Nasce a Castelnuovo Calcea nel 1802, l’Alfieri morirà l’anno dopo a Firenze
“Ante l meis ch’a j’è la brin-a/ Ch’a dàla sbrat ai passaròt /Su la punta d’na colin-a/ I son nà come un cossòt»1 Così Angelo Brofferio descrive il suo venire al mondo il 6 dicembre 1802, prima decade di nevoso, anno XI della Repubblica, a Castelnuovo Calcea, un paese abitato da contadini da sempre sottomessi alle diverse dominazioni dagli Austriaci ai Savoia ai Francesi.
Il padre Giuseppe, medico, è, invece, di idee giacobine e Angelo, a sette anni, legge nella biblioteca paterna libri di Alfieri e Voltaire, i versi di Ossian, Tasso e Ariosto, mentre il nonno Michelangelo, chirurgo, gli trasmette l’interesse per la natura. Il giovane Brofferio è affascinato dal conterraneo Alfieri. Tra i due è passata una generazione: il poeta era morto a Firenze l’8 ottobre 1803, dieci mesi dopo la nascita a Castelnuovo Calcea del futuro protagonista del Risorgimento.
Il giovane Angelo racconta di aver scoperto il fascino della recitazione alla festa di Castelnuovo con le favole dell’imbonitore Faiotto e con il teatro dei burattini, animato da un ciabattino ambulante di Asti. Fa costruire un piccolo teatro davanti al fienile di casa dal falegname e suonatore di mandola, detto “Trin tran”, e dal figlio, detto “Zin zin”, maldestro suonatore di violino. Per i costumi sottrae qualche vestito della madre e pezzi di tappezzerie. La prima recita è il Guerrin meschino, Zin zin è il burattinaio e addetto alla scena e alla musica e Angelo dà voce a tutti i burattini; ma l’effetto del sole, reso da uno zolfanello dentro a un bicchiere, appicca l’incendio agli alberi di carta e ai costumi. La punizione del nonno è inevitabile.
L’anno dopo con la società filodrammatica del paese il bambino immaginoso mette in scena la tragedia di Vincenzo Monti Caio Gracco davanti a un pubblico sorpreso e incredulo da tante lacrime. Gli piace anche travestirsi da diavolo con due corna di stoppa o da angelo Gabriele con ali di piccione nel presepio.
I racconti di streghe, vampiri, spiriti e morti ambulanti che gli fa lo storico De Canis, in villeggiatura a Castelnuovo, infiammano la sua fantasia e così, in una notte senza luna, va a cercare fantasmi e diavoli vicino al grande noce del bosco di Vignole. Si sente un eroe, addobbato con usbergo, corona, manto, lancia e il fondo di una cesta di patate come scudo, ma scambia uno spaventapasseri per un terribile gigante e fugge a gambe levate.
A dieci anni in collegio ad Asti
Le gare di novelle
È un ragazzo vivace e curioso. A dieci anni Angelo viene mandato in collegio ad Asti e si consola della malinconia della lontananza da casa componendo il suo primo sonetto e sfidando un altro collegiale nell’inventare novelle fantasiose. La prima volta che il padre lo accompagna a teatro, durante le feste di S. Secondo, assiste al Teatro di S. Bernardino a Le furie di Medea per Giasone ed è affascinato, dall’immagine sul sipario sciupato, dalla raffigurazione di Vittorio Alfieri in camicia portato in cielo dagli angeli.
Nel 1817 si iscrive all’Università di Torino
Assiste anche al Saul di Alfieri in un teatro quasi vuoto e pensa che Asti non è città alfieriana e che il poeta ha fatto bene ad andarsene.
Insofferente dell’ambiente del collegio, va a convitto nella casa dell’abate Gagliardi, che gli fa leggere prosatori e poeti e recitare scene delle tragedie dell’amato Alfieri. Gli attori sono fantocci comprati dal padre da un rigattiere della via maestra. Con la società filodrammatica dei giovani interpreta anche le commedie dell’astigiano Morelli e di Alberto Nota, ma l’attività è interrotta dal parroco di S. Martino, preoccupato del potere funesto esercitato dal teatro sulle giovani menti.
Dopo la morte del nonno e la vendita della casa di Castelnuovo, nel 1817 la famiglia Brofferio si trasferisce a Torino e Angelo si iscrive all’Università. Più che agli studi legali è interessato al teatro. Imitando l’impianto alfieriano, compone tragedie con intenti politici come Geta che, però, viene giudicata una ragazzata senza importanza. Assiste alla Francesca da Rimini nell’inverno del 1818 al Teatro d’Angennes, ma non rintraccia nel dramma di Silvio Pellico lo stesso spirito alfieriano contro i tiranni.
