Mussolini concede la Provincia ma spegne il Palio

Il 1935 è un anno importante per la vita astigiana. Dopo un lungo e tormentato iter quell’anno, a marzo, viene conferito alla città il titolo di capoluogo di provincia e si crea il nuovo ente ritagliato sulla carta amministrativa del Piemonte tra le province di Alessandria e Torino, senza intaccare i confini di quella di Cuneo, forte del veto di Casa Savoia “La Granda non si tocca” . Da Castelnuovo Don Bosco a Serole, Asti ha così la sua Provincia che, i più fantasiosi indicarono a forma di grappolo d’uva.

Diario di una “piccola italiana”

La guida del nostro viaggio è una bambina, nata nel 1923. Si chiama Emilia. I “documenti” che abbiamo fra le mani sono i suoi quaderni dalle pagine ingiallite, ma dalla grafia ordinata e ancora nitida, tracciata con il pennino intinto nell’inchiostro del calamaio di un’aula dai soffitti alti e dai banchi di legno.

Gli astigiani alle urne

Gli astigiani tornano alle urne per le prime elezioni libere del Dopoguerra il 24 marzo del 1946. Le ferite del confitto sono ancora aperte, ma c è la sorpresa di ritrovare il gusto della democrazia. Devono eleggere il nuovo Consiglio comunale, dopo gli anni dei Podestà e della Corporazioni voluti dal regime fascista. Per la prima volta sono chiamate al voto anche le donne.

La vita sulle nostre colline

Del paesaggio astigiano dei tempi più remoti sappiamo ben poco per la scarsa presenza di rinvenimenti archeologici; soltanto nel territorio dell’attuale Castello d’Annone infatti sono state ritrovate significative attestazioni di insediamenti umani che, a partire dal Neolitico medio, perdurano in maniera ininterrotta fino al medioevo.

Al Congresso di Vienna

Un diplomatico di nobile famiglia piemontese e un botanico ligure si ritrovano al Congresso di Vienna del 1814-15. Non si conoscono e rappresentano interessi diversi. Nella capitale asburgica le potenze della Vecchia Europa vogliono ridisegnare la carta geopolitica del continente, dopo la bufera delle Rivoluzione Francese e di Napoleone.

Quei tesori nascosti nelle acque del Tanaro

I geologi lo sanno: il corso di un fiume non è mai uguale a se stesso, si modifica, sposta il proprio alveo, si trasforma. Un lavorìo durante il quale il fiume non trascina con sé soltanto rocce, sabbia e terra, ma anche tutto ciò che l’uomo ha lasciato alla portata delle sue acque. E quanto più la civiltà si affaccia sulle sponde, tanto più è cospicuo il “bottino” delle correnti. A volte il caso o la curiosità o la tenacia scientifica degli uomini fanno sì che il fiume restituisca ciò che ha preso e custodito.