La lettera del podestà conferma ora e data e azzarda un peso di 15 chili
Quella notte di fine inverno il Virgilio Raimondo fischiettava di gioia, guardando il cielo stellato. Tornava a casa a piedi, in mezzo alle vigne, dopo una visita alla morosa, la Margherita Varvello di Grana. Accadde tutto in un attimo, come poi racconterà: una “palla di fuoco” squarciò improvvisamente il buio. Scappò a casa di corsa, spaventato. Ancora non sapeva che era stato testimone oculare di un fenomeno tanto singolare, quanto raro: la caduta di un meteorite. Erano le 21,30 del 17 febbraio 1935. Una domenica sera. Quella “pietra extraterrestre” caduta nella campagna di Montemagno era destinata a entrare nella storia del Monferrato. E a portarsi dietro leggende e l’interesse di chi studia la magia del cielo. Oggi Virgilio Raimondo non c’è più, ma è possibile ricostruire quanto accadde da una lettera alle autorità del podestà di Montemagno Lorenzo Ferraro e dai ricordi di chi allora era bambino.
Di sicuro l’evento fece molto parlare. Nei paesi del Monferrato ma anche fuori. Ne scrissero i giornali dell’epoca. Anche se le cronache del tempo si dividono, così come le testimonianze più o meno dirette. Ci fu chi disse che era una grande palla di fuoco «grosa me na stansia», grossa come una stanza. Altri sostenevano che avesse bruciato e ridotto in polvere alcuni filari. Vediamo che cosa successe davvero quella notte di ottant’anni fa. È arrivata fino a noi una preziosa lettera datata 22 febbraio 1935 e indirizzata al professor Luigi Colomba, allora direttore dell’Istituto di Mineralogia dell’Università di Torino. La scrisse il podestà del Comune di Montemagno Lorenzo Ferraro e la inviò allo studioso torinese insieme ad alcuni frammenti della meteorite. Troviamo conferma della data e dell’ora della caduta: «il 17 c.m. alle ore 21,30 circa». Scrive il podestà: «Il fenomeno venne avvertito da due agricoltori dalla scia luminosa, senza dar luogo a dubbio sulla caduta relativamente vicina, nella zona collinare. La scoperta dei residui venne occasionalmente fatta da un agricoltore che il lunedì mattina si recava al lavoro; questi giunto nel suo vigneto notò una traccia di canne, viti e terra nettamente bruciate lunga circa 40 centimetri e ai lati di essa frammenti simili a quelli oggi a lei inviati. Al termine venne rinvenuto interrato un pezzo più grosso del peso di circa kg 6, con altri di minor grossezza». Da qui Ferraro ipotizza che «il peso complessivo del meteorite sia stato di kg 15». Il podestà nella sua lettera cita “due agricoltori” come testimoni oculari della caduta di quel “pezzo di ferro celeste”. Uno è sicuramente il già citato Virginio Raimondo. Dell’altro non abbiamo più notizia. Ma altri occhi videro quel «sasso celeste», il giorno dopo: i bambini della scuola elementare furono portati a visitare il luogo della caduta accompagnati dalle maestre. Tra gli scolari di allora c’erano Piero Contino, Angelo Raimondo, il pittore Aldo Ferrarino, i fratelli Antonio e Renzo Bocca. Eccetto Renzo, ci sono ancora tutti. Hanno ovviamente più di 85 primavere. Il decano è fratel Angelo Raimondo. Classe 1925, aveva 10 anni all’epoca dei fatti. Il religioso vive da tanti anni alla Sacra Famiglia di Torino.