Continua a scrivere e, sul modello delle commedie di Alberto Nota e di Carlo Goldoni, che apprezza perché mettono in scena i vizi e le virtù reali, compone in una settimana Chi non sa non faccia, che non ha la sorte delle scene.
Per ora il giovane Brofferio si esibisce nei salotti nobiliari torinesi, affascinando le signore giovani e meno giovani con versi, azioni mimiche e canti accompagnandosi con la chitarra. In quegli ambienti ha anche occasione di intrattenersi con letterati italiani e stranieri.
Dopo la concessione della Costituzione da parte del re di Spagna nel 1820, Angelo scrive di getto discorsi politici e canti guerrieri aderendo a un appello dei carbonari, di cui fa parte anche il padre Giuseppe. Nel gennaio del 1821 partecipa ai moti studenteschi, soffocati da una sanguinosa repressione poliziesca, e nel marzo segue il capitano Ferrero, il quale, con la guarnigione di San Salvario, cerca di raggiungere altri insorti in Piemonte per proclamare la Costituzione nel Regno sabaudo.
Teatro, studi universitari e belle ammiratrici
Giunto ad Asti con i rivoltosi, Angelo, salito su un banco in piazza S. Secondo, tiene la sua prima orazione pubblica esaltando la rivoluzione della Repubblica Astese. Il suo fervore retorico viene, però, bruscamente interrotto dagli scappellotti dello zio Pavia che, avvisato dal padre, mette fine alla sua verve oratoria, ma Angelo per questa sua performance viene schedato dalla polizia politica come sovversivo.
Sedati i tumulti, Brofferio ottiene di rappresentare il suo Sulmorre al Teatro d’Angennes, ma il testo è radicalmente travisato dalla censura. Quel debutto richiama, però, su di lui nuovamente l’attenzione della polizia, che il 22 novembre 1821 lo fa condannare all’esilio di sei mesi dai Regi Stati dominati dai Savoia.
Brofferio si dichiara contento di andare all’estero, si vanta di far paura al governo, ma il padre lo nasconde soltanto dagli zii in Monferrato e poi presso un vecchio generale torinese, ammiratore del regime zarista. Il giovane giacobino, che non sopporta il suo ospite, preferisce chiudersi nella torre di casa fino a che il padre riesce a ottenere la revoca della sentenza e la sua riammissione all’Università.
Intanto prosegue l’attività di scrittore per il teatro. La compagnia Moncalvo mette in scena Il Corsaro, dramma che Angelo ha tratto dall’opera di Lord Byron. Come diritti d’autore riceve un palco di terz’ordine per tutta la stagione. Scrive subito un altro dramma La foresta dei fantasmi, con delle streghe belle come l’attrice Luigia Pizzamiglio, di cui si è invaghito, ma le critiche non sono favorevoli e il giovane decide di provare con la commedia Due Terrazzani in Torino, che è censurata perché contiene ironie a danno dei nobili. Brofferio è un fiume in piena. In cinque giorni scrive Il Castello di Kenilworth, ispirandosi a Walter Scott, sempre per la sua attrice preferita.
Le donne, attrici e nobili madame, sono le più convinte sostenitrici dei suoi sogni giovanili di diventare il nuovo Alfieri. Persino la grande attrice della Reale Compagnia Carlotta Marchionni legge i suoi componimenti nei salotti.
Consegue la laurea in legge il 7 febbraio 1823, ma Angelo Brofferio si rifiuta di diventare un avvocato che definisce “trafficante erudito di legislazione ma incolto e ottuso”, e continua a scrivere tragedie. Su insistenza del padre accetta, però, di fare pratica legale all’Ufficio dei poveri e dei patrocini gratuiti, ma è più assiduo nei salotti.
Studia l’inglese apprezzando Shakespeare e Byron e si iscrive alla scuola di eloquenza di padre Manera, un gesuita conservatore, che apprezza le sue capacità stilistiche, ma critica aspramente il suo carme Lamento di Dante contro i tiranni e, dopo l’ammonimento del censore dell’Università, lo allontana dall’Accademia.
In seguito lo riammette a condizione che non si occupi più di argomenti politici e Angelo si esercita con canzoni amorose sull’esempio dei suoi lirici preferiti Anacreonte, Ovidio, Metastasio, ma viene di nuovo espulso per i contenuti “pagani” dei suoi componimenti. Il gesuita deve, però, riconoscere a quel “giovane sciagurato e senza fede” rari doni di natura e una fervida immaginazione. Quell’esperienza retorica sarà molto utile per l’attività futura di Brofferio come giornalista, avvocato e politico, e lo renderà molto popolare per le sue arti oratorie.
