Un negozietto cinque per quattro di corso Alfieri, con affaccio su piazza Roma, fu la prima sede, poche settimane dopo la fine della guerra, del nascente Coni astigiano. Prima di allora il Comitato olimpico non era praticamente esistito in città e la “dirigenza” dello sport locale era stata affidata al prof. Alberto Femore, in un locale della Casa Littoria.
Si doveva dunque partire da zero, cercando di dare impianti e spazi a un’attività agonistica che, terminato il periodo in cui i giovani erano impegnati in ben altre e più pericolose faccende, dava segni di notevole effervescenza.
Il non facile compito fu affidato a un esperto Arbitro di calcio e Giudice di atletica, nato ad Asti nel 1899 da famiglia di origini pugliesi, militante socialista e titolare, con i fratelli Francesco e Tito, della OMA, una solida azienda metalmeccanica della zona est della città. Si chiamava Leonardo Cendola e per 25 anni fu l’incontestabile motore della ricostruzione sportiva di Asti e del suo territorio. Chiamato all’incarico di Commissario da Giulio Onesti, potente patron del Coni nazionale, di origini astigiane e di dichiarate simpatie socialiste, Cendola si mise al lavoro con un impegno e una passione fuori dal comune, sfruttando ogni occasione o conoscenza (più volte consigliere provinciale, della Cassa di Risparmio di Asti, del Panathlon Club e socio della sezione “G. Gerbi” dei Veterani sportivi) per ottenere ciò di cui la Asti sportiva aveva bisogno: sostegni economici, anche piccoli, ma soprattutto impianti. «Diamo una man d’aiuto» e «C’è una lettera da scrivere» erano i suoi abituali intercalari, a segnalare la costante azione per dotare il capoluogo e il resto della provincia di campi e palestre che consentissero un adeguato sviluppo delle attività sportive e agonistiche. Riunì intorno a sé promettenti giovani dirigenti (tra gli altri, Umberto Vacchelli, Michele Serra, Davide Borello, Giovanni Gonella, Giovanni Mandrile, Giovanni Scrofani e Corrado Malfa) e fu capace di imprese assolutamente straordinarie come la sistemazione del “cortilone” di via Natta (oggi occupato da un parcheggio a due piani), la sola superficie astigiana all’epoca riservata alla pratica dell’atletica leggera.
In quell’angusto spazio riuscì a ricavare una pista di sabbia da 200 metri, poi ricoperta da terra rossa che altro non era che polvere di mattoni macinati recuperati da Cendola nelle fornaci che attorniavano la città. Realizzò, novità assoluta per Asti, le pedane per il salto in alto, in lungo e con l’asta e – vero colpo di genio –, mancando lo spazio per un rettilineo di 100 metri, fece correre la distanza su una pista provvisoria diagonale, tra gli opposti angoli del cortilone. Ma il suo chiodo fisso fu sempre quello della piscina, della cui costruzione il grande amico Onesti si era fatto garante.
Una promessa alla fine non mantenuta. In compenso, forse per “risarcirlo”, il Coni scelse di costruire anche ad Asti, in vista delle Olimpiadi di Roma ’60, il Palazzetto che ancora oggi svolge egregiamente la sua funzione in via Gerbi. Dal negozietto del ’45, la sede del Coni si trasferì quasi subito in alcuni locali di piazza Alfieri, dove occupò anche un grande locale all’ultimo piano del Palazzo, all’angolo con l’omonimo corso, ancora oggi di proprietà della Cassa di Risparmio di Asti.
Diventato Delegato, Cendola diresse con grande passione da quell’ufficio la crescita, talora tumultuosa, del movimento sportivo astigiano fino al 1970, quando lasciò l’incarico per “raggiunti limiti di età”, al dr. Umberto Micco, olimpionico di hockey su prato alle Olimpiadi di Helsinki ’52.
Non smise però di occuparsi di sport, diventando l’ispiratore della nascita ad Asti dell’Aics, che ancora oggi vive e prospera nella nostra provincia con oltre 70 circoli e 6000 tesserati e che gli dedica ogni anno uno storico Memorial calcistico.
Dal 1986 riposa nel cimitero di Asti.