti fu costruito dopo il 1850, con mattoni essiccati al sole, utilizzando la terra del vallone adiacente, e rammentava che da bambino giocava legando tra loro i vecchi stampi in legno per i mattoni come se fossero i vagoni di un treno. Nel 1925, con lo scopo di rivitalizzare il dialetto piemontese e di tener vivo il teatro dialettale e la tradizione folcloristica, nacque la Famija Turineisa: da allora la storia di Gianduja si fonde con quella della Famija . In occasione del carnevale del 1926, all’insegna del motto “Gianduja a torna! Turin as desvija!” venne ricostruito in piazza Carlina il paese di Callianetto con annesso Ciabot e un mulino azionato non ad acqua, ma a Barbera.
Nel 1947 Gianduja torna in visita a Callianetto
Negli Anni ’30 le cose cominciavano a guastarsi tra la Famija e il regime fascista, e nel 1932, anche la Famija Turineisa, considerata un’associazione non in linea con il regime che preferiva i sodalizi controllati dal partito, fu colpita dai fulmini di Palazzo Venezia e costretta a ridimensionarsi e sciogliersi. Dopo la Liberazione, nel 1946, la Famija risorse e nel carnevale del 1947, al motto “Domie n’andi e voromsse bin”, Gianduja (impersonato da Arturo Gianetto) fece visita a Callianetto con Giacometta e, trasportato su un carro trainato da buoi, raggiunse prima la chiesa per la messa e poi il Ciabot. Nonostante le temperature rigide e l’abbondante nevicata venne accolto da un mare di gente in festa, desiderosa di dimenticare la guerra. Visto il rinnovato successo della più famosa maschera piemontese, nel 1949, l’amministrazione comunale di Castell’Alfero deliberò di acquistare per pubblica sottoscrizione ’l Ciabot ’d Gianduja.
Nel 1950 il ciabòt viene acquistato dalla Caffarel che lo dona alla Provincia di Asti
La ditta cioccolatiera Caffarel, produttrice del Giandujotto, aderì all’iniziativa e l’undici ottobre 1950 acquistò il fabbricato e parte del terreno circostante. L’atto di vendita fu redatto il 31 gennaio 1951 dal notaio Mario Conte di Asti, padre di Paolo e Giorgio. E qui inizia un’odissea che Gianduja avrebbe saputo raccontare molto bene. La Caffarel donò il Ciabot all’Amministrazione Provinciale di Asti, con lo scopo di realizzare un “Museo Folcloristico Regionale relativo alle origini ed alla vita della Maschera Piemontese ‘Gianduja’ e di coloro che impersonarono e ne impersoneranno la figura”. Purtroppo il progetto non decollò e, in data 19 maggio 1954, il Consiglio Provinciale deliberò la revoca della delibera di accettazione della donazione. Quindi, il 4 agosto 1954, il Ciabot venne donato al Comune di Castell’Alfero. Al carnevale di Torino del 1955, partecipò anche Callianetto. Ci sono le fotografie della fatidica barca “Speranza”, che partendo dal Ciabot arrivò a Torino. “La barca ’nt ’l bosch che finalment a l’ha bogià” simboleggiava la fine della crisi postbellica e l’inizio del boom economico.
E il museo? Come direbbe lo stesso Gianduja, è rimasto ’na barca n’t ‘l bosch. Non sono mancate le iniziative. Qui hanno preso il via tante edizioni del Carnevale Astigiano, con Gianduja che partiva insieme a Giacometta alla volta di Asti. Poi nel tempo l’entusiasmo si è smorzato. Le maschere non attirano più il pubblico? «Negli ultimi due anni abbiamo organizzato una festa con le maschere piemontesi – racconta Alberto Amerio, presidente della Pro Loco che ha ora in gestione la struttura –, nel 2015 parteciparono addirittura un centinaio di figuranti e circa 50 gruppi folcloristici da tutto il Piemonte. Ma il Ciabot è in posizione decentrata e la gente si accontenta di mangiare in piazza». A Callianetto il Ciabot ’d Gianduja è anche un famoso ristorante che custodisce molte foto storiche di carnevali. La Pro Loco è ancora alla ricerca di una formula giusta per riportare vita in quel luogo così ricco di storia. Fino al 2013 sul prato del Ciabot si è svolta la rassegna Ceroankio, un festival musicale che ha attirato molti giovani. «Stiamo pensando a un’edizione speciale da organizzare nel 2017, quando la Pro Loco festeggerà i cinquant’anni».
Ha collaborato Umberto Re, ex assessore alla Cultura del comune di Castell’Alfero.