sabato 27 Luglio, 2024
HomeMemorie a tavolaNella dispensa a fine inverno tra ciapùle e pum smujà
Memorie a Tavola

Nella dispensa a fine inverno tra ciapùle e pum smujà

Le sapienti pratiche di conservazione della frutta

Immaginiamo una piccola proprietà contadina o un podere mezzadrile  –  la mezzadria fu abolita per legge solo nel 1964, mantenendo tuttavia i contratti già in corso  –  nel secondo dopoguerra. Immaginiamo una famiglia con terreni a coltivazioni specializzate e residue porzioni a colture miste, utili a integrare il fabbisogno quotidiano. Un piccolo appezzamento di vigneto poteva avere anche una coltura consociata temporanea – scelta rafforzata per necessità nel periodo bellico  –  con interfilari di leguminose e di patate, mentre nel campo giù a valle i fagioli di Spagna e quelli del Papa (grossi, piatti, con screziature di vari colori) si arrampicano sulle piante di granoturco.

Qua e là spuntano alberi da frutto. Nonostante si sia alla vigilia del boom economico e di un nuovo stile di approvvigionamenti e consumi, è molto probabile che questa famiglia non si sia sottratta all’uso di fare scorta, attingendo alle stagioni adatte, di prodotti da conservare per il periodo invernale. Lo ricordano le nonne di oggi che, in quegli anni, erano ragazze. Ricordi vividi, inframmezzati da sorrisi e da qualche rimpianto, ma quasi sempre sostenuto dall’orgoglio di aver vissuto esperienze irripetibili, di aver partecipato a riti scomparsi, di aver mangiato ghiottonerie mai più viste.  Tutte home made, cioè rigorosamente fatte in casa.

Come le ciapùle, fette di frutta seccate al sole estivo e conservate in sacchetti di tela. Erano per lo più albicocche tardive o pesche gialle, possibilmente piccole e asciutte di polpa: si spaccavano a metà senza sbucciarle e le si esponeva su graticci sui balconi più soleggiati e ariosi, ritirandole alla sera. La buccia pelosetta dei frutti raspava un pochino il palato e allegava i denti, ma erano una bontà. Niente a che fare con le albicocche disidratate di oggi della Noberasco e di altre di marche, gustose sì, ma un po’ mollicce.

 

Anche le piccole prugne andavano bene in queste pratiche di essiccamento naturale, mentre con i fichi era più difficile, non abbiamo il sole cocente del Sud o della Turchia, meglio cuocerli con zucchero e aceto e metterli nelle burnìe con il loro sciroppo. Per le pesche, poi, è durata a lungo la consuetudine di conservarle nelle bottiglie da vino di vetro scuro: un lavoro certosino per tagliarle a fettine – le più usate erano le pesche di vigna, con varietà dalla polpa attaccata al nocciolo – e poi per estrarle al momento del consumo. Ma che sapore! 

Per non parlare dei pum smujà, le mele conservate in un liquido acidulato. Si prelevavano direttamente dalla damigiana a collo largo, come del resto i peperoni a tumatica che riposavano sotto le raspe. Se i puvrùn smujà in semplice soluzione di aceto, sale e acqua o fra strati di vinacce appartengono al nostro presente e sono menzionati tra i prodotti tipici astigiani, con particolare riferimento al piccolo eccellente peperone di Capriglio, le testimonianze relative ai pum smujà  –  per lo meno fra quelle ritrovate in città  –  si collegano alle feste patronali a cavallo dell’ultima guerra: «Quando si veniva a Sansgund, mio papà comprava a noi bambini un cartoccio di pum smujà. Li prendevano da un grande mastello… erano freschi e pizzicavano in bocca (frisìvu)».

In verità, il più recente ricordo, quello di Aldo classe 1956, è un’immagine nitida di piazza Catena e di alcune contadine che vendevano questa specialità, povera e curiosa, fino agli inizi degli anni Sessanta. A fine inverno la dispensa dei nostri contadini cominciava a essere sguarnita. Come frutta, gli ultimi grappoli di uva fragola o moscato d’Amburgo messi ad appassire in un posto fresco e arieggiato, e l’ultima provvista di mele: marcun, carpendù, rusnent, ormai un po’ raggrinziti, erano buoni da cuocere o per fare una torta. 

