Settant’anni di lotte, miseria e speranze
La fillossera: un nome che ancora oggi evoca miseria e paure. Un flagello che ha distrutto i vigneti della vecchia Europa, causato danni enormi e costretto milioni di contadini a emigrare. Ci sono voluti più di settant’anni per sconfiggerla. Ecco che cosa è successo tra il 1863 e gli anni Trenta del Novecento.Il nome scientifico usato comunemente è Philloxera vastatrix. Tra le tante sintesi del dramma che questo insetto ha causato ecco quella dell’enologo Renato Ratti: «Minuscolo afide, giunto in Europa dal Nord America alla fine dell’Ottocento. Dalla complessa biologia, l’insetto fu autore del più tragico periodo della storia della viticoltura europea, in cui sembrò veramente imminente la sua distruzione. Il ciclo di sviluppo si divide in tipo “gallecola”, che attacca le foglie della vite americana, e “radicicola attiva” che attacca le radici delle viti europee. Solo con l’innesto, usando la parte radicale americana, si ottiene una pianta resistente agli attacchi del terribile insetto>>.
Ma che cosa è successo nelle vigne europee negli anni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento?
Dal 1850 al 1881 la popolazione rurale è in forte incremento: la vigna è fonte di ricchezza e si coltiva fino a 700 metri di altitudine, si vedono anche olivi e i peschi fanno “ombra d’oro”. Le avversità sono costituite dalla brina che colpisce in basso o vicino al Tanaro (nella bassura durante l’inverno le viti si tengono sotterrate) e la tempesta cioè la grandine che, in media, un anno ogni sei sacrifica il prodotto. La potatura è ancora “quella dell’uomo biblico” e solo dopo la Restaurazione i filari, prima tenuti molto larghi, vengono infittiti. Stanno arrivando molte novità tecnico agronomiche e anche nuove malattie. Verso il 1848 arriva l’oidio, battezzato “marino o marin sui racolt” (arriva dal mare come i saraceni), considerato come un castigo di Dio contro il quale era stolto e insensato lottare. Ma proprio dal clero arriva l’incitamento a combattere con lo zolfo e non solo con le preghiere. Lo predicano dal pulpito mons. Losana, vescovo di Biella, e il parroco di Barolo don Bona (in seguito le campane avvisavano i contadini quando era ora di fare i trattamenti). Pare che il vescovo di Biella abbia provato con successo, nella sua vigna, l’applicazione dello zolfo seguendo un suggerimento di Giuseppe Garibaldi. Tra il popolino si diceva che Garibaldi avesse confidato al vescovo una parola magica da pronunciare durante la solforazione. La battaglia contro l’oidio è difficile. In molte zone la produzione si riduce a zero e molte vigne sono abbandonate, ma “l’inzolforazione”, inizialmente fatta con le sole mani, pur con vari pregiudizi viene infine adottata su larga scala, la produzione è salva ma dimezzata e il prezzo del vino aumenta del doppio da un anno all’altro. Dal 1860 con il Risorgimento Italiano c’è anche quello viticolo. Si assiste a una vera gara a piantare nuove vigne nei versanti soleggiati e si festeggia il favoloso raccolto del 1871. Una “febbre vitifera” fatta di «propagginamenti…(la cosidetta cougià o spusèira era la margotta-propaggine in cui si sotterrava el puasön)…e molti dei paesi viticoli si possono considerare come una vigna sola» racconta Lorenzo Fantini a fine ’800 nella sua puntigliosa Monografia sulla viticoltura ed enologia, premiata al Concorso Agrario di Alessandria. Si avvia la viticoltura intensiva studiando nuovi vitigni e nuove forme di impianto ed è tutto un fervore di comizi, associazioni e consessi agrari, anche se si suole dire: «una bella vigna vale più di mille conferenze». La marchesa Alfieri di Sostegno ha 50 ettari vitati già appartenuti al conte Camillo Cavour, a cui l’esperto francese Louis Oudart aveva consigliato nuove tecniche. Arrivano notizie lontane. Durante la vendemmia nella Valle del Reno si portano nella vigna i violini e si fanno suonare i flauti, da noi si canta ovunque, e riferisce il Fantini: «In quei giorni benedetti perfino il Sindaco dimentica il comune». Gli uomini più robusti e allenati vengono portati sul luogo della pigiatura a spalla, affinché non si sporchino i piedi precedentemente lavati.
