Davanti a quella colata di cemento armato si respira la grazia disarmonica di un pianoforte scordato. Un suono cacofonico moltiplicato per 145. Tanti sono i “giganti”, alcuni dei quali alti come palazzi di cinque piani e con pali di fondazione profondi 17 metri, che sfregiano la vallata del Tanaro e si vedono da centinaia di bricchi delle colline tra Monferrato e Langhe, giudicate dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Questi grigi parallelepipedi sono spuntati nel 1985 con il compito di sostenere la nuova linea ferroviaria Asti-Castagnole Lanze. Oggi la funzione dei piloni è quella di ospitare alla loro base qualche slogan inneggiante alla Lega Nord o scritte d’amore in vernice rossa. Piuttosto riduttivo per un’opera di alta ingegneria che ha cambiato, e non in meglio, il paesaggio di un’intera vallata. Su quell’unico binario sorretto da trecento travi per 3962 metri di viadotto da tempo non corre più nessun treno. E quando ci passava era un trenino con motrice a diesel (l’evoluzione della vecchia Littorina), visto che la linea non è mai stata elettrificata. Eppure che quella tratta ferroviaria rischiasse, per la scarsa utenza, di rientrare nel piano nazionale di soppressione dei “rami secchi” lo si sapeva da decenni, forse addirittura da quando di pensò di ricostruirla. Insomma, lo si sapeva anche quando si decise di costruire per ripristinare il collegamento un viadotto da 40 miliardi (delle vecchie lire). I lavori terminarono, come previsto, a gennaio del 1987. Ma perché si decise di costruire quest’opera mastodontica per una linea secondaria che serviva meno di mille persone al giorno?
La frana del 1978 interrompe il vecchio tracciato e c’è chi lancia l’idea del maxi viadotto
Fin dal 1978 il tratto di ferrovia che univa Castagnole Lanze a Motta era tra i più disastrati della provincia. Nella stagione invernale le interruzioni a causa di smottamenti e cadute di pietre sui binari erano all’ordine del giorno. Il 21 gennaio di quell’anno una frana più grossa delle altre interruppe nuovamente la linea. Le ferrovie, dopo aver avviato i primi lavori di ripristino, decisero che non c’erano le garanzie di sicurezza sufficienti per poter riattivare il servizio. Il collegamento Asti-Castagnole Lanze venne dato in appalto ad alcune ditte di autobus. Ma il fronte di difesa della linea ferroviaria non si arrese alla soluzione del trasporto su gomma. Sindaci, deputati, senatori e sigle sindacali chiesero a gran voce il ripristino dei binari. Contro l’isolamento si disse allora e poi c’erano i posti di lavoro dei ferrovieri da salvaguardare, le stazioni come presidio e via elencando. Un punto di svolta arrivò il 24 febbraio del 1982. Nel salone della Provincia di Asti l’allora assessore regionale ai trasporti Cerutti presentò con i tecnici delle Ferrovie il progetto della “variante”. Un’idea che di fatto mandava in cantina il vecchio tracciato per sostituirlo con una nuova ferrovia su viadotto. Preventivo di spesa: 23 miliardi di lire. Cifra destinata a lievitare fino quasi a raddoppiare, ma già all’inizio giudicata enorme considerando il rapporto costi benefici.
