La pedalata epica del Diavolo Rosso
Il mondo delle due ruote lascia una scia di ricordi indelebili. Se “la bicicletta è una penna che scrive sull’asfalto” la storia scritta sulle strade astigiane è particolarmente suggestiva e bella da raccontare. In essa compaiono nomi epici di campioni del ciclismo e del motociclismo e vedremo come i due ambienti si sono spesso intersecati e intrecciati. Asti e l’Astigiano, nonostante la conformazione orografica collinare non abbia favorito la diffusione delle biciclette come è accaduto lungo tutta la Pianura Padana, con punte di popolarità assoluta in città come Bologna o Ferrara, hanno dato i natali a campioni del ciclismo e anche a numerose aziende produttrici di biciclette e motociclette, a loro collegate. Il primo nome che emerge nel panorama ciclistico astigiano e nazionale è di Giovanni Gerbi, il mitico Diavolo Rosso. Un ragazzo energico non troppo alto e dalle gambe possenti che tutti al borgo Tanaro, dove era nato il 4 giugno 1885, chiamavano “Piciot”. Dimostrò un precoce interesse per la bicicletta e soprattutto per le corse che iniziò a frequentare a soli 14 anni. Fu tra i pionieri di una disciplina che stava affermandosi. Le prime vittorie e il modo spavaldo di correre lo resero subito popolare. L’innato talento si espresse in innumerevoli gare sia in Italia che all’estero, soprattutto in Francia, dove nel 1904 fu tra i primi italiani a partecipare al Tour. Astuto ed estroverso, divenne un personaggio notissimo, le cui imprese furono raccontate in giornali e riviste. In quell’epoca, fino al 1905, correva con lui un altro astigiano, Massimo Remondino. Gerbi intuì che la popolarità poteva avere anche risvolti commerciali e divenne presto costruttore di sue biciclette, da corsa e naturalmente rosse. Aprì un negozio a Milano in corso Buenos Aires 53 e ad Asti in via Cavour 20 nel 1915. Era un antesignano del marketing. A metà degli anni Venti un libretto intitolato Gerbi e le sue avventure, da corridore a industriale, affidato alla penna del giornalista Vittorio Varale, veniva dato in omaggio a tutti coloro che acquistavano una bicicletta della Casa. La ditta “Gerbi Giovanni di Giuseppe”, via Cavour 20 ad Asti – n. 521 del registro della Camera di Commercio di Asti in data 4-9-1925 – aveva come attività la fabbricazione e il commercio di cicli. Il negozio aveva più vetrine che si aprivano in via Cavour all’angolo con via Brofferio. Il corridore capì anche la necessità di diversificare la proposta di vendita e così il 23 marzo 1938 al n. 11500 del registro della Camera di Commercio di Asti si apre una nuova “Gerbi Giovanni fu Giuseppe”, sempre in via Cavour 20 ad Asti, la cui attività era la “fabbricazione e commercio biciclette ed accessori – commercio giocattoli, carrozzine per bambini”.
