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“Astigiani, fate più figli” firmato Mussolini

Il Duce nel 1928 rampogna il Podestà

Astigiani fate più figli, ve lo ordina Mussolini!

È questa la sintesi della perentoria lettera giunta nel marzo del 1928 al podestà di Asti, Guido Mancini. Un documento straordinario che conferma la battaglia del Duce sul fronte demografico. Mussolini era diventato capo del governo da sei anni, come testimonia la data della missiva “Roma, 4 Marzo 1928 –VI–”.

La carta intestata è de “Il capo del governo”: una decina di righe dattiloscritte (inviate probabilmente, con i rispettivi dati, a tutti i podestà delle città a scarsa natalità). Poco tempo prima erano stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale i dati statistici con gli indici medi di natalità delle province e delle principali città italiane. Asti era nella lista nera e il podestà Mancini, professore di storia e filosofia al liceo “Alfieri”, entra nell’elenco dei “cari camerata” da strigliare.

Il Duce in una rara immagine da nonno (sempre comunque impettito) con i nipoti Guido, Marina, Marzio e la figlia Annamaria.Da Il Duce proibito, Oscar Storia Mondadori, 2005
Il Duce in una rara immagine da nonno (sempre comunque impettito) con i nipoti Guido, Marina, Marzio e la figlia Annamaria. Da Il Duce proibito, Oscar Storia Mondadori, 2005

È un “cazziatone” in stile ducesco rivolto a tutti gli astigiani in età fertile, rei secondo il Duce di essere poco prolifici. «Io non trovo affatto confortante – scrive nella prima parte – trovo anzi sconfortantissima la natalità astigiana discesa al 14 e 7 per mille. Basta pensare che la media francese è del 20 per mille, per comprendere la miseria della natalità di Asti». Il Duce profetizza: «…tra trent’anni la popolazione di Asti sarà composta da gente vecchia! perché i “balilla” non saranno nati». Sul fondo del foglio tre righe vergate a mano con l’inconfondibile firma di Mussolini.

La lettera è una testimonianza dell’intensa politica demografica messa in atto dal regime fascista. Con il celebre discorso “dell’Ascensione”, pronunciato alla Camera dei Deputati nel 1927, Mussolini aveva affermato che i 40 milioni di italiani di allora erano troppo pochi: «Signori, l’Italia, per contare qualche cosa, deve affacciarsi sulla soglia della seconda metà di questo secolo con una popolazione non inferiore ai 60 milioni di abitanti». Un traguardo ambizioso, per un paese il cui tasso di natalità era fermo fin dall’inizio del ’900. Dopo il picco negativo del 1918 (18 per mille), nel 1920, con il ritorno della pace e dei soldati dal fronte, arrivò a sfiorare il 32 per mille, ma poi ridiscese, nonostante la propaganda del regime, suffragata dagli auspici della Chiesa, specie dopo il Concordato del 1929.

Il documento, firmato Mussolini, inviato al Podestà di Asti Guido Mancini nel 1928
Il documento, firmato Mussolini, inviato al Podestà di Asti Guido Mancini nel 1928

Fra 30 anni sarete tutti vecchi senza i nuovi “balilla”

Il fascismo premeva sugli italiani perché mettessero al mondo figli in abbondanza per popolare le colonie e, in ottica futura, per dare “baionette” all’esercito. Per stimolare la nascita di balilla e piccole italiane, le iniziative del regime furono molteplici. Nel 1925 era stata fondata l’Onmi, Opera nazionale maternità e infanzia, un ente assistenziale creato allo scopo di proteggere e tutelare madri e bambini in difficoltà. Venne sviluppata la rete delle Case della madre e del bambino: consultori forniti di personale sanitario con il compito di offrire assistenza – ma anche di fare propaganda. Secondo le rivelazioni Istat, alla fine del 1939 le case erano 162, di cui 81 al nord; quella di Asti, in via Duca d’Aosta, fu inaugurata nel 1940 grazie all’intenso lavoro del pediatra Carlo Currado. L’Onmi organizzò anche la Giornata della madre e del fanciullo, evento ampiamente annunciato e celebrato sui media dell’epoca, durante la quale lo stesso Mussolini riceveva le coppie più prolifiche d’Italia, con dieci figli e oltre, per consegnare loro premi in denaro. E rimane il ricordo di grottesche misure per scoraggiare chi non aveva intenzione di sposarsi e avere figli. È il caso della tassa sul celibato, introdotta nel 1927, raddoppiata nel 1928 e nel 1934. «Questa tassa dà allo Stato dai 40 ai 50 milioni – sentenziò Mussolini – ma voi credete realmente che io abbia voluto questa tassa soltanto a questo scopo? Ho approfittato di questa tassa per dare una frustata demografica alla nazione». Gli scapoli impenitenti dovevano inoltre fare i conti con forme di discriminazione sul posto di lavoro: in caso di assunzioni e promozioni la preferenza andava a chi era sposato e con figli.

Nonostante tutto questo, la battaglia demografica del Duce non ottiene i risultati sperati. La natalità cala ancora, fino al 23,2 per mille del 1937, una tendenza inesorabile generalizzata a livello continentale, mentre la media del numero di figli per matrimonio passa dai 3,61 del 1930 ai 3,31 del ’39. Con buona pace di Mussolini, che di fronte ai dati “sconfortantissimi” relativi alla scarsa prolificità degli astigiani, chiosa la sua missiva al podestà con tre righe scritte di suo pugno. Riferendosi ai dati sentenzia: «Questo può essere confortante per i demo-social-liberali rammolliti, non per noi! ».

I fascisti sono avvisati. Anche a letto.

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