sabato 27 Luglio, 2024
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Il «dente d’oro» di Nizza. Una storia cariata

Vecchie strutture e cantieri fermi. Un film dal finale ancora incerto

ll «dente d’oro» è il testimone arrugginito delle tante promesse farcite di relativi soldi pubblici che per decenni hanno interessato l’ospedale Santo Spirito di Nizza Monferrato. Intanto in un terreno di regione Boidi, verso Calamandrana, il grande cantiere del nuovo presidio sanitario della Valle Belbo è fermo. In questi due fotogrammi si racchiude il lungo film della sanità pubblica nel sud della provincia di Asti. Sintetizzarne le ondivaghe e spesso contraddittorie vicende non è facile e il finale è ancora da scrivere.

 

Il chiostro del Santo Spirito racchiude vicende antiche

 

Facciamo un passo indietro nella storia. Il convento che ospita l’ospedale nel cuore di Nizza ha origini antiche. In un documento conservato nell’archivio comunale si cita una visita nel febbraio del 1379 del principe Ottone di Brunswig. Nei secoli, ha ospitato frati Francescani, Cappuccini e monache Benedettine. L’edificio conserva ampie finestre arcuate, un chiostro con portici e giardinetti. Al suo interno, trova spazio la minuscola Chiesa del Santo Spirito, con portale in legno intagliato. All’inizio del ’900 fu il medico Arturo Galansino a trasformarlo da infermeria in ospedale. Ma la svolta arrivò negli Anni ’60, con la legge Mariotti che mise mano alla classifica degli ospedali italiani. E quello di Nizza diventò così Ospedale Generale di zona. Allora dietro le quinte dell’operazione c’era la Dc, nella persona di Giuseppe Odasso, che divenne presidente del Santo Spirito e fu a lungo sindaco.

Anni ‘80 l’avancorpo della polemica con sale operatorie inagibili

Alla fine degli anni Ottanta, Odasso propose e ottenne la costruzione di un nuovo reparto con tre sale operatorie e una rianimazione. Quest’ultima non entrò mai in funzione. Dopo varie perizie, anche le sale operatorie vennero chiuse, dopo che un’altra esponente di spicco della politica locale, Giuseppina Billitteri, responsabile dell’allora Usl 69, chiese alla magistratura di indagare su quell’avancorpo ben visibile da piazza Garibaldi. Secondo le perizie la struttura non era stata costruita a “regola d’arte”. Le sale vennero chiuse per difetti strutturali. Si perse nei meandri della giustizia l’ipotesi di una causa civile contro la ditta costruttrice, l’impresa Balbo: nessuno pagò e i mattoni scrostati e le putrelle arrugginite sono ancora lì, ribattezzate dai nicesi “il dente d’oro”. Nel 1998, a maggio, ripartirono i lavori – affidati all’impresa Triches di Belluno (importo 320 milioni di lire) – per risolvere i problemi statici del padiglione centrale dell’ospedale. Vennero affidati nello stesso periodo (all’impresa Saracino) anche i lavori per ristrutturare il Pronto Soccorso. Costo previsto (compreso degli impianti tecnici), un miliardo e 200 milioni di lire. A seguire, altri appalti (siamo all’inizio del ’99), per il reparto di chirurgia con una spesa di 700 milioni e per le sale operatorie (540 milioni).

Reparti del nosocomio nicese. Promosso Ospedale Generale di zona negli anni ’60, fu ampliato negli ’80. Arrivò a ospitare sei reparti, tre sale operatorie e il pronto soccorso