Anche Giovanni Gerbi si cimenta con le motociclette: oggi rari pezzi da collezione
Nel Dopoguerra Gerbi fondò anche un gruppo sportivo molto numeroso in città e finanziò una squadra ciclistica. Gerbi aveva un fratello, Ermenegildo, che vendeva biciclette all’inizio di viale Partigiani, poco più su del Bar Rio, e due sorelle: Artemisia che sposò Focesi, che vendeva biciclette con il marchio “Gloria” a Milano e Maria che sposò Antonio Prina, un altro intraprendente astigiano legato al mondo delle bici, come vedremo più avanti. La prima fabbrica di biciclette Gerbi la fece costruire prima della guerra nel 1938 nell’attuale via Sanguanini nel borgo Tanaro (dove ora ci sono la palestra Hastafisio e la tipografia Fenoaltea). Nel 1946 si trasferì in via Brofferio (attuale sede della Barbero dolciumi di suo genero Davide Barbero, marito della figlia Paola) nel grande edificio dov’era prima il maglificio Omedè. Gerbi continuò a partecipare e vincere numerose gare tra veterani. La passione per la bicicletta lo accompagnò per tutta la vita. Portava il suo nome e la sua fiammante maglia rossa il gruppo sportivo che animò gare e gimkane durante un lungo periodo del dopoguerra. Gerbi morì nel maggio 1954 e la moglie Giuseppina Traversa e la figlia Paolina nel ’59 cedettero la fabbrica a Vincenzo Cossetta (fratello di Secondo Cossetta della Waya) che la trasferì in zona viale Pilone, in via Piglione, la via dalle scuole elementari. Il marchio fui poi ceduto a un certo Sperone di Torino. La fabbrica di bici di via Brofferio che aveva chiuso nell’estate del 1959 fu in parte trasformata in deposito da Amerio dell’Acqua Edea, ora spazio espositivo della Fondazione Piras. Come già accennato a proposito di moltissimi assi del pedale già costruttori di biciclette col proprio nome, anche Gerbi dopo la seconda guerra mondiale, con il boom della prima ondata di motorizzazione di massa che aveva visto nascere scooter di successo come la Vespa e la Lambretta, decise di costruire ciclomotori e motociclette.
Il mercato era favorevole: la gran voglia di fare, di muoversi e di lavorare degli italiani nel periodo della ricostruzione, diede opportunità insperate a innumerevoli artigiani e piccoli imprenditori. I costruttori di mezzi motorizzati a due ruote in Italia furono moltissimi, la maggior parte dei quali di breve durata. Gerbi nel 1951 segnalò alla Camera di Commercio di Asti di aggiungere “al montaggio delle biciclette anche il montaggio delle motoleggere”. Già dal 1946, molti prima di lui erano diventati costruttori di motocicli. L’inizio è stato con l’applicazione di micromotori a rullo di aderenza (Eolo e Mosquito Garelli) in propri telai sia da uomo che da donna e in seguito con la produzione di motoleggere (scheda a pagina 56). Anche se le intenzioni erano di mettere in catalogo svariati modelli nelle cilindrate da 98 a 175 cc., questa produzione è stata molto ridotta, confinata alla sola cilindrata 150.
La ditta Prina orgogliosa della prestigiosa bici “Savoiarda”
Non si conoscono i numeri esatti di produzione, leggermente più elevati per il ciclomotore. I mezzi sopravvissuti di cui si ha conoscenza certa si contano sulle dita di una mano: due ciclomotori e due motociclette, queste ultime in possesso di collezionisti astigiani. Il ciclomotore in realtà veniva prodotto dalla ditta “Ardito” di Stradella e commercializzato apponendovi le decalcomanie con la scritta Gerbi. Le motociclette di 150 cc. erano costruite ad Asti utilizzando il motore tedesco Sachs, con l’Jlo il miglior motore allora disponibile; sono di impostazione convenzionale e di ottima fattura, ma non sono identiche. La prima è appartenuta a Giovanni Gerbi in persona, la seconda è stata trovata più di 30 anni fa in provincia di Cremona con una percorrenza di oltre 30 000 km reali, come dimostrato dall’usura dei freni e da altri particolari, ed è appartenuta, come primo proprietario, a Davide Barbero dell’omonima ditta dolciaria di via Brofferio ad Asti, genero di Giovanni Gerbi. Questa motocicletta 150 nasconde un piccolo giallo sulle sue origini. Il motore Sachs veniva acquistato da molte ditte, ma anche il telaio è uguale (anche nel colore della vernice) alla moto “Falco Sachs” 150 della ditta De Giovanni di Vercelli. Non solo il telaio e il motore sono uguali, ma anche forcella e ruote con i relativi freni. Serbatoio, sella e altre strutture sono diverse, molto più belle e armoniose quelle della Gerbi. Un’altra somiglianza (oltre al motore) si riconosce nel telaio della Maino 150 prodotta a Novi Ligure e in altre moto del periodo. Al momento resta irrisolta la questione di queste affinità e non si può escludere che la Sachs, solida realtà industriale tedesca, fornisse oltre al motore anche il telaio. Ma quest’ultimo, pur ben fatto, sembra più un prodotto artigianale.
