Cinquant’anni fa, di questi giorni, la loro foto era su tutti i giornali, ne parlava la televisione e il “caso medico e umano” era al centro dell’attenzione e della curiosità nazionale. Oggi le due sorelle Foglia hanno quasi 57 anni: Maria Giuseppina vive a Moncalvo e Maria Santina a Casale Monferrato. Per sei anni e mezzo sono state le gemelline siamesi di Grazzano. Al momento della nascita (in maternità ad Asti il 6 novembre 1958) si scoprì che le due piccole erano unite posteriormente per le ossa del bacino a livello delle vertebre sacrali, condividevano l’ultima parte dell’intestino e avevano un solo rene ciascuna. Una anomalia gravissima. Si disperò di salvarle, ma le cose andarono diversamente. Giuseppina e Santina vissero in simbiosi fino al 10 maggio 1965, quando vennero sottoposte a un intervento straordinario per quei tempi. Il caso eccezionale delle gemelle Foglia (“pigopaghe” secondo la terminologia medica), rimbalzò sui media. I giornali, giorno per giorno, ne seguirono l’evoluzione per raccontare all’Italia e all’estero il prima, il durante e il dopo quella operazione che aveva del miracoloso. Prima di allora soltanto tre interventi di separazione di gemelli siamesi erano andati a buon fine in tutto il mondo e nessuno in Europa. Non mancarono discussioni sugli aspetti etici di quella separazione, diventata necessaria per la sopravvivenza delle due piccole. Erano anni in cui le operazioni chirurgiche eccezionali destavano molta attenzione.
Nel 1967 il mondo intero avrebbe seguito le sorti del primo trapianto di cuore su un essere umano eseguito in Sud Africa dal professor Cristiaan Barnard. «Ora non ricordo molto di quanto successe prima dell’intervento, ma è come se la mia vita fosse iniziata quel giorno. Mi è stato raccontato che fu un bene che venissimo separate, ma l’operazione non fu facile» – racconta ad Astigiani Maria Giuseppina che dal 1983 lavora alla Cassa di Risparmio di Asti . «Dopo l’operazione ci sottoposero a diversi cicli di riabilitazione e andammo a vivere a Grazzano soltanto dopo alcuni anni. La nostra, come potete immaginare, non è stata un’infanzia facile». Giuseppine e Santina furono partorite alla maternità di Asti nel novembre 1958 da mamma Elide, scomparsa nel 2013. Questo il ricordo del prof. Giovanni Bozzo, allora primario di Ostetricia e Ginecologia, pubblicato su La Stampa del 12 maggio 1965: «Fu un parto molto difficile; sono occorse manovre molto particolari per poterle far nascere vive. Sapevamo che erano due, ma l’indagine radiologica non ci aveva rivelato che erano unite». Nel 1958 non si ricorreva ancora all’ecografia. Dopo la visita del prof. Carlo Currado, primario della Pediatria di Asti, vennero ricoverate a Torino nella clinica pediatrica dell’Università, che allora si trovava in corso Bramante (poco prima del trasferimento nell’attuale sede di piazza Polonia). Furono isolate da tutti, soprattutto dalla curiosità di giornalisti e fotografi. I medici divennero consapevoli di una giustificata impreparazione di fronte a un caso del genere. Le due gemelle dal giorno del ricovero vennero sottoposte a centinaia di analisi, compiute in particolare per studiare il passaggio ematico tra i due organismi. I medici volevano capire se e quando si poteva tentare di separarle facendole vivere entrambe. Poiché i genitori non potevano abbandonare quotidianamente casa e lavoro (il padre Giuseppe, scomparso nel 2014, ha lavorato per quarant’anni come macellaio a Casorzo), fu lo zio materno Umberto Viale a prendersi cura di loro. Emerge in questa storia anche la figura di suor Aldegonda, che insieme alle altre infermiere della clinica pediatrica divenne per loro una seconda madre. Si interessarono al caso i pediatri Guido Guassardo, direttore della clinica universitaria di Torino, con il suo vice Maria Gomirato Sandrucci. Tra le tante ipotesi, valutarono anche una proposta di trasferimento delle gemelle negli Usa, dove le tecniche chirurgiche erano più avanzate. Al prof. Luigi Solerio, primario del reparto di chirurgia dell’Ospedale Infantile Regina Margherita, fu affidato l’incarico di svolgere un primo intervento per creare la derivazione intestinale che rendesse indipendenti i due organismi. Durante l’operazione, che si svolse sabato 8 giugno 1963, necessaria per poter effettuare la successiva separazione, Solerio fu coadiuvato da altri medici di provata esperienza, tra cui l’anestesista Enrico Ciocatto, che ricopriva a Torino la prima cattedra italiana di Anestesiologia e rianimazione. Le bimbe crescevano. Procedendo di traverso e incrociando le gambe, Giuseppina e Santina avevano intanto imparato a camminare: al chinarsi di una era necessario che l’altra si tenesse a un punto fermo per mantenere l’equilibrio. Loro chiamavano “coda” quell’unione