C’è un triangolo di ricordi e affetti che partendo da Chieri ha gli altri vertici sulle colline di Castelnuovo Don Bosco e sfocia nella Torino dei giornali e delle lotte sindacali. Una vita raccontata da Cesare Roccati, con la puntualità del grande cronista e il tocco lieve e ironico dello scrittore.
A dieci anni dalla morte del giornalista, il figlio Gigi divenuto regista e la moglie Luciana, danno alle stampe queste note autobiografiche che Cesare aveva destinato alla sola lettura del figlio. Una sorta di manuale di sopravvivenza e conoscenza per far capire dov’erano le radici: Chieri, l’infanzia di provincia, la vita del dopoguerra, la varia umanità del paese e poi la storia che si fa collettiva: la Fiat, l’autunno caldo, la straordinaria autogestione alla Gazzetta del Popolo, l’arrivo a La Stampa come responsabile delle pagine di Economia e le lotte e le notti al sindacato dei giornalisti in corso Stati Uniti e nelle redazioni (quando ancora erano organismi pulsanti e non acquari). “Carlo Levi – cita Cesare al figlio – diceva che il futuro ha un cuore antico. Spesso tu mi hai chiesto chi eravamo?” La risposta di Cesare sta in queste pagine intense di un giornalista che ha fatto bene il suo mestiere con pulizia, etica, passione e orgoglio.
E quando Cesare va in pensione, eccolo ripercorrere le orme mai dimenticate del padre pittore, all’inseguimento di quell’arte colorata e materica che lo porta a riempirsi casa di oggetti, legni, carte destinati a tornare vivi con la sua fantasia. In tutto questo la cascinotta sulle colline di Castelnuovo don Bosco eletta a buen retiro da Cesare diventa il fulcro, la meta e il punto di partenza. In un campo dietro casa, arato di fresco, portava gli amici a cercare conchiglie fossili con la gioia di una bambino che sa di trovare un tesoro.