Una prima ipotesi di accorpamento con Acqui e si annunciano le torri

La sanità piemontese stava riorganizzandosi e, in occasione di una visita, l’allora assessore regionale alla Sanità Antonio D’Ambrosio ipotizzò una promozione dell’ospedale di Asti e il passaggio del Santo Spirito sotto la Asl di Acqui. D’Ambrosio, durante la visita al Santo Spirito, commentò a mezza voce: «Questo non è un ospedale». In Valle Belbo, dove già si era accettato malvolentieri l’accorpamento con Asti, con la perdita della Usl 69, arrivò anche la chiusura del reparto di Ostetricia, come era già successo a Canelli. Anche il previsto “punto nascita” all’avanguardia non fu realizzato. L’accorpamento con Acqui tramontò e presero corpo altri progetti di rilancio: si arrivarono a ipotizzare due torri esterne con scale e ascensori, che avrebbero rivoluzionato il sistema di accessi. Costo: un miliardo di lire. Tra i lavori di maggiore rilievo spuntò anche il raddoppio del Pronto Soccorso con accesso e uscita ad anello (al coperto) per le ambulanze e la realizzazione della sala operatoria, l’installazione delle apparecchiature per la Tac e la ristrutturazione della chirurgia. Torri a parte, qualcosa si fece. Ma alla fine del Duemila il Santo Spirito passò da struttura su cui investire milioni a «ospedale a rischio chiusura». A novembre 2002 in migliaia scesero in piazza, compatti e arrabbiati per opporsi alla chiusura del Santo Spirito ipotizzata dall’allora giunta Ghigo. Si chiese il mantenimento dei servizi, Pronto Soccorso compreso, e un corteo di protesta guidato dall’allora presidente della Provincia, il canellese Roberto Marmo, e dai sindaci con fascia tricolore si snodò agguerrito tra le vie di Nizza.

In quel periodo si alternarono velocemente speranze e delusioni, con medici e infermieri sotto organico non sostituiti e i primi spostamenti ad Asti di primari e laboratori. A lanciare ancora una volta segnali d’allarme, fu il Comitato per la difesa della Sanità in Valle Belbo, guidato a quel tempo da Alberto Terzano. «A nome degli utenti della Valle Belbo, chiediamo fermamente che più nulla venga toccato o trasferito dalla struttura di Nizza. Per difendere le nostre strutture siamo pronti a scendere nuovamente in piazza».

Nasce il comitato Difesa della sanità in Valle Belbo

Proprio in quei giorni i temi proposti dal Comitato furono oggetto di discussioni sia all’Osservatorio (di cui fanno parte i Comuni della zona) e sia al Tavolo della Sanità in Provincia. «Noi continuiamo a seguire passo passo ogni sviluppo – spiegò l’allora sindaco Maurizio Carcione – e dal direttore dell’Asl Antonio Di Santo ci giungono rassicurazioni. Adesso chiederemo un nuovo incontro con l’assessore regionale Mario Valpreda, ma non ci sono segnali reali di cambiamenti che possano depauperare la struttura». E l’astigiano Valpreda (in Regione era arrivata la giunta di centrosinistra guidata da Mercedes Bresso) a luglio “bloccò” tutto nell’intento di vederci chiaro sulla Sanità piemontese, non negando l’importanza delle piccole strutture territoriali, corollario dei grandi ospedali. Prese corpo l’idea di una nuova sede ospedaliera al servizio di tutta la Valle Belbo da realizzarsi in regione Boidi.

Esterno del nosocomio nicese

Arriva il progetto del nuovo ospedale in regione Boidi

Ma nella Finanziaria 2006 non c’erano i fondi promessi. Una notizia difficile da digerire tanto per gli amministratori pubblici quanto per l’Asl 19. L’ente infatti, d’intesa i Comuni e la Provincia, aveva già messo a punto una bozza di progetto. Su questi temi si discusse a lungo, prima in Consiglio comunale a Nizza e poi nell’incontro dell’Osservatorio della Sanità. «Emerge un altro problema – annunciò Carcione – se non ci sono i fondi per il nuovo ospedale, non ci sono neppure più quelli per finire di ristrutturare il vecchio Santo Spirito». Un’equazione semplice e realistica.