Fine ’800: compare la peronospora che si combatte con il rame
Ma non si può vivere tranquilli. Negli Anni Ottanta dell’Ottocento arriva violenta la peronospora (Plasmopara viticola) che rende improduttive le viti. Nel 1893, dopo un’altra vendemmia grama, il prezzo delle vigne crolla da 6000 a 1000 lire per ettaro (si calcola che il solo costo di impianto superasse i 1500 lire/ha). La peronospora arriva con le viti americane, compare in Europa nel 1878, in Italia nel 1880. Se per l’oidio il rimedio si era trovato nello zolfo questa volta a salvare la viticoltura sono il rame e la calce della poltiglia bordolese (scoperta casualmente in Francia per difendere l’uva dai furti dei viandanti). Il verderame all’inizio viene dato «con u spasèt, come…benedire»2. È una risposta efficace. Nella Conferenza di Alba del 1884 il prof. Domizio Cavazza (padre del Barbaresco, fondatore della Scuola di Viticoltura ed Enologia di Alba e direttore della Scuola Superiore di Conegliano) parlerà di «illiade dei malanni viticoli», suggerendo l’utilizzo del Soffietto piroforo con getto di fiamma sulle parti legnose3. Ma non è finita, sta arrivando il flagello peggiore, la fillossera.
Un nuovo subdolo nemico dall’America. L’avvisaglia nel 1863
Tutto ha inizio nel 1863, quando l’entomologo inglese Westwood riscontra l’insetto sulle viti coltivate nelle serre di Hammersmith vicino a Londra. Vi è arrivato (come già l’oidio) con barbatelle americane infette. La fillossera della vite (Phylloxera vastatrix ora Viteus vitifoliae), insetto emittero omottero, appartenente alla famiglia degli Afididi Fillosseridi, fino a metà Ottocento era noto soltanto in America. Nel 1854 l’entomologo Asa Fitch l’aveva scoperta sulle galle fogliari delle viti negli Stati Uniti, dove non procurava danni apprezzabili (descritto inizialmente sotto il nome di Pemphigus vitifolii). In Europa invece sarà il disastro. Dopo la scoperta di Londra, le macchie fillosseriche appaiono nel Gard e nella Gironda presso Bordeaux (altre fonti sostengono dal 1862 in Portogallo) e si estendono in quasi tutta la Francia, dove nel 1868 nelle vigne del Midi si scopre l’insetto anche sulle radici. La malattia dilaga in poche vendemmie e i riscontri si hanno in Portogallo, Germania, Spagna, Svizzera, Austria. In Italia, si crede che la corona delle Alpi tenga lontano il contagio, ma le prime infezioni vengono segnalate nell’estate del 1879 nelle provincie di Como e Milano, nel 1880 a Porto Maurizio-Imperia, Messina e Caltanisetta (ai due estremi della Penisola), nel 1883 in Sardegna e Calabria, nel 1884 a Catania e Siracusa, nel 1888 in Toscana.
Cresce l’elenco dei comuni infetti e dei divieti di trasporto delle barbatelle
È del 1883 la desolante osservazione del conte Giuseppe di Rovasenda: «la forza di espansione di quest’insetto quasi microscopico finirà probabilmente per vincere in un tempo più o meno lungo ogni arte umana»4. Il Rovasenda, autore, nel 1877 del Saggio di una ampelografia universale, nel 1878 inizia gli studi sulle viti americane, proseguiti dalla Scuola Enologica di Alba, e sarà presidente del Consorzio Antifillosserico Subalpino. La prima segnalazione della fillossera in Piemonte è del 1894 nei comuni di Briga e Tenda confinanti con la Francia (altri indicano Leggiuno sul Lago Maggiore già nel 1886). Poi nel 1896 l’infezione è in provincia di Torino e in Valle d’Aosta. Nel 1897 sono 31 su 69 le provincie del Regno che risultano colpite, fra queste anche Genova. L’allarme cresce. Il 7 agosto 1898 la fillossera viene individuata del prof. Piero Berti nel territorio di Alessandria (che allora comprendeva anche l’Astigiano), in seguito a un commercio clandestino di barbatelle dalle località infette della provincia di Novara. Un protocollo del Comitato Antifillosserico Mandamentale di Nizza Monferrato del 21 agosto 1898 porta la «dolorosa notizia della comparsa della fillossera su quel di Valmadonna Circondario di Alessandria…vale quanto dire averla in casa»5. Una curiosa lettera del 1885 testimonia di una richiesta proveniente da Nice in Francia al Sindaco di Nizza mon Ferrato (sic) «avendo comprato 900 piante di vigne di cotesta città»6 si richiede il rilascio del certificato di assenza fillosserica. Si tentano varie strade per combattere la malattia. Tra queste anche quella degli innesti. Il 23 aprile 1888 Ercole Silva, direttore della Regia Stazione Enologica di Asti, su incarico del Ministero avverte il sindaco del comune nicese, considerato centro viticolo fra i più importanti dell’Alta Italia, che il giorno 27 terrà una conferenza sull’innesto della vite. (Interessante ricordare che l’origine dei Vivai Cooperativi di Rauscedo si fa risalire a un caporalmaggiore piemontese che, giunto durante la prima guerra mondiale in casa di un viticoltore friulano, ricambiò l’ospitalità insegnando l’innesto sulla vite).
