giovedì 21 Novembre, 2024
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Don Giuseppe Bolla, “Monsignore ma non troppo”

Parroco a Moncalvo per 22 anni, fu definito "uomo di fede e di fuoco"

Moncalvo ha avuto per 22 anni un parroco che i più anziani ricordano ancora oggi. Don Giuseppe Bolla aveva un sorriso dolce e un bel faccione rubicondo che pareva ricordare Papa Roncalli, ma manteneva anche il piglio e l’ardore del cappellano alpino della Grande Guerra.

Che cosa ha fatto per essere ricordato, a quasi settant’anni dalla sua morte, con affetto e riconoscenza sia a Moncalvo dove ha svolto il suo magistero sia a Brusasco, suo paese natale? Chi scrive è pronipote di don Bolla che non ha conosciuto essendo nato un anno dopo la sua morte; ho peraltro ancora ben vivo il ricordo di mia mamma che
mi narrava dei suoi giorni lieti e dei giochi nella casa parrocchiale di Moncalvo.

Altri ricordi li ho attinti dalla relazione svolta dalla nipote, professoressa Maria Eleonora Cravino, in occasione della giornata di studio “Brusasco, paese di Vescovi”, il 6 aprile
2003.

Don Bolla è stato un uomo originale, sincero, aperto verso tutti, con un cuore grande, dotato di un sorriso fascinoso; era un trascinatore, ma soprattutto era e fu prete, pastore dei suoi parrocchiani e di quanti ricorrevano a lui anche da fuori Moncalvo. Nel giorno del funerale il vescovo di Casale mons. Giuseppe Angrisani lo definì “Vescovo di
Moncalvo e uomo di fuoco”.

Lo cita Corrado Camandone nella biografia su don Bolla intitolata appunto Uomo di fuoco, edita dalla Fondazione Sant’Evasio di Casale Monferrato nel 2002. Amò e insegnò l’amore per Dio, per gli uomini, per la natura, fu generoso e caritatevole. Riceveva tutti senza orario e la sua canonica poteva in un certo senso paragonarsi a un confessionale, depositario di richieste di ogni genere e a tutto lui cercava di trovare soluzione e risposte.

Una cartolina di Don Giuseppe Bolla (1885-1952) con sullo sfondo il panorama di Moncalvo visto dalla stazione

Don Bolla diceva di ignorare la regola della “partita doppia”, dare e avere; la prima vinceva sempre. Altra caratteristica era di “aggiungere un posto a tavola”: la perpetua Emma lo sapeva bene. La sua è stata una vita intensa. Giuseppe Bolla era nato a Brusasco, uno degli ultimi paesi in provincia di Torino al confine con quelle di Asti, Vercelli e Alessandria, il 7 dicembre 1885. La mamma, Eleonora Durione, dolce figura di madre, era donna dotata di rara intelligenza, duramente provata nella vita da una gravissima patologia di artrite deformante, non lenita dalle numerose e costose cure dettate dai medici del tempo.

Accettò la sofferenza che la portò all’immobilità per 33 anni con cristiana rassegnazione, seguita con amorevole dedizione dal marito Giovanni. Il papà Giovanni gestiva un emporio nella piazza principale del paese, aveva una bella voce baritonale e l’amore per la musica e il belcanto che trasmise al figlio. Il nonno materno, Alberto Durione, fu sindaco di Brusasco per oltre quarant’anni, ricordato come eccellente pubblico amministratore, che rifiutò sempre ogni compenso per il suo servizio, pagando di tasca propria anche i viaggi che doveva fare come sindaco.