Il Comune di Nizza votò un ordine del giorno in cui invitava il Governo e il Parlamento a modificare il comma della Finanziaria sui tagli dei fondi, «in relazione alle reali esigenze sanitarie del territorio, indipendentemente dal numero di posti letto». Il limite minimo era stato fissato in 250 posti letto e Nizza non li raggiungeva. 

Il piano di riorganizzazione della Sanità mise in allarme i camici bianchi del Santo Spirito e i sindacati. A gettare acqua sul fuoco intervenne il direttore generale dell’Asl Robino: «L’ospedale Santo Spirito di Nizza non sarà smantellato. Anzi, entro il 2007 saranno appaltati i lavori della nuova struttura ai Boidi».

Era l’anno 2006. I reparti del Santo Spirito erano sei, più una serie di servizi interni. Tre le sale operatorie, di cui due attive per gli interventi di ortopedia, chirurgia e ginecologia. Il direttore sanitario era la battagliera Luisella Martino. Al Santo Spirito, si continuò a operare; il Pronto Soccorso era attivo e vennero potenziate le cure a domicilio. L’obiettivo di Robino però in quegli anni era ancora più ambizioso. «In autunno – annunciò il dirigente – troveremo i soldi per fare il nuovo ospedale; entro fine anno ci sarà anche il progetto. Per il 2007 voglio vedere i lavori appaltati». L’annuncio “ufficiale” venne fatto al Tavolo della sanità della Valle Belbo riunitosi il 27 luglio a Nizza.

30 novembre 2002, manifestazione contro la chiusura del pronto soccorso. In testa al corteo l’allora presidente della Provincia Roberto Marmo con i sindaci del territorio

La promessa: «I soldi ci sono, cantiere finito entro il 2011»

Qualche mese dopo le ex scuole medie di via Bona, completamente ristrutturate dall’Asl per diventare Casa della salute, ospitarono una “grande festa”: così almeno venne definita da Carcione, Robino e da Mercedes Bresso, presidente della Regione Piemonte, ospite d’onore per la firma dell’accordo di programma sull’ospedale della Valle Belbo.

«I soldi ci sono» o, per dirla con le parole di Luigi Robino, «la Bresso è venuta ad annunciarci che la borsa è piena». Il mega piano edilizio sanitario piemontese comprendeva infatti i fondi per l’ospedale che sostituirà il Santo Spirito: una nuova costruzione a forma di stella in regione Boidi. Durante la kermesse per la firma, venne anche annunciata la collocazione di Fisiatria nel nuovo ospedale. L’Asl indisse la gara d’appalto per la costruzione del primo lotto (importo complessivo circa 25 milioni di euro, su 40 già stanziati). Nel cronoprogramma, quattro mesi per assegnare i lavori e verificare le ditte e poi tre anni per completarli. «Se tutto va come deve – si diceva spinti dall’entusiasmo – entro il 2011, medici, infermieri e soprattutto pazienti del Sud Astigiano daranno l’addio al Santo Spirito di piazza Garibaldi per traslocare nella nuova struttura».

Nel diffondere la notizia l’azienda sanitaria ricordò come sarebbe stato il nuovo ospedale: al piano terra un punto di primo intervento attivo 24 ore, il blocco operatorio, il day surgery e il day hospital, il centro prelievi, la radiologia, la Tac e gli ambulatori, la palestra per la fisioterapia. Al primo piano 80 posti letto di degenza, gli spazi connessi e di servizio, mentre nel seminterrato avrebbero trovato posto locali tecnici, magazzini, spogliatoi, mensa, farmacia, impianti e camera mortuaria. Il secondo lotto avrebbe dovuto portare alla costruzione di un ulteriore piano per accogliere gli 80 posti di Fisiatria e Riabilitazione funzionale, visto che era definitivamente tramontata l’ipotesi del reparto con l’Inail a Canelli. Costo di questo lotto: 10 milioni di euro. Il 2009 si diede il via libera alla “occupazione d’urgenza dei terreni” in regione Boidi tra Nizza e Calamandrana. «Una prassi comune: perché non sono ancora state ultimate le transazioni con i proprietari degli appezzamenti», assicurò Robino. Con quella mossa, si avviò di fatto il cantiere per la costruzione del futuro ospedale della Valle Belbo. Il gruppo di imprese che si aggiudicò l’appalto era guidato dall’astigiana Ruscalla, con il vincolo di consegnare i lavori entro il gennaio 2012. La struttura prevista aveva una forma “a margherita”: sei petali di vetro, cemento e acciaio. Costo dell’opera: 19 milioni di euro, finanziati dalla Regione; la giunta Bresso aveva già stanziato anche i soldi per l’altro lotto: 9 milioni di euro per costruire il secondo piano con 80 posti letto di Fisiatria e riabilitazione.