Disperati tentativi di evitare l’infezione anche con l’intervento dei carabinieri
Nel 1894 il presidente del Consorzio Antifillosserico Subalpino conte di Rovasenda, dopo citazione «della disgraziata circostanza della scoperta di una nuova infezione a Tenda e Briga», chiede un concorso al sindaco nicese per estendere le investigazioni «ad ovviare all’immiserimento generale che seguirebbe una estesa infezione dei territori vinicoli…in quanto per poco che siasi allargata una infezione, prima di esser scoperta, diventa cosa difficillissima l’estirparla7». Il 9 aprile 1895 la Prefettura di Alessandria con oggetto: “Provvedimenti contro la fillossera” ordina al Comune monferrino di proibire la vendita di barbatelle di vite negli alberghi, essendo essi da considerare come pubblici mercati, e il 7 marzo 1896 il sindaco di Nizza Filippo Fabiani impone una guardia campestre all’accompagnamento di un carro di 1500 barbatelle di vite sequestrate in base al Regio Decreto 1892 con obbligo di ritorno al luogo di provenienza8.Un lungo elenco del Ministero dell’Agricoltura datato 31 dicembre 1895 riguarda i territori da cui è vietato esportare vegetali.
«I comuni che portano l’asterisco sono sospetti, quelli in carattere corsivo sono i territori dove si applicano le distruzioni». Nell’Elenco la Provincia di Cuneo ha Briga e Tenda, Novara ne ha ben 35, Porto Maurizio (Imperia) più di 509. In altra tabella dell’Amministrazione si passa dai 3 comuni italiani colpiti con 24 ettari del 1879, ai 36 del 1890, ai 908 con 351 mila ettari del 1899. La cadenza e la gravità degli avvenimenti è palese sulle pubblicazioni “a caldo” dell’epoca. Si veda il prof. Vittorio Peglion: La Fillossera e le principali malattie crittogamiche della vite speciale riguardo ai mezzi di difesa, Manuale Hoepli del 1902 .
Nuove ricerche scientifiche e ci prova invano anche Pasteur
Dal 1888 (4 marzo) vengono promulgate leggi severissime, richiamando la convenzione di Berna del 1881, nel tentativo di opporsi alle infezioni verso regioni immuni in cui era vietata l’importazione di viti, talee, sarmenti, pali e tutori già usati: «Le spedizioni, quali che siano, non debbono contenere né frammenti, né foglie di viti». Su altro materiale come funghi e tartufi si esige un certificato di “zona non infetta” dal sindaco del luogo di origine10. Un vero e proprio embargo, che non ottiene i risultati auspicati. In ogni provincia del Regno sono nominati i “delegati antifillosserici”, con il compito di ispezionare i vigneti sospetti scalzando i ceppi per cercare le nodosità sulle radici non tanto delle viti già morte, ma di quelle circostanti apparentemente normali che potrebbero essere state infettate da alcuni mesi o da 1-2 anni. I viticoltori dovevano denunciare al sindaco qualsiasi deperimento sospetto: se ciò non avveniva, non erano concesse indennità al proprietario il cui vigneto veniva distrutto. Si raccomandava anche di: «Denunciare alle Autorità o ad un tecnico qualunque deperimento continuato di viti nel proprio vigneto ed anche in quello del vicino»11. Il Sindaco era in obbligo per ogni segnalazione di informare per telegrafo il Prefetto e il Ministero i quali disponevano l’ispezione di “delegati antifillosserici” alla località sospetta, stabilendo poi l’indennizzo a seconda del trattamento che veniva applicato al vigneto.