Di formazione salesiana fu cappellano militare nella Grande Guerra e ricevette due medaglie al valore

Don Giuseppe fu cappellano militare tra gli Alpini nella Prima Guerra Mondiale e ottenne due medaglie al valore

 

Giuseppe compì i suoi primi studi nel Collegio Salesiano di Trino Vercellese, poi a Valdocco e a Torino, pochi anni dopo la morte di Don Bosco avvenuta nel 1888. Passò poi al seminario di Casale Monferrato. In quel periodo il suo desiderio prorompente di decisa azione cristiana lo portò a simpatizzare per Romolo Murri, un prete marchigiano
sociologo sospeso dalle funzioni sacerdotali nel 1907 con l’accusa di modernismo, eletto deputato nel 1909 per la Lega democratica e reintegrato solo dopo molti anni, nel 1943.

Il giovane Giuseppe Bolla fu punito per aver organizzato una colletta a favore di Romolo Murri, anche se il suo gesto non era tanto dettato da ribellismo giovanile quanto dall’intuizione che la Chiesa non poteva rimanere chiusa su se stessa, ma doveva aprirsi al mondo e che i cristiani dovevano pur rischiare qualcosa per non essere tagliati fuori dalle nuove realtà sociali.

Concetti poco meno che rivoluzionari per l’epoca. Occorrerà aspettare il Concilio Vaticano II perché essi diventino patrimonio della cristianità. Dopo l’ordinazione nel 1910, quattro anni dopo, fu inviato a Roma alla Pontificia Scuola Superiore di musica sacra, ove mise a frutto la passione musicale che si rivelava nella sua voce tenorile
calda e intonatissima, passione che lo accompagnerà per tutta la vita. Grande cultore del canto gregoriano, soleva dire: «Se il popolo canta, ama, è unito e si eleva, apre il cuore a Cristo».

Rientrato a Casale si distinse come attivissimo vice parroco ma, con lo scoppio della guerra fu arruolato come cappellano militare e assegnato al battaglione alpino Morbegno. Durante quella terribile guerra, vissuta in prima linea, il suo coraggio si rivelò in pieno come “soldato di Cristo fra i soldati d’Italia”.

In trincea, aiutò e sostenne spiritualmente e materialmente i suoi alpini; ottenne due medaglie al Valor Militare, di bronzo sul Monte Rosso il 24 settembre 1917 e d’argento sul Monte Cornone l’11 febbraio 1918. Il generale degli alpini Emilio Faldella ricorda
come «egli intendesse e assolvesse la sua missione di cappellano nei momenti tragici, esempio di generosità e di carità, dispensatore di amore cristiano là dove infuriava la lotta e regnava il dolore».

Congedato nel 1919, rientrò a Casale. Il vescovo lo mandò come parroco una prima volta alla frazione Santa Maria di Moncalvo e poi a San Giorgio Monferrato. Nel 1930 tornò a Moncalvo come successore del compaesano don Giovanni Sismondo, nominato vescovo di Pontremoli. Nella cittadina monferrina fu parroco per ventidue anni, fino alla morte.

A Moncalvo don Bolla con i giovani della leva del 1927. La foto è stata scattata nel 1947

 

Tra le tante attività, fu pioniere della riforma della musica sacra e gregoriana nella diocesi casalese: organizzò le funzioni religiose in modo da far partecipare i fedeli al canto durante la messa. Trasformò una parte dei locali della canonica in saloni per rappresentazioni teatrali e cinematografiche e aprì i cortili ai giochi dei ragazzi. Appena fuori Moncalvo allestì un campo sportivo. Fece restaurare e decorare internamente la chiesa di San Francesco e pose mano al restauro di molte opere d’arte.

Nel rapporto con gli anziani e gli infermi era di una delicatezza eccezionale, quasi
commovente nel portare loro conforto. Amante della montagna, fu un precursore delle colonie alpine parrocchiali che organizzò e diresse, guidando gli ospiti nelle ascensioni fino ai rifugi di alta montagna. Aveva già cinquant’anni quando salì sul Monte Rosa, e celebrò la messa alla Capanna Margherita. Il “don” si occupò anche dei lavori in campagna e degli allevamenti dei suoi parrocchiani.