Nel 1982 spuntò il faraonico progetto e pochi si opposero
Questa novità spaccò in due l’opinione pubblica. Da un lato i tecnici delle Ferrovie sostenevano che i lavori di rispristino della vecchia linea sarebbero costati molto di più, senza avere poi alcuna garanzia di successo. Dall’altro lato invece i sindaci di Castagnole e Costigliole non volevano arrendersi all’idea di abbandonare il vecchio tracciato perché si sarebbe potuto recuperare con una spesa inferiore a quella della variante. Una tesi suffragata da diversi studi in materia, tra cui quello del geologo torinese Floriano Villa che sosteneva la possibilità di ripristino della vecchia linea con un’opera di terrazzamento a monte dei binari. Il costo totale? Tre miliardi di lire. Il risparmio, oltre a quello economico (tra i due progetti ci sono venti miliardi di differenza) sarebbe anche e soprattutto ambientale. L’opzione avrebbe evitato infatti «lo scempio di un viadotto che interessa un’area paesaggisticamente pregevole e ricca di colture pregiate», scriveva Villa nella sua relazione. Valutazioni, quelle del geologo, che incassarono subito il consenso della Coldiretti, preoccupata per gli espropri di terreni agricoli che avrebbero interessato la fertile vallata del Tanaro. Ma servì a poco. Regione e Ferrovie avevano già preso la loro decisione: «Il viadotto s’ha da fare». In una riunione del gennaio 1984 i dirigenti informarono i cittadini che se volevano nuovamente il collegamento l’unica soluzione era la variante. Il Consiglio comunale di Castagnole riunitosi il 27 gennaio 1984 “prese atto” della decisione. Le Ferrovie avviarono l’appalto. Lo vinse la società Cis, un gigante delle costruzioni che faceva capo al gruppo Fiat. Grande appalto, grande commessa. Tutti contenti. Con il vento primaverile del 1985 tra le margherite sbocciarono anche i primi “giganti” di cemento armato. Una colonna di betoniere iniziò a riversare calcestruzzo nelle cassaforme. Ben presto la previsione di spesa iniziale di 23 miliardi cominciò a lievitare. Secondo il progetto di Ferrovie l’intera linea Asti-Castagnole Lanze andava anche “riclassata” con la sostituzione dei binari e nuovi segnali che avrebbero consentito l’aumento della velocità dei convogli. È curioso, considerata la lunghezza della tratta, piuttosto ridotta, ritenere che un incremento della velocità potesse essere una priorità, quasi si trattasse del Freccia Rossa Roma-Milano. Ma questi interventi non furono i soli “imprevisti” a entrare in gioco aumentando via via la spesa. Anche la galleria di Castagnole infatti si dimostrò inadatta al nuovo progetto, e si decise per la sostituzione del rivestimento.
I dati delle Ferrovie indicavano un traffico tra i 500 e gli 800 passeggeri al giorno
Secondo i dati delle Ferrovie la linea trasportava ogni giorno dai 500 agli 800 passeggeri divisi nelle varie corse quotidiane (da 22 a 30 a seconda dei calendari scolastici). Gli utenti che pagavano il normale biglietto spendevano 1100 lire per viaggiare in seconda classe. La maggior parte di loro erano studenti e lavoratori pendolari. L’appalto costava all’azienda ferroviaria circa un milione e mezzo al giorno, cioè 60 mila lire a corsa, poco più di mezzo miliardo all’anno. Se si fosse scelto di non costruire quel viadotto e di dirottare quella spesa di 40 miliardi di euro sul servizio pullman, oggi di certo i passeggeri non sarebbero a piedi e potrebbero contare sul collegamento (gratis) Asti-Castagnole fino almeno al 2067, a parità di costi. E non serve scomodare gli ambientalisti per capire quanto quella scelta mancata avrebbe giovato al paesaggio della valle Tanaro.
Una linea tormentata e ormai chiusa da quattro anni
Dal taglio del nastro della linea alla chiusura definitiva di quattro anni fa i problemi e le conseguenti polemiche non sono mancate. Nel 1998 un accordo tra Ferrovie e Comune di Asti, che in estate avrebbe avviato la ricostruzione del ponte stradale di corso Savona (dopo l’alluvione del novembre 1994), decise di attestare i treni alla Boana (all’altezza del passaggio a livello che conduce allo stabilimento Fava & Scarzella), con servizio bus per il trasferimento dei viaggiatori in città. Ma se l’allora sindaco Bianchino giudicò l’accordo “una buona soluzione”, il Comitato contro la chiusura della Asti-Castagnole-Alba chiese a gran voce che i treni potessero arrivare fino alla stazione di Asti in piazza Marconi. Per approfondire la situazione, il vicepresidente della Provincia, Giovanni Borriero convocò in sala giunta i rappresentanti di Regione e Ferrovie, i sindaci di Asti, Isola, Costigliole, Castagnole Lanze, gli amministratori della Provincia di Cuneo e dei centri più coinvolti, a partire da Alba. In quell’occasione Borriero lesse anche la lettera inviata dal comitato contro la chiusura della ferrovia (oltre 3500 firme), convinto che la soluzione di attestare i treni alla Boana «farà arrivare in ritardo, tutti i giorni e per tre anni, i lavoratori e gli studenti per il notevole allungamento dei tempi di percorrenza dei bus causati