La margherita a sei petali, ruspe nell’acqua e… tartufi

Secondo una stima dell’Asl di quel periodo, il nuovo ospedale della Valle Belbo avrebbe garantito 2700 prestazioni all’anno contro le 497 del Santo Spirito; i ricoveri sarebbero saliti a 3500, il triplo rispetto a quelli del vecchio ospedale. Senza dimenticare il sostegno della Casa della Salute, già attiva in quegli anni, e ospitata nelle ex scuole che si affacciano su piazza Garibaldi. I locali erano stati restaurati con 2 milioni di euro, fondi regionali; altri 130 mila servirono per adeguare ambulatori medici, sala radiologica e collegamenti telematici. Tutto liscio dunque? Nel 2010 lo scavo delle fondamenta destinate a ospitare il nuovo ospedale della Valle Belbo si presentava come una grande buca coperta d’acqua. Causa maltempo, i lavori del cantiere furono sospesi, «anche se il fermo è già previsto nel cronoprogramma» precisò l’architetto Maria Luisa Tabasso, responsabile Ufficio tecnico Asl. Intanto, si accese una curiosa polemica sui terreni espropriati. Stavolta a far insorgere alcuni ex proprietari fu la valutazione degli appezzamenti agricoli: l’Asl si dichiarò disposta a pagare 1,37 euro a mq. Valutazione che non teneva conto della vocazione tartufigena della zona. Secondo alcune perizie un terreno espropriato a 3000 euro con la produzione di tartufi ne valeva almeno 30 mila. Al di là del valore dei terreni, il problema più grosso, sotto gli occhi di tutti, fu la grande pozza d’acqua che i vecchi, in dialetto, chiamavano il “rané”, uno stagno dove da bambini pescavano le rane. Nell’ex prato dei Boidi c’era una falda gonfia d’acqua che ostacolava i lavori. Neanche le pompe drenanti, riuscivano a svuotare del tutto la buca dello scavo. L’Asl fu costretta a rivedere il progetto iniziale: il piano interrato, che avrebbe ospitato tra l’altro i magazzini, la farmacia e la mensa, non si sarebbe fatto. Si sarebbe aggiunto un piano: tre, invece di due, e l’edificio si sarebbe alzato di due metri e mezzo. A lievitare però non era solo l’altezza, ma anche il costo: solo l’intoppo falda costò all’Asl due milioni e mezzo di euro in più di quelli previsti. Quei 24,8 milioni di euro con cui la ditta Ruscalla si era aggiudicata l’appalto. Per la spesa aggiuntiva, «abbiamo usato – chiarì Robino – gli «avanzi» del ribasso d’asta: sono lavori che non si vedono, ma costano». Perché non si era prevista la falda? Comunque era tardi per fermare il cantiere e individuare un’altra area: «Passerebbero anni e sarebbe uno spreco di denaro – disse Robino. Si va avanti. C’è già il finanziamento della Regione – 9,6 milioni di euro – per il reparto di Fisiatria, che sarà al terzo piano. Se serviranno altri soldi, si vedrà». E concluse con una battuta: «Per fare il nuovo ospedale di Alba-Bra hanno sradicato vigne del raro Pelaverga. Preferisco stare nell’acqua oggi, piuttosto che aver tolto dei filari di vigne nicesi per far posto all’ospedale». A stare a bagno però fu soprattutto il cantiere. Nei mesi di stallo si fecero strada ipotesi alternative. Tra le più diffuse in quel periodo fu una variazione di destinazione d’uso da ospedale a mega Casa di riposo. L’aria di protesta riprese a soffiare sulla Valle Belbo. A vari livelli. A Torino nel frattempo era cambiata la giunta regionale che era passata al centrodestra con la presidenza del leghista Cota.