Organizzò corsi di aggiornamento sull’uso delle nuove macchine agricole tanto che gli venne conferita la Stella al Merito Agricolo. Aderì e fece aderire i contadini monferrini alla “battaglia del grano” lanciata da Benito Mussolini nel 1925 e ritirò un attestato direttamente dalle mani del Duce il quale, quando vide sul petto di don Bolla le medaglie al valor militare, gli disse di voltarsi verso la folla esclamando: «Guardate il petto di questo sacerdote».

Il fervore di don Bolla per quella battaglia non gli veniva da obbedienza all’allora Capo del Governo, ma perché essa rientrava nel suo spirito sempre entusiasta e aperto a ogni iniziativa a favore del mondo agricolo. Il beneficio parrocchiale constava allora di oltre 80 giornate coltivate a prato, vigneto e grano, concesse a mezzadria. Fece restaurare le case coloniche, procurò macchinari e attrezzi, concimi e animali.

Aderì alla “battaglia del grano” e favorì lo sviluppo del mondo agricolo monferrino

Il sacerdote a una processione alla Madonna a Moncalvo durante un’appassionata predica

 

Di grande rilievo fu anche l’operato di don Bolla durante il periodo della Resistenza, schierandosi apertamente a favore della lotta di Liberazione, tanto da dover soffrire un periodo di confino a Gressoney, in Valle d’Aosta, dal febbraio all’aprile 1944, durante la Repubblica di Salò. Egli non si rifugiò in un comodo neutralismo, fece scelte sempre giustificate dalla sua forte ispirazione religiosa.

Questa sua coerenza e forza morale gli valsero il rispetto degli uomini di diverse ideologie. Anche dopo la guerra continuò la sua opera pastorale. Tanta gente andava da lui a causa di malattie, per fallimenti, questioni ereditarie, litigi ed egli si adoperava per
tutti. A Moncalvo si diceva l’uno con l’altro, quando c’era un problema, «andate da don Bolla» e se a volte usciva sconfitto si disperava.

Fu sentito esclamare: «per mezzo pollaio… è possibile farsi la guerra per mezzo pollaio?». I molti sagrin gli procurarono un’ulcera gastrica con forti dolori; fece i conti con medici e medicine continuando a operare fino a quando non comparve una preoccupante emorragia. Andò in ospedale a Torino. Dopo un intervento chirurgico cui seguì una setticemia, intuendo prossima la sua fine, volle farsi trasportare a Moncalvo per morire fra i suoi parrocchiani che aveva tanto amato.

Morì l’8 giugno 1952 a 66 anni. Fu rivestito con l’abito violaceo da monsignore, che in vita sua aveva usato solo tre volte. Il titolo gli era stato riconosciuto da Papa Pio XII, che lo aveva nominato anche Cameriere Segreto Soprannumerario per i suoi meriti ecclesiastici su proposta del conterraneo (anch’egli era di Brusasco) mons. Giuseppe Monticone, archivista del Vaticano.

Sulla bara di don Bolla, circondata da fiori, venne posto un cofanetto con le sue decorazioni al merito civile e militare. Quando furono note le sue ultime volontà qualcuno disse «nemmeno da morto poteva stare fermo». Infatti chiese di essere sepolto a Moncalvo per un anno, poi per un altro anno nella cappella del clero e quindi definitivamente traslato a Brusasco nella cappella di famiglia. Per tacita intesa, parenti, amici, autorità si adoperarono per una sistemazione delle sue spoglie mortali.

Nel 1962 fu traslato definitivamente nella sua chiesa di San Francesco a Moncalvo e, per farlo in modo solenne, fu scelta la festività del 4 novembre in ricordo della Grande Guerra e dei suoi caduti.

La città di Moncalvo al “suo monsignore” ha dedicato la via che dal rione Dazio conduce alla parrocchiale. La stessa strada che don Bolla ha percorso innumerevoli volte nei 22 anni della sua missione in terra monferrina.

 

 

 

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