I testimoni e il ricordo di Angelo Raimondi “Era caduta nella vigna di mio padre”
Il suo ricordo di quell’episodio è ancora vivido: «Non l’ho vista cadere – racconta – ma tornando da scuola, ho visto in mano al podestà, mio vicino di casa, una cosa molto speciale. Ho chiesto cos’era. Lui mi disse che era una pietra caduta dal cielo. Sarà stata poco più grande di un pallone da calcio». Così fratel Angelo decise di andare a vedere dov’era caduta e trovò una sorpresa: «Il meteorite era caduto proprio nella vigna di mio papà Pietro, nella valle che da Montemagno va verso Grana – ricorda. I giornali avevano scritto tante cose inesatte: non aveva bruciato i filari, ma c’era un solco poco profondo di circa 10-15 metri circa sulla terra. Segno che aveva strisciato nella caduta. Io ho preso dei frammenti. Li ho portati a casa e li ho nascosti in un cassetto della sala. Quando sono andato in collegio, ho cominciato a studiare astronomia e ho capito che quei frammenti erano preziosi. Al ritorno a casa non ho più trovato il cartoccio che avevo nascosto. Mia sorella Adele li aveva buttati pensando fosse “maciafer”. Sa cos’è? Il carbon fossile bruciacchiato che risultava una volta dalla combustione del carbone nelle stufe».
La riscoperta nel 2006 e le nuove analisi scientifiche
Il termine dialettale maciafer spiega bene come si sono presentati alla vista quei 94,7 grammi di “materiale ferroso ossidato” alla loro riscoperta nel 2006. La scoperta è opera di due studiosi: Mariano Gallo, di Nizza Monferrato, responsabile della Sezione di Mineralogia, Petrografia e Geologia del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, ed Emanuele Costa, ricercatore del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino. Stavano attendendo alle operazioni di riordino delle collezioni mineralogiche storiche dell’Università di Torino. I frammenti del meteorite caduto a Montemagno sono stati per tanti anni “dimenticati” chiusi in un cassetto del museo. Erano in un sacchetto insieme alla lettera originale scritta al professor Colomba dal podestà nel 1935. «Quel campione – ipotizzano i due studiosi – fu verosimilmente accantonato dal prof. Colomba nelle cassettiere del Museo di Mineralogia in attesa di poterlo esaminare, ma la messa a riposo dello studioso, avvenuta l’anno successivo (1936 ndr), fece con molta probabilità passare nel dimenticatoio il ritrovamento di Montemagno». Gallo e Costa si sono posti il problema dell’identificazione scientifica certa del ritrovamento.
I reperti sono stati analizzati, dopo 70 anni, dal Laboratorio di microscopia elettronica e microanalisi del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino. I risultati sono stati pubblicati nell’articolo Una caduta meteoritica nel Comune di Montemagno (Asti) pubblicato a firma di Gallo e Costa nel 2007. Qui si legge: «I frammenti analizzati mostrano una composizione chimica compatibile con leghe ferro-nichel di origine meteoritica. Questi primi dati suggeriscono l’origine extraterrestre del materiale».
Ancora ricerche
C’è stato un altro evento a Montemagno degno di essere ricordato: domenica 21 febbraio 2010 con il ritorno in paese dopo 75 anni della teca contenente i frammenti del meteorite caduto nel 1935. Sono stati invitati i testimoni ancora viventi a raccontare la loro versione dei fatti. L’evento è stato organizzato in occasione dell’anno dell’Astronomia e della mostra “Meteoriti. Le pietre del cielo” allestita a Torino al Museo Regionale di Scienze Naturali da Mariano Gallo ed Emanuele Costa con la collaborazione di Erica Bittarello e Chiara Conti. Sono state esposte schegge di asteroidi, comete, intere meteoriti che fanno parte della collezione museale torinese. Una mostra nata dal completamento del Catalogo ragionato della collezione di meteoriti dell’Università e del Museo, a cura di Costa e Gallo, che descrive 98 meteoriti. In mostra c’erano anche 34 esemplari di “tectiti”, rocce che si formano dall’impatto dei corpi celesti con la terra, che fanno parte della collezione museale.
Nota dell’autore
Un ringraziamento particolare a Mariano Gallo per la pazienza e l’intelligenza di scienziato capace di trasmettere la magia dei meteoriti. Questo articolo non sarebbe stato possibile senza il lavoro di anni di Mariano, Emanuele Costa, Erica Bittarello, Chiara Conti, Simona Guioli.
La Scheda