Per strada sfilava il Comitato per la difesa della Sanità in Valle Belbo, guidato da Alberto Terzano. Le «sciarpe gialle» furono il segno distintivo della battaglia per il mantenimento del presidio ospedaliero

Nuovi stop ai lavori e proposte di gestione affidata ai privati

La notizia della sospensione dei lavori del nuovo ospedale in Valle Belbo riaccese la tensione. A far da capofila della protesta anche il rinato Comitato per la Sanità in Valle Belbo e gli esponenti del Pd nicese. Mancano i soldi, fecero sapere da Torino. «I soldi sono una scusa – replicò Maurizio Carcione, che da sindaco seguì l’iter di varianti e progetto con l’allora vice Sergio Perazzo – avete cambiato idea e non volete più fare l’ospedale di Nizza? Dovete avere il coraggio politico di dirlo». Arrivò la risposta: «L’ospedale della Valle Belbo è un cantiere aperto, non un progetto sulla carta, ed è intenzione della giunta Cota portarlo a termine attraverso una programmazione di risorse certe», disse l’assessore leghista Giovanna Quaglia, anche lei astigiana. Proseguì: «Per una corretta informazione è bene sapere che i fondi previsti nel 2008 con l’accordo di programma non erano stati successivamente impegnati, e che di fatto sul bilancio non erano più disponibili. Al momento, come confermato dagli uffici dell’assessorato, è certo che i fondi per il 2011 ci sono e saranno sufficienti per coprire tutte le relative spese, oltre che i lavori in corso d’opera».

Una delegazione andò a Torino. C’erano i sindaci astigiani (capofila, Canelli con Marco Gabusi e Calamandrana con Fabio Isnardi), le consigliere regionali Angela Motta (Pd) e Rosanna Valle (Forza Italia), la presidente della Provincia Maria Teresa Armosino e un agguerrito Giorgio Galvagno, allora sindaco di Asti, che puntò il dito soprattutto contro il ventilato accorpamento del Cardinal Massaia con l’ospedale alessandrino. Da parte sua, l’assessore Ferrero spiegò che: «La Regione Piemonte spende circa 8 miliardi e mezzo l’anno in Sanità, una fetta che rappresenta oltre l’80% del bilancio regionale. Soltanto una cifra esigua di queste risorse può essere riservata agli investimenti, mentre la quasi totalità è destinata ad esigenze di gestione ordinaria. Anche l’ospedale delle Valle Belbo è stato inserito in una programmazione, ma gli unici finanziamenti a oggi disponibili sono quelli derivanti da fondi statali. Al momento non ci sono altre risorse disponibili. Questo però non significa che si intende abbandonare la realizzazione dell’opera. Certamente è indispensabile reperire altri fondi da destinare a questa struttura. L’investimento complessivo richiesto per il completamento dell’opera è di circa 50 milioni, attualmente lo stato avanzamento dei lavori è coperto dai fondi statali che ammontano a circa 11 milioni. Una cifra che ci permette di non bloccare definitivamente i lavori ma che non è sufficiente a portarli a termine». Per fare pressione su Regione e Governo si raccolgono 2355 firme per difendere la sanità della Valle Belbo. A raccoglierle è Politeia, il circolo politico culturale presieduto da Sandro Gioanola. «Il rischio di vedere declassato il nostro Pronto Soccorso da 24 a 12 ore e le incertezze sul futuro dell’ospedale dei Boidi ci preoccupano» sintetizzò Gioanola. Per avere «buone notizie» si dovrà aspettare il 2013 quando l’Asl fece sapere che entro dicembre dello stesso anno si sarebbe finito il primo lotto.