Gli esperti discutono nei congressi ad Asti, Nizza e Torino. C’è chi cita i “muezzin delle moschee di Bisanzio”
A Riesi, in Sicilia, furono istituiti cordoni di soldati per impedire che dai vigneti infestati potessero esserci fughe di materiale prima della distruzione. In seguito all’osservazione che le viti europee non si ammalavano nei terreni molto sabbiosi, veniva stilata dal Ministero dell’Agricoltura, in concerto con il Regio Corpo delle Miniere, una classificazione dal 1° al 4° grado a seconda della capacità del sito di opporsi ai danni fillosserici. Vennero fatti tentativi con vari insetticidi ma, nonostante il cospicuo premio istituito dall’Accademia di Francia, non si trovò di meglio dei terribili vapori del solfuro di carbonio, sia come metodo parzialmente curativo sia come distruttivo per la fillossera e purtroppo anche per la vite stessa. Il metodo distruttivo “classico” prevedeva il taglio e la bruciatura sul posto delle viti fillosserate, allargando il raggio di intervento per ulteriori 5 metri. Nel 1893 nel Verbanese uomini, donne e persino fanciulli si aggrappavano alle viti per impedirne la distruzione e dovettero intervenire carabinieri e soldati, procedendo a molti arresti. Venne pure proposta e in taluni casi applicata la “sommersione”, fondata sul principio di asfissiare la fillossera con l’acqua, per 25-40 giorni durante il riposo vegetativo. Nella ricerca “scientifica” del tempo molta importanza era data al sapore dei succhi radicali, ritenendosi graditi all’insetto quelli delle specie meno resistenti, dove il parassita si ferma più a lungo e si riproduce. Si fanno studi sulla resistenza dei singoli vitigni: da 10 in giù per certe viti americane e alcuni ibridi, le europee erano a zero.Si riconosceva l’importanza delle “condizioni estrinseche”, quelle che chiameremmo oggi pedoclimatiche: ad esempio vitigni che resistevano bene a Nord, in poco tempo deperivano nel Mezzogiorno. All’inizio del novecento l’Italia si trova con zone considerate fillosserate e abbandonate, dove è autorizzata l’importazione di viti americane, e zone immuni dove ogni introduzione è vietata, salvo quelle distribuite da vivai governativi, come ad Asti per le province di Alessandria, Torino e Novara, o ad Alba nella Scuola di Viticoltura ed Enologia per Cuneo, Imperia e Genova, con circa 7.000 maglioli impiantati dal Cavazza «con lodevolissimo scopo» e che, scrive il Fantini, «fruttò al bravo Professore molti dispiaceri12». Lo stesso Pasteur provò a occuparsi del problema, proponendo di inoculare la fillossera con la pebrina (il parassita dei bachi da seta). Non se ne fece nulla. Non mancarono proposte ministeriali curiose come quella di far sviluppare tralci resistenti provenienti da zone infette in un tubo di vetro chiuso con cotone e naftalina, da trasportare in “vivai lazzaretti” nelle isole e, previa sterilizzazione, sottoporli a coltivazione ispezionandone per anni l’immunità prima dell’utilizzo. Il primo vivaio-lazzaretto di 2 ettari venne stabilito nell’isola di Tremiti.
