Novantacinque anni li ha compiuti il 13 settembre scorso. La contessa Idalberta Gazelli di Rossana ha lasciato il mondo il 26 ottobre. L’ultima visita ricevuta a casa, nel centro di Torino, è stata quella da cui riportiamo questa testimonianza. Un lungo amabile colloquio, sereno e a tratti anche divertente. Lei, lucidissima, e informata su tutto, tra tv e giornale ogni mattina, non ha mai perso la grinta, l’ironia, la “vis polemica”. I problemi alle gambe degli ultimi tempi non sono riusciti ad intaccare la vitalità che ha espresso con i dipinti, i collage, le creazioni con materiali poveri, dalle conchiglie, ai sassi, alle mollette per il bucato. Ida Maria Alberta (ma per gli amici era solo Ninetta) è stata l’ultima discendente della nobile famiglia astigiana dei Gazelli di Rossana, una nobiltà di spada che risale alla metà del ’400. Era nata nel 1917 a Vercelli dove suo padre Callisto, colonnello di cavalleria, IX Signore di San Sebastiano e V Conte di Rossana, aveva sposato Anna Maria Fortina. La famiglia si trasferì poi ad Asti, in via Quintino Sella, nel cuore dell’antico “Recinto dei nobili”, nel bel palazzo di impianto medievale trasformato nel primo settecento da Benedetto Alfieri, architetto di Corte e cugino del poeta astigiano. In quelle stanze antiche sono nati i suoi tre fratelli: Giuseppe (era del 1919, disperso nel ‘43 sul fronte russo a 24 anni), Franca (morta nel 1927 a soli 6 anni) e Marco, nato nel 1930 e scomparso nel ’91. “Mio padre è morto quando io avevo 14 anni e di lui ho ricordi meravigliosi. Mia madre, invece, mi ha sempre molto condizionata, ho capito che mi adorava e che l’ho delusa con un matrimonio borghese”. Con i fratelli ha avuto rapporti intensi, soprattutto con Giuseppe, ufficiale di artiglieria a cavallo a Milano. Quando partì per il fronte russo lo accompagnò alla stazione e ricorda le sue ultime parole: “Sento che la Russia mi è nemica, eppure devo andare, è mio dovere”.
Quella manciata di terra astigiana portata in Russia
Ninetta non ha mai accettato quella morte. Una ventina di anni fa sentì la necessità di andare in Russia. In un cimitero di guerra italiano scavò un buco, vi lasciò un biglietto con tutti i dati del fratello Giuseppe ed un po’ di terra del giardino, presa sotto il “suo” albero piantato quando venne al mondo e tornò con un sacchetto di quella terra russa. “è stato come averlo finalmente sepolto”. Quel giardino, con l’alto muro che lo protegge da via San Martino, è un’oasi nel cuore di Asti, colma di ricordi. Lì ci sono gli alberi che vennero piantati alla nascita di ognuno di loro. Lì sono sepolti Pablo, il cane bass-town che ha amato come un figlio, e la centenaria tartaruga Simpa, vittima dei rigori di un inverno e trovata morta dopo 50 anni di intesa in quello spicchio di Asti. Da tempo la contessa veniva raramente ad Asti, ma i suoi occhi (che con il suo sorriso la rendevano amabile al primo incontro) si sono illuminati nel ricordo dei “suoi” luoghi più amati. Più di ogni altro Vallerella, la villa settecentesca sulla collina appena oltre il Tanaro. “Mi sento legata alla terra, mi piace il contatto con le zolle e con gli animali. A Vallerella, da bambina, andavamo con il calesse. Mia madre adorava guidarlo, ma lo guidavo anch’io. Vallerella (così la chiamò mio nonno) è sempre stata la casa dei miei sogni. L’ho venduta anni fa con la morte nel cuore. Oltre all’impagabile vista sulla città, là ho i ricordi più belli, comprese le strane apparizioni che non solo io ho percepito, ed i campanelli della servitù che dopo la morte di mia nonna suonarono per un mese, sempre a mezzanotte. Ogni giorno, da bambina, facevamo una passeggiata fino alla fornace del Torrazzo dove i toscani facevano i mattoni a mano. Un giorno, sulla via del ritorno, papà comprò a mio fratello Giuseppe l’asinello Barbin che un uomo stava tirando per strada e gli fece costruire un bel carrettino rosso. D’estate, con la cameriera, si andava a Tanaro, alla Mora Neira, a fare il bagno e poi la merenda. La sera si stava a guardare Asti dall’alto, le sue luci e ad inventare figure nelle nuvole”. Dopo le elementari nel Palazzo del Collegio e le scuole dalle suore di piazza San Martino, a 16 anni Idalberta Gazelli venne mandata in Svizzera in collegio, come si usava allora nella nobiltà per imparare le lingue e le “buone maniere” indispensabili per “entrare in società”. “Mi piaceva moltissimo il tedesco. Se avessi fatto ancora un anno avrei avuto il diploma per insegnarlo, ma a 18 anni mia madre mi tolse dal collegio”. La festa del debutto in società fu proprio a Vallerella, con un bellissimo abito bianco ornato di papaveri e fiordalisi. Ninetta ha frequentato poco la buona società astigiana, anche se sua madre l’accompagnava a ballare al Circolo Sociale.