Antonio Prina Nasce ad Asti il 3 settembre 1897. È il cognato di Giovanni Gerbi, avendone sposato la sorella Maria. Nel 1929 costituisce la ditta “Prina Antonio” con sede in via Goito 4, per la “riparazione e commercio di cicli”, iscrivendosi alla Camera di Commercio di Asti (n. di registro 5730) in data 8 aprile 1927. Le biciclette Prina sono di ottima fattura e molto apprezzate: famosa la “Savoiarda” brevettata, e secondo Prina copiata da molti concorrenti.
In corso Alessandria la Prina produce moto e scooter con il marchio Orix
Anche a causa dell’alluvione del 1948 (la fabbrica fu invasa da un metro e mezzo d’acqua) Prina si trasferì tra corso Alessandria e viale Pilone. In quel periodo appronta biciclette speciali – con molleggio anteriore e della sella, freni a tamburo – per l’applicazione di motori ausiliari “Mosquito” Garelli e “Cucciolo” Siata.
Giovanni Gianoglio, passione e moto da corsa fatte in casa
In data 1° agosto 1949 iniziano la fabbricazione e il commercio di ciclomotori, motoleggere e scooter nel nuovo stabilimento di Asti corso Alessandria 31-33. Nel periodo di massima espansione alla Prina lavorano decine di operai specializzati. Nel secondo dopoguerra, ai telai delle biciclette prodotte vengono applicati i micromotori a rullo d’aderenza “Cucciolo” Ducati e Ceccato. Il motore a rullo Zanzi, prodotto a Ivrea, viene invece applicato a un telaio in lamiera stampata incorporante il serbatoio del carburante, a formare un vero ciclomotore senza cambio di velocità. Col marchio “Orix” Prina vengono prodotte, oltre alle biciclette, prevalentemente motoleggere di 125 e 175 cc., e uno scooter 175 cc di buona fattura utilizzando i motori tedeschi Jlo. Esiste anche l’immagine di uno scooter 125 mai messo in produzione. Inizialmente il successo sembra arridere a questi prodotti, il cui nome è conosciuto, ma la concorrenza, soprattutto nel campo degli scooters, è spietata: Vespa e Lambretta, con una realtà industriale solida alle spalle, monopolizzano il mercato e mezzi pur validi non trovano concessionari e quindi il numero dei clienti è ridotto.
Chi oggi possiede un mezzo Orix ha un piccolo tesoro, molto ricercato dai collezionisti. Antonio Prina, che già in piena guerra nel 1943 aveva chiuso la filiale di Torino, nel luglio 1956 comunica ufficialmente alla Camera di Commercio di Asti che a partire dal 1° gennaio dello stesso anno si era iscritto all’Associazione Artigiani e non più al’Unione Industriale, avendo alle sue dipendenze dirette un solo garzone. Nonostante le difficoltà economiche, la ditta Prina continua l’attività fino al 10 marzo 1964, data del decesso del titolare. I locali dello stabilimento Prina di corso Alessandria erano molto ampi, e sono utilizzati oggi da altre imprese commerciali, tra queste la Demartini Mobili con entrata da viale Pilone.