A San Salvatore Monferrato i tumulti contro gli estirpi causano quattro morti e numerosi feriti
La gravità degli eventi era palese e questa volta anche per darsi coraggio «pei risultati morali che se ne possono attendere» era un gran produrre di Comizi, Adunanze, Comitati, Consorzi, Delegati e Commissioni. Furono celebrati «viribus unitis per lottare vittoriosamente13» congressi antifillosserici regionali ad Asti nel 1892, Alessandria 1893, Cuneo 1895, Nizza Monferrato 1896 e quello Internazionale di Torino del 1898. Il Congresso Antifillosserico di Asti del 4-6 maggio 1892 è organizzato dal Comizio Agrario nella ex chiesa dell’Annunziata, con pranzo d’onore al Leon d’oro. Il resoconto su Il Cittadino cita il Sindaco della città commendator Carlo Garbiglia che proclama la vittoria sull’oidium e la peronospora, ma ora, dice, c’è in campo la fillossera «ancor più terribile che getta alla scienza un nuovo guanto di sfida»14. Presiede il conte di Rovasenda e verrano trattati: L’infezione nel Verbano e in Liguria, l’aumento delle guardie fillosseriche, le proibizioni al commercio di materiale e piantine di vite, le ispezioni e le indennità alle distruzioni. Sullo stesso giornale si racconta che: «La Svizzera essa pure invasa dalla fillossera fece col fuoco distruggere molti vigneti, ma fu inutile. Nell’Ungheria si fece di più ancora: colla dinamite si sconvolsero le colline…ebbene dopo 5 anni si ripiantarono nuove viti e la fillossera riapparve»15. Nella successiva Adunanza del Consorzio Subalpino di Torino del 30 novembre 1895 a cui partecipano per Asti l’ing. Annibale Gavazza presidente del Comizio Agrario, il prof. cav. Enrico Comboni direttore della Stazione Enologica e il cav. Arnaldo Strucchi presidente della Sezione di Canelli, si citano i risultati favorevoli ottenuti in provincia di Cuneo e in Liguria e stando così le cose «di persistere nel sistema distruttivo… malgrado le opposizioni locali16». Non è così nel Verbano, dove si sono riscontrati nuovi centri di infezione e si chiede «sia rinvigorito il servizio di vigilanza portando a 12 il numero delle guardie e a due i battelli per il servizio delle guardie stesse»17. Si è convinti che molta colpa della progressione fillosserica sia dovuta al fattore umano, domandandosi se in certi casi non ci sia «malvagità o ingordigia di lucro in seguito alle troppo vistose indennità che purtroppo si accordarono in passato»18. Non si trascurano gli esperimenti fatti a Cannero dal sacerdote don Lasagna su un concime con proprietà insetticide. Il successivo Congresso di Nizza Monferrato del 8-10 settembre 1896 (l’ultimo prima della scoperta infettiva del 1898 a Valmadonna di Alessandria), con tanto di sconto sui biglietti ferroviari, è ancora presieduto dal conte di Rovasenda affiancato da molti nomi illustri accolti dal “servizio musica” della bande “Cittadina” e “Nicese”. Gli argomenti toccano ancora le infezioni e i provvedimenti di difesa nelle provincie colpite. Si parla di «vedette locali fillosseriche destinate a dare l’allarme»19, cioè dei «vigili (in corsivo nel testo originale) difensori delle nostre viti segnalando come il Muezzin delle Moschee di Bisanzio il primo pericolo». I delegati pranzano all’Albergo dell’Aquila e vanno in visita alla Gancia di Canelli. Ad Asti il 15 settembre 1897 si svolge nella sala maggiore del Municipio una adunanza del Consorzio Subalpino, sempre con la presidenza di Rovasenda, che pure nella dolorosa necessità dei proprietari infetti di doversi piegare alla distruzione dei loro vigneti, chiede che il Governo «continui rigorosamente la lotta col sistema distruttivo tanto in Liguria quanto in Provincia di Novara, ove la presenza della fillossera costituisce una gravissima minaccia per la viticoltura piemontese»20. Allarmata e drammatica la successiva Relazione del Presidente del Consorzio sulle operazioni della campagna 1898, in cui dopo la constatazione che in alcune zone è valsa «La consegna di russare»21, si decideva per le esplorazioni nella Provincia di Alessandria, «la più viticola fra quelle consorziate», con estensione all’alta Valle Bormida e quella d’Aosta. Mentre i lavori procedevano arrivavano le notizie della grave infezione di Valmadonna e quelle riguardanti il taglio clandestino delle viti agli incaricati di Ghemme nonché il rifiuto degli addetti di San Salvatore Monferrato e dintorni di prestarsi all’esplorazione del loro Comune. L’intervento sostitutivo di sei operai ex militari sotto la salvaguardia di 12 carabinieri e di una compagnia di fanteria consentiva l’ispezione di due vigneti per poi desistere a causa dei tumulti. Alla sera accadevano i fatti sanguinosi in paese. I contadini si oppongono agli estirpi delle loro vigne malate, i carabinieri sparano e a terra rimangono quattro morti e numerosi feriti. Al Congresso internazionale di Torino del 1898, a cui partecipa anche l’illustre prof. Louis Ravaz (direttore della più importante scuola agricola francese), oltre alla necessità di ricorrere ancora ai metodi curativi e distruttivi si parla già di «ricostituzione dei vigneti in Francia» e delle «buone prove ottenute coi vitigni americani»22.