Nel 2009 i primi lavori per il nuovo ospedale della Valle Belbo sui terreni di regione Boidi. Ben presto si scoprì la presenza di una falda acquifera che costrinse l’Asl a rivedere il progetto

Raccolta di firme e nuove proteste

A comunicarlo, i tecnici dell’azienda a una delegazione del Movimento 5 Stelle in visita al cantiere. A guidare «l’ispezione» il deputato astigiano Paolo Romano, accompagnato dal consigliere regionale Davide Bona. «Da mesi stiamo monitorando questo cantiere – spiegò Bona. – Ho depositato in estate un’interrogazione sui fondi regionali ma non ho ancora ricevuto risposta». Sino a quel momento erano stati stanziati circa 22 milioni euro. Il resto sarebbe dovuto arrivare dalla casse regionali e una parte, circa 2 milioni e mezzo di euro, dalla vendita dell’immobile che ospita il vecchio ospedale di Nizza, il Santo Spirito. L’Asl, durante la visita, precisò che l’investimento finanziario era stato rivisto al ribasso. «Non saranno più 39 milioni di euro ma 33. In seguito ai tagli le sale operatorie non saranno più 3, ma 2 e non si farà, nemmeno, il parco fotovoltaico per alimentare la struttura». Stando alle previsioni, a gennaio 2014 si sarebbe dovuto avviare il secondo lotto. Antonio Saitta, il nuovo assessore alla Sanità della giunta Chiamparino, incontrando gli amministratori della Valle Belbo fu più preciso: «Quel cantiere deve procedere, ma non avremo un ospedale in senso classico. Servono 15 milioni di euro subito – aggiunse. – Li dobbiamo trovare e lo faremo. Sui contenuti possiamo dire, ad ora, cosa non ci sarà».

Esclusa la destinazione a grande Casa della salute o a Casa di riposo. Si pensa a un ospedale di prossimità, Rsa (residenza sanitaria assistenziale) con annesso punto di primo intervento, centro per la cura delle post acuzie. Tutte possibilità che dovranno trasformarsi in un’unica proposta concreta.

Nel 2015 prende corpo un’ennesima proposta: quello che sarebbe dovuto essere il nuovo ospedale della Valle Belbo diventerà un accogliente hospice destinato alle cure palliative. A rendere pubblica l’idea fu l’allora direttore generale dell’Asl di Asti Valter Galante. «È un servizio che manca in provincia di Asti – aggiunse. – Sarebbe molto utile al territorio. Ecco perché anche la Regione si è detta favorevole a convertire quel progetto ad hospice». E al Santo Spirito cosa resterebbe? «Tecnicamente non sarà più un pronto soccorso – spiegò Galante – sarà un punto di primo intervento, ma la sostanza non cambia. Chi entrerà lì con un infarto in corso, verrà stabilizzato e poi portato dove ci sono medici e strutture in grado di intervenire»

Lo stesso Galante, il 30 aprile 2015 decise di rescindere il contratto con l’impresa Renato Ruscalla. Via ruspe, ponteggi e gru: in regione Boidi non restava che l’involucro esterno di un ospedale da 15 mila metri quadri diventato ex ancor prima di essere costruito. L’Asl si mette al lavoro per compilare il piano di consistenza, il documento che certificherà, mattone per mattone, l’avanzamento lavori. Ultimato, si potrà tornare ad appaltare l’opera, ma servono i fondi e il capitolo edilizia sanitaria della Regione ha a bilancio zero euro. La speranza di Angela Motta, consigliera regionale del Pd, e Flavio Pesce, sindaco di Nizza, anch’egli Pd, era la revoca del provvedimento di rescissione del contratto con un piano finanziario credibile. Altrimenti si dovrà indire una nuova gara d’appalto sperando che non vada deserta. Una terza via venne ipotizzata dalla stessa Asl, con il neo direttore generale Ida Grossi: «L’azienda sanitaria accenderà un mutuo da 10 milioni di euro, altri 15-18 milioni arriveranno dai privati e dalla Regione».