Giovanni Gianoglio L’astigiano Gianoglio, nato l’11 novembre 1886, inizia l’attività sportiva prima dei vent’anni correndo in bicicletta. Pur vincendo molte gare passa allo sport motociclistico che diventa la passione della sua vita. Nel 1911 esordisce con un secondo posto assoluto nella “Milano-Lodi-Mantova-Ravenna-Treviso-Bassano-Verona-Brescia-Milano”: 592 km su strade per noi inimmaginabili, dove ardimento nella condotta di gara, resistenza fisica e conoscenze meccaniche erano doti necessarie per emergere. Sono di quel tempo le famose fotografie di Nuvolari che corre con un pneumatico di scorta a tracolla. I piloti dovevano saper intervenire in gara: sostituire la catena o aggiustare il filo dell’acceleratore o dei freni erano pratiche comuni senza l’ausilio di meccanici al seguito. Nel 1919 Giovanni Gianoglio giunge secondo – dietro l’allora celebre Belloni – nella “Gran Fondo Internazionale” che si disputa sotto gli auspici della Gazzetta dello Sport, pilotando una Peugeot 500. Nel 1920 è nuovamente 2° al Circuito del Sestriere con la “Fongri” 500. Nel 1922 inizia a gareggiare con la “Frera” per passare poi alla “Della Ferrera” costruita a Torino, con la quale conquista vari record e vince la prima edizione del Circuito del Monferrato dello stesso anno per la classe 500. Nel 1923 corre per la Garelli per poi passare nel 1924 alla Maffeis con la quale si aggiudica il Circuito del Monferrato classe 250. Nel 1924 inizia la costruzione delle prime motociclette col proprio nome e le pilota in qualche gara a scopo dimostrativo, ma il titolo di campione d’Italia classe 250 lo conquista con la Maffeis, aggiudicandosi 8 delle 10 gare del campionato. Nel 1925 corre ufficialmente per la Atala nella 250, vince la “Otto delle Langhe” ed emerge in altre prove di rilievo. In apertura del ’26 con la Garanzini 250 è secondo assoluto e primo della 250, ancora all’“Otto delle Langhe”, mentre con la Maffeis vincerà a La Spezia e a Lodi.
Nel 1927 risulta nuovamente vincitore nella classe 250 al Circuito del Monferrato, denominato in quell’anno Circuito Città di Asti (il percorso era il medesimo). In quell’anno fa suo anche il titolo nazionale di categoria. Intanto la produzione di motociclette con il suo nome sul serbatoio si afferma e nel 1930 e 1931 è nuovamente campione d’Italia di II categoria per la classe 175 su moto “Gianoglio”. D’ora in poi corre solo con le sue “Gianoglio” in varie cilindrate fino al dopoguerra, dove lo vediamo alla Sassi-Superga del 1945 vincere il premio speciale delle piccole cilindrate. Piloterà anche al Circuito d’Asti del 1947 e al Circuito di Alessandria del 1948, con non poche primavere sulle spalle e già nonno, segno di una passione duratura. Come abbiamo accennato Gianoglio inizia l’attività di costruttore nel 1924 in Asti – con sede legale in piazza San Secondo 4 -, spostandosi in seguito a Torino, ma si iscrisse alla Camera di Commercio di Asti il 5 febbraio 1927 (al n. 4947 di registro) avendo come attività economica la “vendita di cicli-moto-auto e garage con rappresentanza di cicli e moto Bianchi e motocicli Frera”. Ad Asti ha mantenuto le vetrine e l’officina in corso Alfieri 106. Dal rapporto commerciale con la MM di Bologna (fornitrice dei motori) scaturiscono i modelli 175 4T a cilindro verticale e valvole in testa nelle versioni Turismo, Sport e Corsa e 125 2T a cilindro orizzontale. Nel 1931 costruisce una moto bicicletta (come si usava dire allora) con motore Sachs di 70 cc. Sempre negli Anni ’30 costruisce motoleggere montando i motori Sachs di 98 cc. e una 250 da competizione da lui usata in molte gare. Ancora nel dopoguerra costruisce una 85 cc. con cui partecipa alla Sassi-Superga del 1945, di cui si è detto, festeggiato da piloti e organizzatori, ai quali dichiara di avere in preparazione una moto da corsa di 98 cc. per le gare del 1946.
