A metà Cinquecento la leggenda medievale della vergine bretone Orsola e del suo martirio ispira il nascere in Germania, Francia e in Italia di monasteri delle Orsoline. Theodora, figlia di Guglielmo Caccia (Montabone 1568-Moncalvo 1625), con le sorelle entra nel monastero delle Orsoline di Bianzè, nel Vercellese, assumendo il nome di suor Orsola Maddalena. Il padre, famoso pittore, chiede a mons. Scipione Agnelli, vescovo di Casale, di istituire un monastero a Moncalvo, contiguo alla propria dimora, per poter continuare la collaborazione artistica con le figlie pittrici Francesca e Orsola. Quest’ultima si rivela una dinamica amministratrice sia della bottega d’arte paterna, proseguendone l’attività, sia del monastero, svolgendo il ruolo di badessa per vent’anni, fino alla scomparsa (1676). La chiesa del monastero, ricca delle opere di Guglielmo Caccia, dei suoi lasciti e delle tele di Orsola (Sacra Famiglia con Sant’Orsola e Sant’Anna, Natività di San Giovanni Battista, San Luca nello studio) viene consacrata dalla diocesi di Casale nel 1665.
In età napoleonica, nel 1802, con altri conventi, il monastero delle Orsoline fu soppresso e acquistato dal Comune di Moncalvo per la sede municipale. Della badessa pittrice Orsola Maddalena sono rimaste numerose tracce anche nelle civiche collezioni di Moncalvo: dall’evocazione simbolica delle floreali nature morte da leggersi come atti di preghiera alle grandi tele devozionali. Molti studiosi hanno dedicato intensi approfondimenti sulla metodica compositiva di Orsola Caccia, fino alla recente costituzione di un’associazione di cultori e appassionati moncalvesi (onluscacciamoncalvo@libero.it). Orsola Maddalena si ispirò alla pittura paterna, consolidata dalla varietà cromatica e dalla ricerca iconografica, con un originale linguaggio decorativo, tra canoni rinascimentali e nascenti luci caravaggesche, d’ascendenza fiamminga.
I frammenti evangelici (ne La nascita di S. Giovanni Battista: “Giovanni è il suo nome…”) sono rielaborati da Orsola Maddalena con delicata eleganza. La composta pennellata della badessa, con diligente fermezza, coglie l’incarnato serico della Vergine in attesa del Figlio, conchiusa nell’avvolgente aura candida del neonato Giovanni Battista, dell’agnello (“Ecce Agnus”) e le coltri della puerpera Elisabetta, tra panneggi ambrati e trine perlacee delle fantesche, nel complice effluvio di gesti e di sguardi. Vasellame specchiante, frutta e fiori, il porpora della Passione, il vino eucaristico, l’acqua della creazione, in contrappunto ai putti alati della citazione adombrata a margine, focalizzano lo sguardo vivace della bimba e il trepido appunto del cagnolino, nel simbolico gioco illusivo della vita.