«Una parte di denaro potrebbe arrivare da chi poi gestirà l’hospice e i letti di lungo degenza», ipotizzò Pesce. L’investimento dovrebbe essere ripagato con una convenzione di 20 o 30 anni. Nel 2016 altre dichiarazioni speranzose: «Realisticamente avremo una ditta costruttrice sul finire dell’anno nuovo e pensiamo di chiudere il cantiere nel 2018», promise Ida Grossi.

Il cantiere fermo da quattro anni. La giunta Chiamparino ha recentemente annunciato di aver stanziato le risorse necessarie per terminare i lavori

 

Arriviamo ai giorni nostri. Antonio Saitta, l’assessore regionale alla Sanità, torna ottimista: «La giunta Chiamparino si era impegnata fin dall’insediamento tre anni fa a completare il presidio sanitario della Valle Belbo: oggi abbiamo stanziato la parte residua di risorse indispensabile a terminare i lavori, mantenendo quanto abbiamo sempre dichiarato al territorio». È arrivato l’impegno di spesa regionale e ora l’Asl di Asti potrà indire la gara d’appalto e riaprire il cantiere chiuso 4 anni fa. «Con l’approvazione della delibera – commentano l’assessore Giorgio Ferrero e il consigliere Angela Motta – la Regione ha mantenuto gli impegni presi con i cittadini, l’ospedale della Valle Belbo si potrà realizzare».

In una nota la Regione ha anche precisato quali saranno i contenuti dell’ex nuovo ospedale della Valle Belbo ora riconvertito a presidio di territorio: punto di primo intervento aperto 24 ore, sistema di emergenza territoriale, 40 posti letto di continuità assistenziale (Cavs), poliambulatorio polispecialistico, chirurgia ambulatoriale, radiologia, riabilitazione funzionale, dialisi, centro di salute mentale, hospice con 10 posti letto, ospedale di comunità con 15 posti letto (gestiti dai medici di base) e postazioni per i medici di medicina generale. I primi pazienti potrebbero essere curati dal 2020. E mentre si puntano di nuovo i riflettori sul cantiere del Boidi (per ora ancora fermo), resta il vecchio Santo Spirito.

Quando ripartirà il cantiere? Che fine farà il vecchio Santo Spirito?

Oggi i posti letto di medicina del vecchio ospedale sono stati convertiti a «Cavs», letteralmente: continuità assistenziale a valenza sanitaria. Il reparto, che conta 30 posti, tratta pazienti dimessi dai reparti del Massaia che non possono proseguire il percorso terapeutico a casa in autonomia. Sono accuditi anche in 7 letti hospice i malati terminali che ricevono cure palliative. Resta attivo, sulle 24 ore, il punto di primo intervento, ma il 118 trasporta la maggior parte dei pazienti al Pronto Soccorso di Asti. Anche la farmacia territoriale, la radiologia (lastre, Tac, mammografie ed ecografie), la psichiatria territoriale e la medicina fisica e riabilitativa (territoriale e ambulatoriale) sono operative e andranno trasferite ai Boidi. L’edificio vetusto e malconcio del Santo Spirito, una volta svuotato, troverà un acquirente o farà la triste fine del vecchio ospedale di Asti? Non bisogna perdere altro tempo. La nuova direzione Asl assicura che il cantiere ai Boidi ripartirà a breve. C’è una data che incombe. Il 31 dicembre 2019 scadrà la certificazione di sicurezza del vecchio immobile. Che cosa succederebbe se il Santo Spirito dovesse chiudere prima che i lavori per il nuovo ospedale Valle Belbo siano ultimati? Il film non è ancora finito.

L'AUTRICE DELL'ARTICOLO

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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