dagli ingorghi in corso Savona». La Provincia puntò allora ad approfondire la possibilità di allestire un ponte provvisorio in corso Savona, così da rendere interamente funzionante la linea ferroviaria. «Il progetto del ponte provvisorio si realizzerebbe con un miliardo e mezzo, che le Ferrovie sostengono di non avere – spiegò Borriero. Provincia e Regione potrebbero provare a reperire i fondi attraverso altre vie finanziarie». Con i lavori per il ponte “a prova di alluvione” in corso Savona (11 miliardi di spesa) si decise anche la chiusura al transito del ponte stradale e ferroviario per la durata del cantiere (3 anni). Dopo un decennio di relativa calma e di scarso utilizzo, le linea ferroviaria torna a far parlare di sé nel 2011. «Stazioni vecchie e fatiscenti, treni sempre in ritardo e carrozze insufficienti»: questi i disagi segnalati dai pendolari. «Chiediamo la doppia carrozza da Castagnole ad Asti nelle ore di punta, ma anche che non vengano più cancellate alcune corse come quella delle 6,45 da Asti» disse il sindaco di Castagnole Lanze, Marco Violardo, in Consiglio comunale. Nella stessa seduta chiese un incontro urgente con l’assessorato ai trasporti della Regione, Trenitalia, Rfi e i Comuni interessati per migliorare, a partire da settembre, il servizio di trasporto su rotaia. La protesta si allargò velocemente a Costigliole dove il capogruppo di minoranza Enrico Cavallero chiese un fronte comune di tutti gli amministratori del Sud Astigiano. Seguirono anche segnalazioni del consigliere regionale Angela Motta (presentò un’interrogazione) e del deputato Roberto Marmo («subito un summit sui trasporti ferroviari»). Disagi furono segnalati anche dagli abitanti di Santo Stefano Belbo: «Per andare ad Asti, siamo costretti a cambiare a Castagnole, ma per alcune corse la coincidenza non ci aspetta. Gli orari vanno ripensati in funzione delle esigenze dei passeggeri». Una protesta destinata a crescere, se non fosse stata estinta da un problema che avrebbe “sepolto” tutti gli altri: la chiusura della linea. Le prime indiscrezioni iniziarono a circolare nel 2012. E sui social network spopolò l’aut aut di Luciano Piccatto, consigliere di maggioranza di Castagnole Lanze: «Salvate la ferrovia o demolite il viadotto». La provocazione arrivò dopo che il Consiglio comunale aveva approvato un ordine del giorno sulla possibilità, ipotizzata dalla Regione, di tagli sulle tratte Asti-Alba e Castagnole-Alessandria. I motivi? Costi di gestione troppo alti rispetto al numero dei passeggeri e problemi strutturali alle gallerie farebbero infatti preferire il trasporto su gomma. Insomma, esattamente quello che si sarebbe potuto fare nel 1985. A distanza di oltre trent’anni, oltre al danno anche la beffa di un mastodontico viadotto ferroviario, tecnicamente all’avanguardia, inutilizzato e abbandonato a se stesso. A nulla sono servite la raccolta firme, gli appelli di pendolari e amministratori, i comitati in difesa della linea ferroviaria, perfino la richiesta di far intervenire il “Gabibbo”. La chiusura delle linee “minori” pare aver messo definitivamente la parola fine al trasporto ferroviario di questa tratta, a meno che non si riescano a trovare nuovi utilizzi turistici.
In futuro trenini turistici o pista ciclabile? E chi vuol “vestire” i giganti
C’è chi propone di usare la tratta per far viaggiare treni d’epoca altri pensano di trasformare il tratto in pista ciclabile. L’ipotesi avanzata nel 2013 è quella di una pista ciclabile di 28 chilometri che coinvolga anche Alba e Canelli sul tracciato della ferrovia (opportunamente adattato). A illustrare il progetto è l’assessore regionale del tempo Alberto Cirio (ora europarlamentare di Forza Italia) nella sede dell’Ente del turismo di Alba. I binari verrebbero ricoperti con pedane di tre metri di larghezza, reversibili in modo da poter essere smontate qualora le Ferrovie decidessero di riprendere il traffico sulla tratta: non prima di aver messo in sicurezza, spendendo oltre 10 milioni di euro, la galleria «Ghersi» a Neive. Ma una ciclovia sulla carta esiste già e dovrebbe collegare lungo il Tanaro la zona di Pollenzo a monte di Alba con Asti. Il tratto albese è stato allestito, quello astigiano si perde tra i rovi. Eppure i finanziamenti europei c’erano. Ma l’idea di una “strada verde” al posto dei binari non è l’ultima novità. Poteva mancare la proposta artistica? I giganti di cemento probabilmente resteranno al loro posto, perché di abbattere il maxi viadotto non si parla più. Quindi perché non farli diventare opere d’arte? Una colorata galleria di menhir dipinti. L’ipotesi al vaglio del Comune di Castagnole Lanze è di lanciare un concorso internazionale per artisti specializzati in murales ai quali affidare i piloni da dipingere: uno per artista. Sono 145 giganti da vestire. Sarebbe interessante incidere un fumetto che racconti come si riuscì a deturpare un’intera vallata perdendo in un colpo solo denaro pubblico e servizi per la popolazione. Per ora nessun lieto fine corre sull’inutile viadotto.