A Milano nel 1824 incontra Rossini
Nel corso del 1824 diviene accompagnatore assiduo di madama Giacosa, che gli fa conoscere artisti e musicisti, tra cui Rossini e Mercadante. A Milano incontra lo scrittore Davide Bertolotti, che pubblica le sue canzonette politiche e amorose, apprezzate anche da Vincenzo Monti, su Il Raccoglitore, un foglio letterario molto diffuso. L’editore Stella gli offre un contratto e un congruo compenso per un libro di dodici composizioni di argomento amoroso, politico e filosofico. Per il frontespizio del volume l’editore commissiona il ritratto dell’autore al professore Boucheron, disegnatore della Regia Galleria, che lo rappresenta di profilo con i riccioli impertinenti, ma non scomposti, lo sguardo intenso e volitivo, la bocca socchiusa quasi stia recitando i suoi versi. Brofferio appare bello, elegante e brillante.
Il suo primo successo teatrale arriva il 21 maggio 1825 con Eudossia, rappresentata al Teatro Carignano di Torino dalla Reale Compagnia. Un’autorevole recensione evidenzia che l’opera è più matura dell’età dell’autore, lo stile è purgato e robusto e le situazioni tragiche sono rappresentate con versi molto belli. Anche le tre leggi di azione, luogo e tempo sono osservate con maestria e i quattro personaggi dell’impianto alfieriano sono utilizzati con fervido ingegno.
A 23 anni, in un delirio d’amore per il teatro, Brofferio immagina che si è “dischiuso per lui il sentiero dell’immortalità”2, convinto che il teatro, come in Atene e a Roma, sia la misura della grandezza di una nazione.
Seguendo l’esempio di Alfieri studia il greco e tra il 1825 e il 1826 pubblica due libri, Un sogno della vita ed il lamento di Dante e il romanzo Le lagrime d’amore, dedicate a due donne sue ispiratrici.
A Parigi è affascinato da un discorso di La Fayette
Nella primavera del 1826 Brofferio fa un viaggio a Parigi e incontra famosi intellettuali e uomini politici, ma, durante una visita alla Camera dei deputati, rimane deluso dai modi scomposti e plebei di molti deputati e descrive con pungente ironia l’aula semivuota, il presidente che fa le pallottole di carta e i parlamentari che sbadigliano in faccia all’oratore di turno. Ascolta, invece, con ammirazione il deputato La Fayette, che interviene a favore della rivoluzione in Grecia, però tra l’indifferenza della maggioranza.
Brofferio, sostenitore dei patrioti greci, pubblica quell’anno da Didot, l’editore di Alfieri, il poemetto La caduta di Missolungi con il sostegno del Comitato greco.
Va a teatro ogni sera, assiste a opere, commedie, tragedie e anche al teatro vaudeville. Ma l’incontro più significativo è con lo chansonnier Pier Jean Béranger, che ha creato un genere letterario popolare criticando l’Ancien regime e il clericalismo con versi vivaci e una musica orecchiabile.
E Brofferio, all’inizio degli Anni ’30, farà suo quel genere scrivendo e musicando le Canzoni per comunicare in modo diretto e ironico al popolo gli ideali di libertà e di giustizia sociale.
A Carnevale si traveste da Torototela
Ritornato a Torino, riceve una critica negativa su Idomeneo, che lo induce, tra l’autunno del 1826 e l’inizio del 1827, a studiare il teatro antico e l’endecasillabo classico, a leggere Schlegel, Goethe, i tragici greci. Si ispira anche a Shakespeare, ma non abbandona il modello alfieriano. Il suo carattere esuberante non rimane, però, imprigionato negli studi e alla chiusura del Carnevale Brofferio si presenta al Teatro Regio travestito da Torototela, maschera molto popolare nell’Astigiano e nel Casalese. Non ha l’invito, ma, improvvisando versi scherzosi, riesce a superare i controlli e a esibirsi davanti al re Carlo Felice con frecciate sarcastiche contro i cortigiani, ricevendo molti applausi e un sorbetto offerto dal sovrano.
La fertile stagione delle commedie
Nel 1827, ispirandosi al dramma di Giovan Battista Niccolini Antonio Foscarini, scrive Vitige re dei Goti, un testo che non è però accettato dal censore. Allora, per evitare la censura, si rassegna ad abbozzare in pochi giorni alcune commedie, prendendo spunto dal teatro visto a Parigi. Il vampiro, scritto in tre giorni, seppure con qualche taglio censorio, debutta con successo il 16 luglio 1827 e Mio cugino un mese dopo ha buona accoglienza, anche se corre voce che i due testi siano plagi di opere parigine.
Alla fine dell’estate compone la commedia Saviezza umana, tratta dal racconto filosofico di Voltaire Memnon ou la sagesse humane, che viene inserita nel repertorio della stagione di Genova della Reale Compagnia.