Il burbero Badoglio non voleva neppure perdere alle bocce
La domenica pomeriggio preferiva andare in treno a Torino, dove si ballava a casa di amiche di altre famiglie nobili. D’estate frequentava i Ruffo di Calabria nella loro villa di Valdeperno. Con Paola, sposata poi ad Alberto di Liegi e diventata regina del Belgio, era cugina perché i loro nonni erano fratelli. Le visite (quasi sempre in bicicletta) erano ricambiate a Vallerella, dove era anche nata l’amicizia con i Badoglio che d’estate soggiornavano nella villa di San Marzanotto, donata al Maresciallo d’Italia dopo la campagna d’Africa. “Lui non era per nulla amabile, a differenza della moglie e della figlia Maria, con cui diventai amica. Badoglio quando giocava a bocce doveva sempre vincere, altrimenti si …inalberava, anche se si giocava di niente. Frequentando molto la loro casa ho conosciuto ad una festa anche il principe Umberto. Bello da morire! Un giorno mi invitò anche a colazione. L’ho poi ancora incontrato a Roma, quando con i Badoglio si andava a Casa Savoia, ed ebbi frequentazioni anche con Maria Gabriella. Mussolini non l’ho incontrato quando venne ad Asti, ma a Roma, a teatro, all’opera, nel palco vicino a quello dove io ero con i Badoglio. Aveva con sé Ciano, che entrò nel nostro palco a chiacchierare ed …a fare avances. Quel giorno eravamo andati ad una parata in onore di Hitler e subito dopo a teatro e poi a cena”. Idalberta, biondissima, era molto corteggiata ma, ricorda, erano solo “sbalzi di cuore” brevi e casti. Ninetta ricorda Luciano, la prima cotta a 13 anni, ed il primo amore Giovanni Ricca Barberis di Torino, ma il “colpo di fulmine” fu nel 1942, all’angolo del Cocchi: Vittorio Sarno, un ufficiale giunto dal sud alla caserma di corso Alfieri, dottore commercialista, alto, nerissimo, bellissimo. Riuscì poi a conoscerlo, complice il notaio Gherlone che organizzò un ricevimento per l’occasione. “Ci siamo sposati a guerra finita, quattro anni dopo, nella casa di via Quintino Sella, molto privatamente. Mia madre, che sognava per me un matrimonio di rango, ne fu sconvolta e mi costrinse a sposarmi con un abito marrone. Ti immagini un abito da sposa marrone…”. La coppia andò ad abitare a Torino. Fu una vita intensa: il marito morì nel 1986. Hanno avuto un unico figlio Antonello, che oggi ha 65 anni, vive a Torino e le è stato vicino fino all’ultimo. Molti i ricordi dei pochi amici. Lo scenografo Eugenio Guglielminetti e il pittore Enrico Colombotto Rosso erano come fratelli. Mimma Bogetti, quand’era direttrice della Biblioteca Astense la convinse con la dolcezza di una figlia, a presentare i suoi lavori di poesie e racconti. Ottennero giudizi bellissimi di scrittori come Barberi Squarotti e calorosi applausi degli astigiani. Ecco le ultime parole che hanno chiuso l’incontro con Idalberta Gazelli: “Non voglio essere etichettata come l’ultima nobildonna astigiana. Sono una brava casalinga con tanti hobby che si è dedicata alla famiglia. Sono molto istintiva, mai diffidente, e dico sempre ciò che penso. Ho sbagliato molto, ma sempre consapevole delle mie scelte, spesso obbligate. Se tornassi indietro rifarei le stesse cose, fiera di ciò che ho fatto. Mi è passata la vita addosso lavorando molto. Ora sono stanca. Ho diritto al giusto riposo”. Una curiosità: Idalberta ha portato per decenni due orologi al polso. Uno segnava l’ora italiana, l’altro l’ora del Canada dove viveva la sua “tata”, Colomba Torchio. “Così so quando chiamarla al telefono e non la sveglio”. Andò Oltreoceano a festeggiare con lei i 100 anni e le telefonate continuarono fino alla sua morte, a 106. Un’amicizia profonda con la donna che considerava la sua “seconda mamma”.