Di tutti questi modelli prodotti, la cui notizia è riportata su periodici del settore, non esistono al momento illustrazioni, a differenza di quelli di 175 e 125 cc. La 175 a 4 tempi – come si è detto – montava il motore MM con 2 tubi di scarico. L’immagine qui riprodotta, ripresa dall’opera Storia della motocicletta: tempi moderni 1926-1940 di Abramo Giovanni Luraschi, monta un motore diverso, quasi sicuramente Ladetto & Blatto prodotto a Torino e anche il telaio sembra quello (o derivato); infatti ci sono delle foto che ritraggono Gianoglio col tecnico Blatto che in un certo periodo curava la messa a punto della sua moto. Di questi modelli non risultano esemplari sopravvissuti, a dimostrazione dell’esiguità della produzione, utilizzata essenzialmente nelle competizioni. La ditta “Gianoglio Giovanni di Carlo” è cessata “d’ufficio” il 10 marzo 1948. Giovanni Gianoglio, nominato cavaliere, pioniere astigiano del motociclismo, si spegne in Asti nel 1968 a 82 anni.
I fratelli Giuntelli dalle gare alla bottega
Giuntelli Il marchio Giuntelli è legato a due fratelli Marco e Battista entrambi corridori ciclisti con un ottimo palmarès che dismessa l’attività agonistica si dedicano alla vendita di biciclette. Battista (classe 1900) dopo aver vinto varie gare in Piemonte diventa professionista nel 1925: fu secondo al Giro di Lombardia dietro Binda e partecipò a tre Giro d’Italia. Il fratello Marco, di cinque anni più giovane, di Giri d’Italia ne corse sette e nel 1930 andrà al Tour e al Giro di Germania. Vinse un Giro del Piemonte e la prestigiosa Coppa Bernocchi. I due fratelli aprono botteghe da ciclisti Battista aveva la propria attività in via Cavour di fronte alla Pasticceria Ricci, mentre Marco lavorava in corso Alfieri vicino alla caserma.
L’estro arancione di Natalino Arata
Natalino Arata Arata nasce il giorno di Natale del 1916. Lo battezzano Natalino. Diventa un campioncino della bici, ma trova campioni più forti di lui come Fausto Coppi del quale diventa amico e gregario. E vanno insieme ad allenarsi. È professionista dal 1936. Corre un Giro d’Italia e poi la Vuelta di Spagna nel 1948 con il numero 15 della squadra italiana, Si distingue anche al giro di Polonia. Nel 1949 apre un suo negozio di bici in corso Alfieri, angolo via Fontana. Vende le marche Bianchi e anche le Coppi. Assembla anche bici con il suo marchio. Corre fino al 1952 e allestisce una squadra agonistica e una di ciclocross. In una foto si vedono Arata con il Campionissimo, il figlioletto Faustino, nel suo negozio tra le bici dove vende anche le moto Mondial e le vetture del carrozziere Moretti. Sposta l’officina in via Cavour, angolo via Brofferio, non lontano da Gerbi e applica a tutte le bici la sua decalcomania che lo raffigura sul tracciato del giro di Spagna con la maglia arancione: il suo colore preferito. È arancione anche l’ultima bici che una delle figlie Giuseppina (l’altra è Anna) con la nipote Barbara custodisce nelle sale dell’agriturismo Ca ’d Pinot a Valterza dove Natalino Arata sorride dalle vecchie foto appese ai muri. Dopo aver chiuso il negozio di bici ha fatto il demolitore di auto. È morto a 76 anni nel 1993.