La speranza arriva dalle viti americane con le radici più resistenti
A fine anno 1898 a Nizza Monferrato si delibera di impiantare un «vivaio di viti americane resistenti tale da soddisfare a tutte le richieste dei Proprietari»23. Si ha la sensazione di essere sulla buona strada. In un lavoro del 1902 per la Regia Accademia dei Georgofili, preso atto che «le piantagioni in terreni sabbiosi refrattari all’insetto o dove sia possibile la sommersione invernale dei vigneti costituiscono una rara eccezione; nella assoluta maggioranza dei casi, la sola via di salvezza risiede nella proprietà di cui godono alcune specie e varietà di viti, di resistere alle punture della fillossera»24. Molti ibridatori avevano tentato improbabili incroci per coniugare la resistenza di certe viti americane con la buona qualità enologica delle viti europee, ma: «questa rara avis è tuttora un pio desiderio e lo sarà ancora per chi sa quant’altro tempo. Maggior fortuna arrise a coloro che si limitarono alla ricerca di buoni portainnesti; l’uso razionale di questi costituisce per ora la via sicura per conciliare la qualità colla durata dei vigneti nei terreni fillosserati»25.
Arriva la soluzione grazie alla tecnica dell’innesto ma si perdono comunque molti vitigni autoctoni
L’innesto era pratica antichissima (descritto per le viti già da Catone e Columella) e già il prof. Domizio Cavazza nel 1903 e poi Mario Topi e Arturo Marescalchi nel 1934 ribadiscono la strada dell’«innesto su viti americane resistenti». Era nata così la moderna viticoltura. Negli Anni 30 Luigi Bianco testimonia: «il professore Ferraris dell’Enologica di Alba mi faceva andare due volte alla settimana alla scuola per imparare a innestare…Ogni tanto lo accompagnavo nelle vigne: venivano in tre, tutti professori, e cercavano la fillossera. Qualcuno era duro da convincere, diceva che era impossibile, che la sua vigna era sanissima. Così l’anno dopo era tutto secco»26. Nel 1923 il prof. Dalmasso era del parere di conservare il più a lungo possibile i vecchi vigneti per non perdere di colpo tutto il raccolto e solo nel 1929 poteva ritenere che dopo mezzo secolo dalla scoperta in Italia, il problema della fillossera avesse perso di drammaticità. La fillossera ha comunque causato una forte perdita di biodiversità e la scomparsa di moltissimi vitigni autoctoni. Delle 376 varietà (comprese le straniere) presenti nella collezione ampelografia del 1869 del marchese Incisa della Rocchetta o di quelle rilevate a fine 800 con 130 varietà in provincia di Alessandria, 111 in quella di Cuneo, 130 nel Novarese, 200 in provincia di Torino e Val d’Aosta, pur in presenza di molte sinonimie, dopo l’avvento fillosserico si passerà a ritenere idonee alla coltura in Piemonte circa 60 vitigni. È già un buon numero se si pensa che ci fu chi caldeggiò persino la diffusione di un solo vitigno per un’intera regione. La lotta contro la fillossera dunque è stata vinta ma ci sono voluti decenni, miseria e morti prima di arrivare a una definitiva soluzione. Si è passati per studi, tentativi, abbandoni e si sono viste emigrazioni bibliche, proprio verso quel continente americano da cui tutto è partito.
