I riflettori sono accesi sui padiglioni di Expo 2015 e pochi ricordano che anche 109 anni fa l’Esposizione Universale si tenne a Milano. Non a Rho, ma alle spalle del Castello Sforzesco, dove nel 1923 sarebbe poi stata edificata l’area della Fiera. Nella primavera del 1906, centinaia di operai lavorarono sodo fino all’ultimo per completare i padiglioni ed erigere gli edifici che per oltre sei mesi avrebbero ospitato l’Esposizione Universale. Per la prima volta l’Italia, dopo gli esordi di Londra del 1851 e poi Vienna, New York, Philadelphia, Chicago, Parigi (nel 1889, che vide sorgere la Torre Eiffel) ospitò la maggiore vetrina mondiale delle innovazioni tecnologiche. Ritardi e incognite non mancarono neppure in quella circostanza, e caratterizzarono anche la vigilia dell’Esposizione di 109 anni fa. Per celebrare l’apertura del traforo ferroviario del Sempione, tra Italia e Svizzera, inaugurato nel febbraio del 1905, il tema scelto fu quello dei trasporti. D’altra parte il Novecento stava consegnando all’umanità un mondo dove le distanze si accorciavano sempre più: le automobili sfioravano già i 100 chilometri l’ora, il Flyer dei fratelli Wright volava già da tre anni e i tunnel per i treni bucavano le Alpi per collegare le capitali d’Europa. Alla fine, non senza qualche affanno, la prima Expo di Milano venne inaugurata il 28 aprile del 1906 («La città era tutta festa, fu finalmente sorrisa dal sole», raccontano le cronache dell’epoca), e si chiuse l’11 novembre. L’immagine simbolo dell’esposizione, realizzata dall’artista e illustratore triestino Leopoldo Metlicovitz, sin dai manifesti magnificava l’apertura del traforo ferroviario del Sempione, di cui il parco manterrà il nome, dopo la manifestazione. Parteciparono 40 Nazioni. I visitatori superarono la cifra record di cinque milioni. I padiglioni era costruiti in pietra bianca, vetro e ferro: un trionfo dell’architettura liberty. Non tutto andò per il verso giusto: l’Expo del 1906 fu segnata dal grave incendio che il 3 agosto distrusse parte della sezione dedicata alle arti. In 40 giorni, le strutture vennero riedificate e re Vittorio Emanuele III tornò per una nuova inaugurazione. Dalle cronache dell’epoca, emergono alcune delle difficoltà organizzative che paiono essere tornate anche in vista dell’appuntamento del 2015. Una su tutte, i ritardi nell’allestimento dei padiglioni: «Il Comitato rivolge a tutti quanti gli espositori indistintamente la più viva e pressante raccomandazione di consegnare immediatamente gli oggetti da esporre», si leggeva sul bisettimanale astigiano Il Cittadino, nell’aprile del 1906, pochi giorni prima dell’inaugurazione. «Più di 250 000 mq. di area coperta non attendono che gli espositori. Su questi soltanto e non sul Comitato, ricadrà la responsabilità di ogni eventuale ritardo nell’ordinamento della mostra». Altra magagna vecchia di cent’anni, i trasporti. Un paradosso, dato il tema scelto dall’Esposizione Universale. L’argomento ad Asti fa discutere: «Gli astigiani mentre sono serviti dalla ferrovia per andare a Torino, Genova, Roma, quando devono invece portarsi a Milano, città alla quale sono legati da molti affari, sono obbligati a pensarci due volte».
L’articolo pubblicato dal Cittadino nel maggio 1906 è di un’attualità sconfortante. «Vi si arriva, sì, ma non bisogna aver fretta – proseguiva il bisettimanale astigiano. Infatti partendo da Asti col treno delle 6 per la linea di Alessandria si giunge a Milano alle ore 12. E cosi si impiega la bellezza di sei ore per percorrere Km. 120 circa ed egual tempo, ed anche più, si impiega se si passa per Casale e Mortara ecc. ». Quest’ultima linea ora è stata soppressa, mentre passando da Alessandria, oggi, i tempi di percorrenza scendono di poco sotto le due ore, salvo i ritardi sempre possibili. «L’Amministrazione ferroviaria obbietterà; ma se gli astigiani hanno premura di arrivare a Milano passino per Torino o per Tortona, ed in questo caso è facile la risposta, ma la significante differenza di spesa chi la paga? […] Bisognerebbe che, la amministrazione ferroviaria, compresa dei nostri bisogni, stabilisse un direttino […] per la linea Asti-Casale-Mortara ecc. Non c’è commerciante di Asti che non capisca la necessità di questo direttino dunque pensino essi, d’accordo col nostro Municipio, a far le pratiche per ottenerne l’istituzione».
Già allora si chiedeva un collegamento con un treno “direttino” tra Asti e Milano
Oggi un “direttino” da Asti a Milano c’è; uno solo, alle 6.45. Un po’ poco, forse, per una rivendicazione vecchia di oltre un secolo. E una volta arrivati nel capoluogo lombardo? Qui gli astigiani avrebbero trovato un porto sicuro grazie all’associazione Famiglia Piemontese, «la quale – scriveva Il Cittadino a maggio – da otto anni, riunisce i piemontesi a Milano e ha deliberato di mettere a disposizione i suoi locali, via San Pietro all’Orto 10, a tutti i piemontesi che si recheranno a Milano, durante la prossima Esposizione Internazionale». Una sorta di ufficio d’accoglienza che offriva informazioni, consigli, «indicazioni d’alloggi e quanto altro potesse giovare durante il soggiorno a Milano». In alternativa, il giornale suggeriva soggiorni all’Hotel Eden, Palazzo Aliprandi, per tariffe che variavano dalle 10 alle 15 lire, «con facoltà di far colazione e pranzo anche nei Ristoranti dell’Esposizione». Destò curiosità il ristorante cinese con quattro cuochi definiti “gialli” che cucinavano pinne di pescecane. Fu anche inaugurato il primo locale “a libero servizio” senza camerieri, cosa per allora stranissima. Ad Asti si guardò con attenzione la sezione vini e spumanti che vedeva in mostra anche alcune delle storiche ditte piemontesi, ma non mancarono le critiche. È sempre Il Cittadino a riportare una decisa stroncatura. «A parte il disordine della sezione enologica o le notizie incomplete sui vini spiegabili […] col risveglio all’ultim’ora dei nostri espositori, dal lato tecnico i vini italiani si sono presentati con alcuni difetti che è necessario siano risaputi. Anzitutto sono stati trovati troppo aspri non solo per eccesso di tannino, ma anche per mancanza di morbidezza. […] Fu rimproverato ancora a noi italiani la troppa fretta di mettere in bottiglia i vini tanto che si son trovati vini in leggera fermentazione nelle botti». Critiche anche per il gusto poco netto, l’eccesso di alcool, la scarsa limpidezza: «I vini, specialmente quelli che vanno alle Esposizioni, devono essere non solo limpidi, ma anche brillanti», sentenziava Il Cittadino. E pare di leggere le perplessità di oggi, non tanto sulla qualità dei vini, migliorata in generale, ma soprattutto sul modo di presentarli al padiglione Italia con incomprensibili mappe emozionali e freddi dispenser che non raccontano nulla della storia di ciascuna bottiglia.