Con Sarachet salta in sella anche l’ironia
Sarachet Guido Saracco, detto “Sarachèt”, nasce il 22 febbario 1916 a Variglie, da una famiglia di sarti che nel 1919 si trasferisce ad Asti in corso Alba, che resterà il fulcro della sua vita. A 15 anni ha la prima bicicletta da corsa e partecipa a numerose gare a carattere provinciale e regionale. Dal 1931 al 1936 partecipa a una settantina di competizioni vincendone venti, tra cui una curiosa gara di chilometro lanciato in salita in corso Dante. Si allenava con il “Diavolo Rosso” Giovanni Gerbi, a quei tempi impegnato nelle gare per veterani, e intanto discuteva con lui di cambi, telai, selle e manubri. Nel 1937 va militare e al ritorno comincia l’attività di meccanico ciclista e piccolo costruttore di biciclette personalizzate. Nel 1940 sposa Benilde, ma viene richiamato in guerra. Solo alla fine del conflitto potrà riaprire l’officina di corso Alba, che presto doterà anche di una pompa di benzina. Nascono i figli Elio e Amelia. “Sarachet” fa ancora qualche gara e allestisce due formazioni ciclistiche amatoriali con la propria maglia. Produce e trasforma biciclette anche grazie al proprio estro. Tra tutte primeggia l’Icara, una curiosa bicicletta con le ali realizzata da Sarachet per un ironico carro allegorico di un Carnevale dei primi Anni Sessanta. «Ha le ali – spiegava serio Sarachet – perché noi di corso Alba dobbiamo volare per arrivare in città visto che il passaggio a livello della ferrovia Torino-Genova è sempre chiuso». Anche grazie a proteste come questa fu realizzato il cavalcaferrovia di piazza Amendola. Sarachet, che divenne anche presidente della Società di Mutuo Soccorso Fratellanza dei militari in congedo, è stato un celebre autore di sonetti in piemontese che declamava in moltissime occasioni (compreso il centenario della nascita di Gerbi) oltre che suonatore di clarinetto e animatore della banda delle zucche. È morto il 30 agosto del 2010 all’età di 94 anni. Non ha potuto vedere realizzato il sogno della sua vita: un museo della bicicletta che è stato a lui intitolato e aperto nel 2015 nella sede della stazione ferroviaria di Cerro Tanaro-Rocchetta. Vi sono custodite alcune delle sue biciclette e altre suggestive costruzioni di cicli, tra cui la famosa Icara, oltre a molti degli attrezzi da lavoro della sua officina. All’inaugurazione erano presenti i figli Elio e Amelia. Al museo, che è stato visitato anche da campioni come Moser, è collegata la nuova pista ciclabile realizzata lungo il Tanaro. (Sulla figura di Sarachet si veda anche Astigiani n° 12 a pagina 90).
Piemontesina, da palazzo Mazzetti a corso Torino
Piemontesina Tra i marchi di biciclette astigiane ancora in vita c’è Piemontesina. Il primo negozio con officina è al piano terra di Palazzo Mazzetti, in corso Alfieri, davanti a palazzo Ottolenghi. La ditta fu fondata da Vincenzo Saracco (classe 1915) e dal socio Luigi Rasero negli anni ’40. Costruiva e assemblava biciclette. Esportò anche in Venezuela. Piemontesina nel 1949 allestì una squadra allievi e dilettanti. È stata anche rivenditore delle moto Malaguti e ne vendeva versioni con il proprio marchio. Avevano la decalcomania Piemontesina sul serbatoio, ed erano prodotti interamente dalla Malaguti di Bologna e dotati di telaio in lamiera stampata con motore Franco Morini, anche questo prodotto a Bologna. Nel 1979 Diego Moro rilevò il punto vendita assieme a Giuseppe Roero, storico dipendente di Piemontesina. Nel 1981 subentrò a Roero, tuttora in vita, Giancarlo, fratello di Diego Moro. I fratelli, nati in Veneto, portarono avanti l’attività con grande passione e dieci anni dopo decisero di separare le rispettive competenze: Giancarlo si occupa prettamente di biciclette, Diego dei ciclomotori Malaguti. Giancarlo, attuale proprietario, ha poi trasferito il 18 febbraio 2002 il punto vendita e officina “La Piemontesina” in corso Torino 9, dove vende e ripara bici da passeggio, mountain bike e bici da corsa.