Le schede
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Citazioni letterarie
FEDERIGO VERDINOIS
«Già da due settimane, per una inesplicabile e nuova filossera, andava scemando e intristendo una pianta di garofani messa ad ornamento della mia unica finestra»
CORRADO ALVARO
«Gli uomini hanno armato barche, paranze, motopescherecci, e tentano tutti i giorni le fortune del mare. Molti sono spinti dalle cattive annate, e da quel flagello che ha distrutto in pochi anni molte vigne: la fillossera»
LUIGI PIRANDELLO
«La nebbia aveva distrutto sul nascere le olive a “Due Riviere” oppure la filossera i vigneti dello “Sperone”»
ENRICO PEA
«Mio nonno si era chinato a guardare le viti al calcio e diceva: “La filossera. Certo, se fossero parassiti rimpiattati sotto la scorza, protetti dal freddo non muoiono nemmeno nel pieno inverno e hanno tutto il tempo di mangiarsi il buono della pianta fino a farla seccare”»
ALFREDO PANZINI
“Filossera, nome di un pidocchio delle radici delle viti. Insetto di esiziale effetto sulla nobile pianta”
NOTE
1 Ratti R., Dizionario dei vini del Piemonte e Valle d’Aosta, Sagittario Ed., Asti 1990, p. 52
2 De Caria F., Ricerca sull’evoluzione a memoria d’uomo, della tecnica e del linguaggio viticolo-enologico in centri rappresentativi del Piemonte. 6° La bassa Valle del Belbo e tra Belbo e Tiglione., Assoc. Museo dell’Agricoltura del Piemonte, Torino 1994, p. 21
3 Cavazza D., Le Vendemmie del 1884 Conferenza tenuta nella R. Scuola Enotecnica d’Alba il giorno 21 Settembre 188 (Estratto dal Bollettino del Comizio Agrario), Tip.e Libr. Ved. Marengo e Degiacomi, 1885, Ristampa Anastatica L’Artistica Editrice, Savigliano 1999, p. 56
4 Aa.Vv., Il vino piemontese nell’Ottocento, atti dei Convegni storici OICEE 2002-2003-2004, Ed. dell’Orso, Alessandria, 2004, p. 220
5 Archivio Storico Comunale di Nizza Monferrato (ASC-NM), Faldone 165, fasc. 766
6 ASC-NM, ivi
7 ASC-NM, ivi
8 ASC-NM, ivi
9 ASC-NM, ivi
10 Peglion V., La Fillossera e le principali malattie crittogamiche della vite speciale riguardo ai mezzi di difesa, Ulrico Hoepli Editore, Milano 1902, pp. 43-49
11 Forti C., Guardiamoci dalla fillossera, Uff. Agr. Prov., Tip. F.lli Isoardi, Cuneo 1898, Ristampa Anastatica L’Artistica Editrice, Savigliano1999, p. 22
12 Fantini L., Monografia sulla viticoltura ed enologia nella provincia di Cuneo premiata al concorso regionale agrario d’Alessandria, 1893, Riprod. a cura Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini di Alba, Toso, Alba 1973, p. 262
13 ASNM, Faldone 165, fasc. 766
14 Il Cittadino, Anno XLII, domenica 8 maggio 1892, N. 36, Tip. Paglieri e Raspi, Asti
15 Il Cittadino, Anno XLII, domenica 22 maggio 1892, N. 40, Tip. Paglieri e Raspi, Asti
16 Aa.Vv., Verbale dell’Adunanza 30 novembre 1895, Consorzio Antifillosserico Subalpino, Tip. Subalpina, Torino, p.6
17 Ivi, p. 7
18 Ivi, p. 9
19 Aa.Vv., Atti del Congresso Antifillosserico di Nizza Monferrato, 1896, Tip. Subalpina, Torino, p. 69
20 Aa.Vv., Comizio Agrario del Circondario d’Asti ad iniziativa del Consorzio Antifillosserico Subalpino di Torino, Tip. Subalpina, Torino 1897, p.7
21 Di Rovasenda G., Relazione del Presidente del Consorzio Antifillosserico sulle operazioni eseguite durante la campagna del 1898, Tip. Subalpina, Torino 1898, p. 5
22 Ivi, Appendice, p. 21
23 ASC-NM, Faldone 165, fasc.766. Documenti del 7 e 12 settembre 1898
24 Peglion V., La Fillossera cit., p. 70
25 Ivi, p. 72
26 Petrini C., a cura di., Atlante delle vigne di Langa, Slow Food Editore, Bra, 2000, p. 288
27 Petrini C., Gli Emigranti della fillossera Dalle colline dei vigneti malati a Ellys Island, La Repubblica, Roma-Torino, 06/07/2008,
28 Archivio Stato Asti (AS-AT), Fondo Sottoprefettura di Asti “Gabinetto” Busta 6, Fasc.1
29 Dalmasso G., Problemi economici di Agricoltura Astigiana, Tip.V. Bona, Torino, 1910, p. 276
30 AS-AT, Fondo Sottoprefettura di Asti “Gabinetto” Busta 6, Fasc.1