della parte terminale della schiena che le faceva vivere in modo così differente dagli altri bambini. Per procedere al secondo intervento era richiesta alle bambine una formazione fisica adeguata per poter affrontare tutto ciò che il decorso post operatorio avrebbe comportato. I medici temporeggiarono il più possibile, fino a quando non furono obbligati ad agire: all’età di sei anni era più facile contrarre malattie infantili e, avendo le bimbe un flusso ematico comune, si sarebbero contagiate. Si dovettero anche considerare i bisogni delle sorelle dal punto di vista psichico. I medici ebbero anche dubbi per la reazione dei due corpi all’anestesia, in particolare per Santina che era la più debole. Nonostante i rischi, valutate tutte le possibilità, si decise di intervenire e pochi giorni prima dell’operazione le gemelline ricevettero la Prima Comunione. Alle ore 6,30 di lunedì 10 maggio 1965 iniziò l’intervento che avrebbe dato una nuova vita a Giuseppina e a Santina, giunte intanto ai 6 anni, 6 mesi e 4 giorni di età. Quattordici medici di tre differenti équipes (chirurgica, anestesiologica e medica), dirette dagli stessi primari della precedente operazione, effettuarono lo storico intervento. Vennero utilizzate apparecchiature innovative, appositamente acquistate, e l’intero intervento fu filmato a scopo didattico. Alle ore 12, dopo cinque ore e mezza di sala operatoria, le bambine si svegliarono, come riportato dal quotidiano La Stampa che nell’edizione dell’11 maggio 1965 pubblicò la cronaca dettagliata dell’operazione, con i riferimenti orari delle varie fasi. «Ma io non sono più io – le prime parole che avrebbe pronunciato Santina appena risvegliata dall’anestesia, rendendosi conto della sua nuova indipendenza –. Come sei piccola Giuseppina! Ma anche più bella». «Un intervento molto difficile, è riuscito, le due bimbe sono sveglie. Ora il mio compito è finito, siamo nelle mani di Dio» fu il commento del prof. Solerio, all’uscita dalla sala operatoria, rilasciato ai cronisti che affollavano l’ingresso dell’Ospedale Regina Margherita di Torino. Ricoverate sotto tende a ossigeno, le gemelle ebbero un decorso post operatorio, strettamente monitorato, regolare e senza complicanze. La prognosi venne sciolta il 21 maggio, ma non si alzarono dal letto ancora per qualche giorno.
Due biciclette rosa dal ministro della Sanità
Nella stanza n. 5 del Regina Margherita riservata alle gemelline arrivarono fiori, bambole e altri doni. Il ministro della Sanità Luigi Mariotti fece consegnare due biciclettine rosa dopo aver sentito in televisione la richiesta di Giuseppina, fatta l’indomani dell’intervento, in cui diceva di voler imparare a pedalare. Arrivarono anche due medaglie ricordo del Comune di Grazzano Badoglio e un milione di lire offerte della Cassa di Risparmio di Torino per l’apertura di due libretti, sui quali furono versati un altro milione donato dalla Fiat e le offerte dei lettori del quotidiano La Stampa, che si fece promotore della raccolta attraverso la rubrica “Specchio dei Tempi”. Giuseppina e Santina ricevettero in visita anche Pietro Andriano, presidente della Provincia di Asti. Arrivarono moltissimi biglietti e telegrammi e non mancarono gli auguri del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Le sorelle Foglia rimasero in ospedale per più di un mese e tornarono alla clinica pediatrica, da cui uscirono soltanto il 17 luglio per una vacanza a Ulzio, ospiti del Comune di Torino, in un istituto di suore. Arrivarono finalmente a Grazzano l’8 settembre (una data non banale nel paese del maresciallo Badoglio), accolte e festeggiate da tutti. In quella casa che per anni aveva atteso le gemelline, pochi mesi più tardi arrivò anche un terzo bimbo: il 31 gennaio 1966 nacque infatti Fulvio, fratello di Santina e Giuseppina. La loro vita da “separate” non è stata facile. La malformazione delle colonne vertebrali di entrambe le gemelle richiese una lunga riabilitazione fisica per consentire a Giuseppina e Santina di imparare a camminare; servì invece un supporto psicologico per permettere loro di vivere in un mondo nuovo, tutto da scoprire. Si decise di non mandarle subito a scuola con le coetanee: vennero trasferite al Collegio Tumminelli di Gardone Riviera, sul lago di Garda in cui frequentarono le prime tre classi delle elementari. Furono poi a Grazzano Badoglio per la quarta e la quinta, seguite dal maestro Giuseppe Vasquez che permise loro di ben integrarsi con le compagne. Frequentarono la prima e la seconda media a Moncalvo e in terza andarono in collegio a Casale Monferrato. A rendere più difficile l’inserimento nella vita di tutti i giorni, in particolare a scuola, fu la curiosità degli altri. Ci fu chi arrivò apposta a Grazzano per poter vedere le gemelle separate.