Qualche manciata di biscöcc, una quintessenza del sapore di castagna, ottenuti dai frutti prima lessati e poi seccati in forno: e qui il ricordo si protrae  – almeno per le generazioni degli anni Cinquanta  – associato alla frutta secca dei giorni di Natale e Capodanno. Nei sacchetti di tela ci sono ancora fagioli secchi, e con i bianchi di Spagna si fanno a fine inverno buone insalate con l’aringa e le cipolle, conservate al fresco perché non germoglino. I ceci sono finiti con le feste dei Santi, ma la quantità di borlotti basta per tante minestre ancora. La zuppa la si fa buona con un abbondante battuto di lardo  –  ecco un altro alimento che i nostri contadini che, guarda caso, hanno pure allevato un maiale, sono riusciti a conservare, con l’opportuna salagione, fino a fine febbraio – e la si fa diventare un piatto sontuoso con dei maltagliati impastati e tagliati a mano. Altri legumi? Non sono terre da lenticchie, le nostre. 

La sorpresa delle fave

Vengono bene le fave, ma si deve aspettare la fine dell’inverno per seminarle e averle, tenere e fresche, tra maggio e giugno. Se è vero che Gian Luigi Bera in Codice della cucina autentica di Asti riferisce di una stupefacente sopravvivenza gastronomica nel Nord della provincia astigiana da farsi con le fave fresche bollite, ridotte in purè, quindi insaporite da un intingolo di cipolla e pancetta, ci piace immaginare la fava amnaja  –  questo il nome del piatto – preparata con le fave secche. Chissà se la nostra famiglia di contadini ci avrà mai pensato?   

La Scheda

GLI AUTORI DELL'ARTICOLO

Latest posts by Paola Gho e Giovanni Ruffa (see all)

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

3,917Mi PiaceLike
0FollowerFollow
0IscrittiSubscribe

GLI ULTIMI ARTICOLI CARICATI

IN EVIDENZA
Paolo Conte nello studio a Torino con altri musicisti astigiani durante la registrazione di Torretta Calipso nella primavera del 1980

Paolo Conte: avvocato, cantautore… enigmista

In che consiste il gioco? Chi si cimenta con questi enigmi deve trovare una frase cioè la soluzione partendo da un enunciato (esposto) che...

Patente di Astigianità

Sappiate che Da 35 a 40 risposte esatte Ottimo! Siete Astigiani doc, eccellenti conoscitori delle terra dove vivete. Meritate la patente di Astigianità. Da 24 a...

Ciao Luciano

Astigiani pubblica nella pagine seguenti frasi, pensieri, poesie scelti tra i tanti messaggi che ci sono stati inviati o sono stati scritti nella nostra...

Sonetto al sacrestano dimenticato

Una pagina per sorridere su personaggi, vizi e virtù di un passato appena prossimo ancora vivo nella memoria di molti. Ricordi al profumo della...

Quei 10.000 km sulla Topolino verde oliva

Organizzare un viaggio in auto lungo migliaia di chilometri in paesi sconosciuti, il tutto senza l’ausilio di Internet. Oggi sembra un’impresa impossibile, nei primi...

Sul calendario Ottobre-novembre-dicembre 2018

21 ottobre In una Cattedrale gremita di fedeli, Monsignor Marco Prastaro è nominato vescovo di Asti dall’arcivescovo di Torino, Monsignor Cesare Nosiglia. Concelebrano l’ex vescovo...

CONTRIBUISCI A QUESTO ARTICOLO

INVIA IL TUO CONTRIBUTO

Hai un contributo originale che potrebbe arricchire questo articolo? Invialo ora, saremo lieti di trovargli lo spazio che merita.

TAG CLOUD GLOBALE

TAG CLOUD GLOBALE
INVIA IL TUO CONTRIBUTO

POTREBBERO INTERESSARTI ANCHE