Daria Molinari, nel 1956 seconda sposa quarantacinquenne del celebre Domenico Valinotti, è brillante e vivace compagna degli ultimi anni del Maestro, che la ritrae in studi e dipinti, in eleganti abiti d’epoca e in atteggiamenti quotidiani. Modella e ispiratrice, Daria accompagna il maturo pittore, in congedo dall’insegnamento all’Accademia Albertina di Torino (1940- 1959), a scoprire la quiete della collina, soggiornando al Cascinotto in Sant’Antonio di Canelli e lungo gli argini del Belbo, verso i sentieri di Langa, tra vitigni e noccioleti. La vigorosa indole di Valinotti si era imposta, tra i paesisti piemontesi, fin dagli Anni Venti, con esposizioni alle Biennali di Venezia, alle Quadriennali Nazionali di Roma dal 1931 al 1959, aderendo alla Società Promotrice Belle Arti e al Circolo degli Artisti di Torino, accanto a Gregorio Calvi di Bergolo, Giuseppe Manzone, Pietro Morando, Agostino Bosia, Eso Peluzzi.
Attivo fin dalla giovinezza in decorazioni murali (Casa Littoria, Alessandria 1934), collaborando con Alberto Savinio (Palazzo INA, Torino 1936), con Deabate e Quaglino (Teatro Nuovo, Torino 1962), Valinotti partecipa a premi e rassegne internazionali, promuovendo con i coetanei pittori torinesi estemporanei incontri nel Canavese e gli affollati “Raduni di Bardonecchia”. Apprezzata dai critici Michele Guerrisi, Emilio Zanzi, Marziano Bernardi, Angelo Dragone, la composizione pittorica di Valinotti esalta saldi volumi e plasticità cromatica, in cui definisce ritratti di contadini, la prima moglie Eugenia Gaglio Bertolino e i figli Maria (nata nel 1918) e Michele Augusto (nato nel 1921). Corpose gamme timbriche costruiscono cesti con frutta e fiori recisi. Il paesaggio suggerisce una costante ricerca di scorci e prospettive, campiture terrose e quinte vegetali, ruvidi tronchi e schiume di torrente, il pontile sul lago di Candia, folgoranti marine a Varigotti.
Le passeggiate con Daria, lungo i declivi collinari canellesi, offrono a Valinotti «qualche ora fuori dalle ansietà e dalle miserie che la vita di un artista, nella misura in cui l’artista è uomo come tutti gli altri, deve pur sopportare» (L. Carluccio, 1962).
Il Maestro trova ispirazione nelle borgate, nell’ansa delle colline, negli antichi umori della vita agreste, dell’operosa scansione stagionale, la raccolta delle messi, la fienagione, la fresatura.
Il dipinto San Giorgio di Canelli, effuso di luci dorate, è tra gli ultimi sbozzati dal Maestro, che la notte del 10 ottobre sarà colto da infarto al Cascinotto, alla vigilia della mostra antologica in preparazione a Torino.
Le rigorose architetture di vitigni e di coltivi paiono preludere alla recente consapevolezza del patrimonio paesaggistico di Monferrato, Langa e Roero, le terre della «Bellezza Unesco». Alla scomparsa del Maestro, Daria non tornò a Torino, preferendo restare al Cascinotto, custode dei ricordi e dei dipinti, testimonianze di quattro decenni di magistero e di esistenza.
Dal roseto, ogni sera, all’orizzonte contemplava la strada che porta a Santo Stefano Belbo, ove morì nel 1991, in una casa di riposo.