A metà settembre 1827 Angelo parte per Genova, forse considerandosi l’erede di Goldoni e di Molière. Abbandona l’avvocatura, che definisce come un “pantano popolato da ranocchi”, mentre il teatro è un “giardino smaltato di fiori”3.
In tournée tra Genova Firenze e Roma
L’autore piemontese incappa comunque nella censura e la polizia genovese intende proibire la rappresentazione de Il vampiro al cospetto del re, il quale, invece, assiste divertito alla rappresentazione e fa arrivare all’autore un pasticcio di cervo in omaggio.
Brofferio trova scritture da compagnie di Napoli, di Roma, di Firenze, che gli offrono un congruo corrispettivo. Viaggia in molti Stati italiani, ama ed è riamato da attrici e nobildonne, incontra molte personalità illustri, con cui manterrà i contatti utili alla sua futura attività politica. Il suo teatro ha successo, ma i suoi guadagni di autore sono sempre inferiori rispetto alle esigenze di mondanità ed eleganza. È sovrastato dai debiti e la polizia non lo perde di vista.
Alla metà di ottobre del 1827 si deve allontanare da Genova, usufruendo di un aiuto economico dei genitori. Va a Firenze per altri debutti, non molto fortunati. È presumibile che non perda occasione di portare omaggio alla tomba in Santa Croce del suo ispiratore Vittorio Alfieri.
I doni delle sue amanti li impegna al Monte di pietà
Finiti nuovamente i soldi, Angelo impegna al Monte di pietà l’orologio e i doni delle sue ammiratrici e, nel marzo 1828, si trasferisce a Roma, che apostrofa regina del mondo, nonostante sia la città del Papa. Ma anche qui Brofferio riceve l’intimidazione del capo della polizia di lasciare la città a seguito delle informazioni compromettenti giunte dal Governatore di Torino.
Si spinge al Sud e va a Napoli dove affitta una modesta camera ammobiliata, incontrando sulle scale il precedente inquilino, Gaetano Donizzetti. Una decina di anni dopo, riceverà da Parigi una raccolta di canzoni, tratte dal suo Sogno della vita e musicate dallo stesso Donizzetti, che si firma “L’inquilino del quarto piano di Largo Castello”4.
Nella città partenopea Brofferio dedica tempo al divertimento dei salotti, ma studia anche Filangieri, Cuoco, Genovesi, Pagano, Vico. Si ispira alle satire di Salvator Rosa, pittore e poeta amico di Masaniello, per scrivere una commedia sulla ribellione del popolo napoletano contro il viceré di Spagna, che viene apprezzata dal pubblico. Ma il giorno dopo il debutto, lo spettacolo viene proibito e il revisore di Napoli licenziato per aver consentito la rappresentazione. Per evitare l’arresto, Brofferio risale verso Nord, percorre strade secondarie, incontra briganti e le povere genti delle Paludi Pontine, dove contrae la malaria. Trascorre la convalescenza nascosto nella casa romana dell’amico Jacopo Ferretti, librettista di Rossini e Donizzetti.
Avvisata delle sue condizioni, la famiglia gli fa arrivare qualche centinaio di franchi e con un falso passaporto inglese procurato dall’amico dottor Bradley, Angelo dopo un lungo viaggio periglioso in diligenza, rivede con emozione Torino.
Si convince che il mondo del teatro è fragile e aleatorio.
Per Brofferio è arrivato il tempo della maturità: si rassegna ad aprire lo studio da avvocato, partecipa alla cospirazione dei Cavalieri della Libertà e finisce in carcere dove compone le prime Canzoni che distribuisce con fogli volanti, sposa Felice Perriet, dirige “Il Messaggiere torinese”, diventa deputato della Sinistra in amicizia con molti patrioti di altri Stati, scrive testi storici e la sua autobiografia con il bel titolo I miei tempi pubblicata a puntate.
Diventa un tribuno di libertà. Come avvocato si trovò a difendere anche il prete scomunicato Francesco Grignaschi accusato di aver creato la setta dei Magnetisà tra la Val d’Ossola e Viarigi (vedi Astigiani numero 17 pagina 24). La sua arringa difensiva al processo del 1850 a Casale è passata alla storia.
Fu tra i deputati che si opposero al trasferimento della capitale da Torino a Firenze. Dopo la sua morte nel 1866 la sua figura è stata giudicata e valutata da più parti. Il fascismo lo ha cancellato dai libri scolastici ritenendolo un pericoloso sovversivo.
Note
1- Brofferio “Mè at d’ fede” in Canzoni piemontesi, Torino, Viglongo 2002, P. 117
2- A. Brofferio, I miei tempi, vol. VII, cit., p. 548
3- A. Brofferio, I miei tempi, vol. VIII, cit., p. 325
4- A. Brofferio, I miei tempi, Serie seconda, vol. I, cit. p. 63