Alfonso Garelli in corso Alfieri
Elio Cerrato fonda i cicli La Marinara Attività con laboratorio prima in via Roero e successivamente in via Mazzini, di fronte alla ex tipografia San Giuseppe nello storico palazzo Malabayla; fu fondata da Elio Cerrato. Il proprietario, all’età di 78 anni, morì investito da un camioncino in Valle d’Aosta mentre praticava il suo sport preferito, il ciclismo. Il negozio era chiamato “La Marinara” in quanto Cerrato stesso aveva prestato servizio militare in Marina. Altro abile ciclista costruttore di biciclette era Alfonso Garelli, che ha avuto negozio, aperto fino a non molti anni fa, in corso Alfieri, di fronte a via Rossini, dove ora c’è la Banca d’Alba, vicino all’ex Caserma. Come tutti i costruttori-venditori Garelli aveva in listino le bici da uomo, le 28, e da donna, le 26 (i numeri indicavano la grandezza delle ruote). Per i bambini c’erano la 24 e la 22. Fu anche venditore di biciclette pieghevoli, lanciate per primo sul mercato nel 1964 dalla Carnielli di Vittorio Veneto con il modello “Graziella” che ebbe un enorme successo soprattutto tra il pubblico giovane e femminile. Era la bici che all’occorrenza poteva essere ripiegata e messa nel baule dell’auto.
I Fratelli Marengo Negozio storico di biciclette aperto dai fratelli Costante e Remo Marengo, prima in via Aliberti, poi davanti alla vecchia Upim in via Bruno 9. Vendono fino al 1980 bici e tricicli tra cui anche curiosi esemplari con telai in legno, e motocicli dall’Aermacchi, alla Testi, che produce un cinquantino sprintoso in versione TestaRossa. Per l’officina ciclo si appoggiano alla Marinara di Elio Cerrato
L’epopea della Vespa con la famiglia Perosino Nel mondo delle due ruote astigiano un posto di primo piano lo ha conquistato l’officina La Moto della famiglia Perosino. Ottavio Perosino nel 1946 apre in via Brofferio l’officina che vende moto Certum e Bianchi. Diventa da subito concessionario della Piaggio ed è tra i fondatori del Vespa Club Asti. Muore nel 1984 lasciando ai figli Aldo e Elda il compito di proseguire con successo l’attività che dal 1957 ha sede in via Brofferio 88. Una citazione la meritano anche Giovanni Perosino, storico concessionario della Moto Guzzi (vedi Astigiani n° 13 “Confesso che ho vissuto”), Vigna che lanciò ad Asti la Ducati in via Matteo Prandone, e ora in corso Alessandria, oltre a “Nazareno” Zanchettin che vende e ripara moto e scooter prima in piazza Torino e poi in corso Casale.
I pezzi unici di Rabino a Baldichieri Anche fuori città il mondo delle biciclette ha avuto officine di riferimento importanti. Tra tutti emerge la Cicli Rabino, negozio fondato negli anni ’50 da Michele Rabino a Baldichieri. Vende bici di altre marche e assembla anche “pezzi” unici realizzati su misura per il crescente numero di cicloappassionati delle due ruote da corsa. Il figlio Silvano si occupa prevalentemente di riparazioni. È stato per anni il meccanico della squadra ciclistica femminile Chirio Forno d’Asolo. Il mondo delle ruote non si ferma. Oggi si trovano biciclette a prezzi molto bassi assemblate prevalentemente in Cina o Vietnam e in vendita nelle catene di grandi magazzini. Ma sta ricrescendo un tessuto di piccole botteghe artigiane aperte spesso da giovani che attorno alla bicicletta, dotata di molta più tecnologia di un tempo, sta ricostruendo un comparto.