«Abbiamo avuto per tanto tempo gente curiosa intorno, soprattutto fotografi, e per noi era difficile studiare: non riuscivamo ad applicarci. Quando la gente ci vedeva insieme, anche dopo anni, ci additava e a noi questo dava fastidio. Ogni tanto guardo una foto di noi unite che ho appeso in casa, ma non mi riconosco e non mi sembra che siano passati 50 anni dall’intervento» commenta oggi Giuseppina, che trovò poi lavoro ad Asti, dopo aver aiutato i genitori nei lavori in campagna. Santina, rimasta a Grazzano, si sposò e nel 1992 divenne mamma.
Mamma Elide tenta di difendere la privacy delle sue creature
Di seguito, due stralci di interviste alla mamma delle gemelle, rilasciate successivamente l’intervento di separazione
Oggi – 30 dicembre 1965
“Sette mesi fa ero disperata: non volevo immaginare il futuro che mi sembrava pieno di incognite, irto di difficoltà; invece è andato tutto bene, ogni problema si è risolto, l’angoscia ha lasciato il posto alla serenità. Quando sono ritornata a casa con le bambine il paese intero è venuto a fare festa a Santina e Giuseppina. I primi giorni non sono stati tanto facili. Le bambine erano abituate in clinica a suonare un campanello per esprimere desideri che erano subito esauditi. Qui invece mi trovavano sola: tutt’al più posso contare sull’aiuto dei parenti che stanno dirimpetto alla mia porta. E poi le dirò: abituata a non avere in casa nessuno, mi pareva che le stanze si fossero rimpicciolite perché Giuseppina e Santina sono due diavoli e creano una allegra confusione. […] Questo mi rende felice: però quanto lavoro! Non sto mai ferma dalla mattina alla sera. Mi sono trovata all’improvviso due diavoli di sei anni in casa: le donne che hanno figli mi capiranno se dico che alla fine della giornata sono stanca morta. E fra qualche mese i bambini saranno tre […] Ogni mattino vanno a fare una piccola passeggiata tenendosi per mano. Pur separate ed autonome, preferiscono stare vicine: sono molto amiche oltre che sorelle. […] Vorrei proprio che queste mie creature uscissero dalla scena. Non voglio più che posino per i fotografi, che si sentano oggetto di curiosità. Desidero che crescano come se fossero nate su questa collina, semplicemente senza strane idee in testa. E’ ora che scendano dalla ribalta sulla quale la loro disgrazia le ha fatte salire. Sono solo le mie bambine e basta. Siete tanto gentili quando salite quassù a portare doni e a fare domande, ma ora vorrei che Giuseppina e Santina stessero finalmente in pace, senza dover continuare a recitare la parte dei piccoli fenomeni”.
Domenica del Corriere – 16 maggio 1972
Le amai subito, certamente, anche così com’erano. Ero la loro mamma. Ma per mesi e mesi mi capitò di pensare a loro come a una cosa non mia. Forse perché vivevano lontane, nell’ospedale di Torino, e le vedevo raramente. Mi pareva che le bambine non fossero le mie creature; la mente di rifiutava di accettare quella disgrazia. Poi portai con rassegnazione la mia croce. E’ durata sei anni e soltanto una mamma può comprendere quanto sia stata pesante. Mettere al mondo due figli, abbandonarli all’ospedale, vivere in una casa senza i loro pianti e i loro sorrisi; vedere altri bambini sani e belli, vederli correre, saltare e sapere che i tuoi non potranno mai essere come gli altri. Non impazzii solamente perché più forte di ogni altro dolore era la speranza che i medici facessero il miracolo. […]