Adesso che riposa a Castiglion della Pescaia, noi astigiani che abbiamo amato il torinese Carlo Fruttero, autore con Franco Lucentini di pagine inconfondibili del vivere piemontese, ci teniamo stretta quella piccola terra monferrina che lo scrittore frequentò nella sua versatile esistenza. Rileggendo “Mutandine di chiffon” ritroviamo un dipinto di parole, una tela impressionista che conosciamo: “Tutto quel mondo fermo e quieto, quei lenti buoi sui sentieri tra le vigne, quelle cascine isolate, quei filari di gelso…. E quei colori – il rosso dei rami di salice, il verderame, la polvere pallida, il viola azzurrino delle ortensie, il grigioverde dei covoni di fieno nei prati – tutto quell’idillio silenzioso appena increspato da un muggito, da un lontano latrato di cane…”
Eccolo, il borgo Passerano dove Fruttero abitava, la casa della nonna materna posta sotto il castello: “Qui arrivavano i carri traboccanti d’uva, qui c’erano gli immensi tini, qui i lavoranti cominciavano il pestaggio dei grappoli a piedi nudi.”
E scrive: “La vigna della nonna constava di pochi filari sul fianco di una valletta laterale e la raccolta dell’uva era un semplice pretesto per un pic nic. Si mangiava scomodamente tra mosche, vespe e formiche, si riempivano i cestini di neri grappoli che poi un contadino avrebbe mescolato coi suoi e trasformato in vino, barbera o freisa, di dubbia
qualità”.
Ancora oggi chi si fidasse di tecniche naives di vinificazione, niente di più farebbe con uve scompagnate: un vino di risulta, ùvagi in dialetto. Tanti i ricordi di Carlo bambino: odori rumori personaggi e riti da chiesa, usanze e giochi di piazza. E su tutto la nonna, archetipo familiare di campagna: “Era una donna dall’aspetto temibile, naso adunco, voce aspra e imperiosa appena venata di dolcezza. Grandi, misteriose amarezze avevano segnato la sua vita orientandone il carattere verso una frustrata animosità”. Una donna antica che ha visto guerre tifo e vedovanze, senza mai allontanarsi “da colline, da stretti e tortuosi sentieri, fra i salici del fondovalle e gli sparsi ciabot esaltati dal meraviglioso colore del verderame”.
La nonna di molti di noi.